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Autenticamente Italiani

Sono passati quasi centocinquant’anni (esattamente il 17 marzo 1861) dalla proclamazione del Regno d’Italia e dall’immediata quanto significativa considerazione del suo primo Presidente del Consiglio dei Ministri, Camillo Benso Conte di Cavour: “abbiamo fatto l’Italia; ora facciamo gli italiani”.

Sono stati fatti gli italiani? O meglio esiste in noi “figli di Dante, Petrarca e Leopardi” un’identità nazionale? Siamo orgogliosi di definirci italiani?

Nell’Italia di oggi, di tutti i giorni, ho i miei dubbi che una persona vada a sbandierare per le strade la propria italianità; sono più le volte che lancia letame al proprio Paese (l’Italia fa schifo, Se Posso me ne vado, mi piacerebbe essere americano e così via).

Salvo poi “miracolosamente” ricredersi quattro anni addietro, esattamente il 5 luglio 2006, quando la Nazionale Italiana di Calcio guidata da Marcello Lippi vinse la Coppa del Mondo a Berlino; e via, così, ai caroselli umani e l’Inno cantato a squarciagola.

Francamente sono molteplici i motivi di questo senso di italianità ad “intermittenza”: ad esempio la Globalizzazione che con il progressivo avvicinamento della Popolazione Mondiale può aver fatto perdere ad alcuni ”l’orientamento” territoriale, nazionale.

Tuttavia, riprendendo una recente dichiarazione ad alcuni giovani studenti romani del noto editorialista del “Corriere della Sera” nonché docente di Storia Contemporanea alla facoltà di Scienze della Comunicazione di Firenze, Ernesto Galli della Loggia, una persona può “benissimo sentirsi romana, italiana, europea, mondiale” senza che una di queste caratteristiche perda di valore ed importanza.

Gli stessi Padri fondatori dell’Europa Unita, Alcide de Gasperi, Robert Shuman e Konrad Adenauer (per citarne alcuni) oltre che sentirci autenticamente europei si sentivano italiani, francesi e tedeschi.

Una riflessione che, tuttavia, mi preme muovere alla classe politica nazionale che si è alternata in questi primi sessant’anni di vita della Repubblica è di non aver fornito quei concreti elementi valoriali per potersi sentire autenticamente italiani tutti i giorni.

Non ci ha insegnato, ad esempio, il significato profondo della parola Patria, soggiogata per molti anni di insensati steccati ideologici.

Vogliamo ricordare come per Patria si intenda quel territorio abitato da un popolo e al quale ciascuno dei componenti sente di appartenere per nascita, lingua, cultura, storia e tradizione (definizione contenuta nel Vocabolario “Treccani”).

Questo “embargo” ideologico è stato scoperchiato definitivamente solo con il settennato di Presidenza della Repubblica (1999-2006) dell’ex Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, il quale con la sua assidua partecipazione pubblica e i suoi autorevoli discorsi è riuscito a sdoganare in una certa parte dell’opinione pubblica il valore ed il significato più intimo di Patria.

Nota di riguardo: il Presidente Emerito della Repubblica in una recente intervista rilasciata ad Arrigo Levi menziona il suo secondo nome come omaggio al Patriota Massimo Taparelli, marchese d’Azeglio.

Significativa, a tal riguardo, la sua visita il 1 marzo 2001 al Sacrario di Cefalonia dove ha ricordato il sacrificio della Divisione Acqui che, all’indomani dell’Armistizio dell’8 Settembre 1943, guidati dal Generale Antonio Gandin, resistette eroicamente all’avanzata delle truppe nazional-socialiste, spinte unicamente dal concreto e mai retorico Amor Patrio.

O anche quando, in un vertice dei Capi di Stato dell’Europa Occidentale tenuto il 13 Ottobre 2005 a Zagabria ha auspicato una continua tutela economica, linguistica e valoriale di tutti quegli italiani residenti nell’area istriano-dalmata che, dopo il crollo del Regime Fascista hanno deciso di rimanere nelle proprie case, pur sotto l’egida di una nazione diversa.

Fino ad allora si aveva sempre cercato di reclamare quei territori, in barba ai trattati internazionali di Pace.

Ciampi, invece, con il suo intervento ha dimostrato, ha cercato di insegnarci un Amore Patrio autorevole e non autoritario, orgoglioso ma, allo stesso tempo rispettoso delle prerogative degli altri Stati.

La sua “azione” certamente ora continua con la Presidenza di Giorgio Napolitano, il quale, pur provenendo da una tradizione partitica (il Partito Comunista Italiano) che avversava pregiudizialmente la parola Patria ne fa continuamente ed appassionatamente cenno (basti rileggere il discorso di insediamento al Quirinale il 15 maggio 2006).

In questi giorni di profonde incertezze governative e di continue e pregiudiziali diatribe tra entrambi gli schieramenti partitici l’unica sicura e certa figura di difesa dell’Unità del Paese è il Presidente della Repubblica.

La forza sprigionata dalle parole del Capo dello Stato continuano a suscitare in noi cittadini italiani speranza ed emozione.

Come conclusione mi sento di chiedere ai miei connazionali sparsi in giro per il Mondo: lasciamo perdere il pretesto del calcio e della Ferrari e festeggiamo tutti insieme l’Italia unita esponendo il 17 marzo davanti alle nostre case il Tricolore, pensando a quanti eroi l’Italia l’hanno unificata con il sacrificio della propria vita in questi 150 anni!

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