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Battaglie navali USA

Non è facile sapere quando scatteranno i piani di aggressione alla Siria (e di intimidazione a tutti i popoli inquieti e in movimento della regione). La discussione su tempi e modalità dell’intervento sembra oscura quasi come il dibattito politico italiano sull’IMU e la sorte di Berlusconi, ma c’è solo una cosa chiara: quasi nessuno più contesta (come faceva in modo durissimo e coerente Ernesto Che Guevara all’ONU) la pretesa delle grandi potenze di discutere tra loro la sorte dei paesi più piccoli, un po’ come i regnanti d’Europa che si incontravano a Vienna dal novembre 1815 per decidere che fare di questo o quel paese satellite.

Nessun capo di governo o presidente ha la legittimità per farlo, se non quella assicurata da una totale rassegnazione dei loro sudditi e dalla inesistenza di una limpida e coerente opposizione a livello mondiale. Chi chiede un rinvio al massimo esprime una perplessità sulla sicurezza dell’operazione, che può provocare in effetti impreviste ripercussioni a catena in molti paesi, a cominciare dal Libano e dalla Giordania, per non parlare dell’Egitto

Un paese in cui l’apparentemente solido potere dei militari golpisti potrebbe vacillare sotto i colpi di una ripresa delle mobilitazioni contro un governo che appare sempre più una pedina essenziale per la dominazione imperialista nella regione, in alleanza con Israele come ai tempi di Mubaraq.

Ma un attacco alla Siria potrebbe anche dare un altro colpo alla credibilità del gruppo dirigente palestinese, incapace di reagire alla quotidiana beffa delle finte trattative di pace con chi continua a costruire colonie sui territori occupati. Per questo il gruppo dirigente israeliano mantiene un profilo basso, anche perché sa bene che un attacco alla Siria, provocando l’Iran, potrebbe avere ricadute pericolose per lo Stato sionista.

Nessuno però contesta agli Obama, Cameron o Hollande (quello che anche per SEL doveva essere il faro della ripresa del socialismo in Europa…) il diritto di decidere per altri, con pretesti inverosimili perché già sperimentati come menzogneri al momento di altre imprese consimili, dall’Iraq al Libano, alla Somalia, ai Balcani, all’Afghanistan.

Chi al momento non partecipa all’impresa lo fa solo per interessi contingenti di politica interna (come le elezioni in Germania o i timori di ripercussioni sugli investimenti italiani in Egitto). E chi la contesta come la Russia non lo fa in nome di nobili principi (come potrebbe, con il suo lungo curriculum di crimini contro i popoli?) ma schierando la propria flotta nel Mediterraneo orientale per affermare il proprio diritto a tutelare un buon cliente ed amico, intralciando solo un po’ il mostruoso schieramento allestito contro la Siria.

La Russia tenterà magari una fronda all’ONU, inutile come altre volte, o qualche solenne protesta simbolica, tutto meno che un appello ai popoli della terra contro l’accumulazione di armi costose e terrificanti, contro lo sperpero enorme di risorse, contro il perpetuarsi della diplomazia segreta che aveva dominato per un intero lunghissimo secolo dopo il Congresso di Vienna.

Non lo può fare perché la Russia di Putin non è come credono alcuni imbecilli l’erede della rivoluzione d’Ottobre, che aveva colpito al cuore l’imperialismo pubblicando tutti i trattati segreti con cui era stato spartito il mondo, ma si ricollega al cinismo staliniano, che aveva cercato più volte accordi senza principi con l’imperialismo culminati nella spartizione del 1939 con Hitler e in quella del 1945 con l’imperialismo britannico e americano. E la Russia, la Cina, e i paesi latinoamericani che in qualche modo si oppongono all’aggressione, indeboliscono la loro battaglia mescolando alla lotta contro l’imperialismo la difesa incondizionata del regime siriano e l’omertà nei confronti dei suoi crimini.

Nel gioco delle bugie quotidiane, oggi può sembrare che l’attacco sia rimandato, ma è impossibile fidarsi, conosciamo il gioco di annunci e smentite che attende il clima migliore per la guerra senza rinunciare a prepararla.

Non va attenuata quindi minimamente la lotta contro i preparativi bellici, né quella contro la presenza di basi statunitensi e NATO in Italia, quali che siano le vaghe promesse di disimpegno del governo Napolitano-Letta-Bonino. (a.m. 30/8/13)

È particolarmente attuale l’appello pubblicato sul sito: No all’ipocrisia dell’intervento imperialista “umanitario” in Medio Oriente.

 

Foto: Freedom House/Flickr

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