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Appello Dell’Utri - Settima puntata

Cosa hanno in comune un Presidente del Consiglio legato al crimine e un mafioso legato alla Democrazia Cristiana?

Da molte puntate, pressappoco dall’inizio della rubrica, ci siamo occupati quasi solamente di una singola vicenda, molto marginale, che è stata, e sarà ancora a lungo, al centro della discussione nel corso delle udienze del processo d’appello che si sta celebrando in questi mesi a Palermo, che vede Marcello Dell’Utri imputato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Ora lasciamo da parte le udienze (ne riparleremo la prossima puntata) e iniziamo a parlare di cosa si è scoperto di nuovo, nel processo d’appello, riguardo ai rapporti fra Marcello Dell’Utri e Vito Ciancimino.

Già nel processo di primo grado i rapporti fra i due erano passati al vaglio dei giudici. Vito Ciancimino, corleonese di origini e di fatto, già leader della corrente andreottiana della Democrazia Cristiana in Sicilia, quindi politico <<nelle mani dei corleonesi di Totò Riina>> e mediatore delle trattative fra Stato e mafia durante il periodo delle stragi, entrò in contatto con il senatore forzista per la prima volta nel periodo che va dal 1977 al 1979. In quegli anni Dell’Utri lavorava alla Inim S.p.A., impresa dai <<capitali mafiosi>> facente capo a Filippo Alberto Rapisarda, legato a Ciancimino tramite Francesco Paolo Alamia, a sua volta legato a Mangano, che chiude il cerchio. I pentiti hanno chiarito che fu direttamente Stefano Bontate a riferire ad Angelo Siino, massone imparentato con la famiglia del boss Balduccio di Maggio, che nell’Inim c’erano <<gli interessi di Ciancimino>>. Dell’Utri , stando alle dichiarazioni di Ezio Cartotto, si era iscritto, fin dall’inizio degli anni ’70, alla corrente cianciminiana della Democrazia Cristiana. Secondo altri pentiti, il senatore <<curava i problemi finanziari>> di <<don Vito>>.
 
Nel corso delle nuove indagini che hanno portato alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, i giudici hanno scovato una telefonata fra Massimo e Luciana Ciancimino, figli di Vito. Risale al 6 marzo del 2004. Venti giorni dopo si sarebbe tenuta a Palermo la manifestazione celebrativa dei primi dieci anni di Forza Italia. Luciana racconta al fratello che l’aveva chiamata un tale Gianfranco, legato al partito, e l’aveva invitata a partecipare all’evento. Soprattutto per un motivo: farle conoscere Silvio Berlusconi che, come vedremo, aveva un credito aperto nei confronti di Don Vito, ormai scomparso.
 
LUCIANA       Minchia, mi telefonò Gianfranco … ah, ti conto questa … all’una meno venti mi arriva un messaggio …
MASSIMO       L’altra volta l’ho incontrato in aereo
LUCIANA       Eh… il 27 marzo, a Palermo … per i dieci anni di vittoria di Forza Italia, viene Silvio Berlusconi. È stata scelta Palermo perché è la sede più sicura … eh … previsione …. In previsione saremo 15 mila …
MASSIMO       Ah
LUCIANA       …eh allora io dissi minchia sbaglia, e ci scrivo stu messaggio: “rincoglionito, a chi lo dovevi mandare questo messaggio, sucunnu mia sbagliasti” … in dialetto, eh …eh (ride) e mi risponde: “suca” … eh (ride) … mezz’ora fa mi chiama e mi fa: “Minchia ma sei una merda” e allora ci dissi “perché sono una merda”. Dice, hai potuto pensare che io ho sbagliato a mandare … io l’ho mandato a te siccome so che tu lo vuoi conoscere [Berlusconi, nda] … io ti sto dicendo che il 27 marzo …
MASSIMO       E digli che c’abbiamo un assegno suo, se lo vuole indietro ..
LUCIANA        (ride) Chi, il Berlusconi?
MASSIMO       Si, ce l’abbiamo ancora nella vecchia carpetta di papà…
LUCIANA        Ma che cazzo dici
MASSIMO       Certo
LUCIANA        Del Berlusca?
MASSIMO       Si, di 35 milioni, se lo si può glielo diamo

La domanda viene da sé: perché mai Berlusconi avrebbe dovuto pagare 35 milioni a Ciancimino? E soprattutto: ma proprio non lo possono incassare quell’assegno, già che li hanno ereditato? Sarà che Luciana è una fan irriducibile del Cavaliere. Al contrario di suo fratello Massimo, che nel 2005, riguardo a quell’assegno, ha raccontato ai giudici
 
me lo raccontò mio padre a suo tempo … ma poi era una polemica tra me e mia sorella, perché io l’indomani invece sono andato alla manifestazione di Fassino.

Speriamo che i Ciancimino superino i loro dissapori in famiglia. Ma non è che, nel frattempo, qualcuno potrebbe chiedere chiarimenti al Grande Capo? 

Commenti all'articolo

  • Di Paolo (---.---.---.82) 17 febbraio 2009 22:55

    Secondo me il Berlusca quei 35 milioni non li rivuole!
    aaaahhhh!

  • Di Federico Pignalberi (---.---.---.42) 30 luglio 2009 23:46
    Una giornalista mi ha segnalato che non si può dire apertamente che il Presidente del Consiglio sia uomo legato al crimine, semmai lo si può far capire fra le righe. Quindi rettifico. Anche se non si può dire che quello che ho scritto sia oggettivamente falso. Difatti Berlusconi di criminali ne ha frequentati parecchi, ma, ingenuo com’è, non s’è mai accorto di nulla (e mai si è guardato allo specchio).

    Prima ospita un mafioso in casa per due anni senza interessarsi dei suoi precedenti penali, poi si iscrive alla P2 (che non è proprio un’associazione umanitaria), poi commette il delitto di falsa testimonianza sull’iscrizione alla P2 e lì viene riconosciuto colpevole (ma il reato è estinto per intervenuta amnistia) quindi è proprio lui un delinquente. Poi la sua azienda paga una maxi-tangente a Craxi (21 miliardi, anche questo reato è stato accertato, ma coperto da prescrizione), soldi che vengono dalle 64 società offshore che il suo commercialista ha creato a sua insaputa. Poi dalle stesse società partono i soldi che il suo avvocato userà per comprare la sentenza che porta la Mondadori nella mani del Cavaliere, ma, beninteso, sempre di nascosto (lui, quindi, direbbe Ghedini, è solo l’<<utilizzatore finale>> della sentenza), ma il suo avvocato è stato condannato definitivamente per corruzione. Due volte.

    Sempre a sua insaputa, il capo dei servizi fiscali del suo gruppo paga almeno tre mazzette alla Guardia di Finanza e viene condannato. Criminale anche lui.

    Il suo partito lo ha fondato con Dell’Utri, condannato in via definitiva per false fatture e frode fiscale, prescritto per minaccia grave (delitto commesso) e condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa.
    Il suo commercialista è stato condannato in primo grado per essersi venduto la testimonianza sulle società offshore. 
    Il fratello, indagato nella vicenda Simec per reatuncoli come falso in bilancio, truffa e corruzione, ha patteggiato un anno e nove mesi di galera.
    Il suo manager Carlo Bernasconi è stato condannato a un anno e quattro mesi per avere creato, ovviamente a sua insaputa, 10 miliardi di fondi neri.
    Mentre il suo consulente-commercialista, ora deputato, Massimo Maria Berruti è stato condannato a 8 anni per favoreggiamento per aver depistato le indagini su Berlusconi in merito alle società offshore.
    In tutto, alle ultime politiche, ha candidato nelle sue liste ben 15 condannati in via definitiva. Fra questi ci sono persino i suoi medici.
    Umberto Scapagnini è stato condannato in primo grado a 2 anni e sei mesi per abuso d’ufficio e violazione della legge elettorale. Mentre l’altro suo medico personale, Antonio Tomassini, oggi senatore, ha una condanna definitiva a suo carico a tre anni per falso.

    Berlusconi stesso può vantare due amnistie, due assoluzioni per autodepenalizzazione del reato e sei prescrizioni, ma che sia uomo legato al crimine non si può dire apertamente. Dunque non lo dico, capitelo tra le righe.

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