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Argentina, tra urne e realtà

Domenica 22 novembre si svolgerà in Argentina il ballottaggio per le elezioni presidenziali, per decidere il successore di Cristina Fernandez de Kirchner. La competizione sarà tra un “continuista” come Daniel Scioli, del Frente para la victoria (la fazione dominante del partito peronista) e governatore della provincia di Buenos Aires, e Mauricio Macrì, sindaco di centrodestra della capitale argentina e sostenitore della necessità di un cambiamento col passato. Comunque vada, non saranno tempi facili, per gli argentini.

Il paese è reduce da lunghi anni di sgoverno della Presidenta, che hanno prosciugato le riserve valutarie ed imposto crescenti restrizioni al commercio estero, nel tentativo spesso grottesco di economizzare i preziosi dollari, con una inflazione rampante, stimata tra il 30 ed il 40%, frutto di una banca centrale che stampa moneta furiosamente e più in generale di una politica economica destinata a presentare un conto pesantissimo al paese, che sta soffrendo anche la profonda recessione del suo primo mercato di esportazione, quello brasiliano.

Macrì punta a riallineare il cambio del peso alla realtà, cioè alle quotazioni del mercato nero, il che vorrebbe dire un deprezzamento di circa il 50-60% dal cambio ufficiale, nel tentativo di recuperare riserve valutarie. Verosimile anche un’apertura negoziale ai creditori internazionali, nel tentativo di riottenere l’accesso ai mercati globali, ed un atteggiamento più “amichevole” e di certezza del diritto nei confronti degli investitori esteri, dei cui capitali l’Argentina ha disperato bisogno, perché pare che non basti stampare moneta, per crescere. Ma servirà anche una politica fiscale meno espansiva o più propriamente restrittiva, soprattutto in termini di sussidi. Scioli sta tentando di presentare Macrì come l’affamatore del popolo, con parallelismi con il crash del 2001.

La realtà è che l’Argentina dovrà necessariamente passare attraverso una resa dei conti con la realtà, chiunque vada al potere. Le cambiali degli errori accumulatisi nell’ultimo decennio sono giunte all’incasso. Nel frattempo, prosegue la schizofrenia di policy. Il governo, sino a qualche settimana addietro, operava indirizzando un flusso generoso e distorto di credito a buon mercato verso le imprese, attraverso le banche pubbliche, ed accrescendo l’offerta di moneta in termini reali, anche per accomodare la forte anticipazione di consumi da parte della popolazione, che sconta una pesantissima svalutazione del peso nei prossimi mesi. Ma l’esecutivo in carica, nel tentativo di proteggere il cambio da pressioni ribassiste,per non essere costretto a svalutare prima del ballottaggio del 22 novembre,a fine ottobre ha aumentato di quasi tre punti percentuali i tassi d’interesse sul debito della banca centrale a tre mesi, portandoli al massimo dal 2002, con immediate ripercussioni sul costo del credito.

Contemporaneamente è stato disposto il dimezzamento da 150.000 a 75.000 dollari della valuta a disposizione su base giornaliera degli importatori, con ovvie ricadute negative di breve termine sulla disponibilità di beni importati. Inoltre, poiché il turismo rappresenta, come sappiamo, una delle maggiori fonti di deflusso di dollari dal paese (per 4 miliardi di dollari nel primo semestre di quest’anno), le autorità hanno dimezzato la quantità giornaliera di dollari che agenzie di viaggio e linee aeree possono inviare all’estero, con limite quantitativo identico a quello degli importatori. Conseguenza immediata di tale misura è stato il balzo all’insù dei costo dei biglietti aerei ma non si può avere tutto, nella vita.

Proseguendo in questa affascinante galleria di espedienti, il governo ha disposto che le riserve tecniche delle assicurazioni debbano essere investite in attivi denominati nella stessa valuta delle passività. Obiettivo della misura è quello di costringere le compagnie assicurative a liberarsi dei bond pubblici argentini denominati in dollari, e frenare l’apprezzamento del biglietto verde.

Come finirà? Come diciamo da tempo, col trionfo della realtà. Esiste anche la probabilità che il povero Macrì, in caso di vittoria, venga travolto dalle sue stesse riforme, che poi sarebbero atti più o meno dovuti. Ed allora sentirete levarsi il solito coro contro il liberista malvagio, che getta la popolazione nella disperazione. Quando sarà solo la realtà a far cadere il castello di carte e di cartamoneta, rigorosamente straccia. In quel momento leggerete ed ascolterete le solite voci, magari a questo giro con una sopra tutte le altre, per evidenti motivi sensibilità “domestica”, proveniente da un piccolo stato incastonato nella capitale italiana.

Addendum – Una cosa del genere, ecco.

(Foto: Gobierno de la Ciudad de Buenos Aires/Flickr)

 
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