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Amara, dalla Costa d’Avorio per raccontare le bellezze di Napoli

Stranieriincampania ha incontrato nel cuore di Napoli, al Rione Sanità, Amara, un giovane ivoriano di 28 anni che qui vive e collabora con la Cooperativa La Paranza. 

 La Cooperativa è nata da un gruppo di giovani del quartiere che in pochi anni è riuscito a costruire un modello di gestione sostenibile del territorio, creando coesione sociale intorno ai temi di cultura e turismo. Un’iniziativa che ha permesso il recupero di due siti archeologici di immenso valore storico, le Catacombe di San Gennaro e di San Gaudioso, e soprattutto ha creato nuovi posti di lavoro in un quartiere “molto particolare”, come afferma lo stesso Amara nell’intervista. La giovane guida della Costa d’Avorio, ogni giorno accompagna i turisti stranieri alla scoperta delle bellezze nascoste del quartiere e continua a studiare la storia di Napoli con passione. 

Come ti trovi a Napoli?

All’inizio era molto difficile l’integrazione, era una cultura nuova, dovevo imparare l’italiano per potermi integrare o almeno interagire con la gente, per potermi spiegare. Quando sono arrivato a Napoli ero ospite di un centro di accoglienza e dopo due mesi ho conosciuto la pastora della Chiesa Valdese Thesie Mueller che ci ha dato tantissimo sostegno e ci ha permesso, oggi, di raggiungere un obiettivo. Ci ha aiutato a trovare la nostra strada. Ma prima dovevamo imparare l’italiano e abbiamo iniziato con la Comunità di Sant’ Egidio, anche qui ci hanno dato un grande sostegno. Abbiamo conosciuto persone per bene che ci hanno messo in condizione di imparare, ci dicevano che era importante per costruirci un futuro. E’ stata una cosa importante per me, oggi riesco ad esprimermi, a dialogare con la gente. Ho studiato, ho preso la licenza media a Grumo Nevano. 

Cosa facevi nel tuo Paese?

Nel mio paese aggiustavo le cose elettroniche e poi sono partito per un problema che c’è stato dove vivevo, un fatto politico. 

Hai trovato lavoro?

Sì ho iniziato a cercare lavoro ed ho chiesto alla Pastora che mi ha parlato di una cooperativa che era nata da qualche anno nella Sanità che si chiama “La Paranza”. Una cooperativa che si occupa delle Catacombe di San Gennaro e delle Catacombe di San Gaudioso ed ogni anno questa fa una sorta di reclutamento ed offre una formazione. Ho fatto un colloquio e dopo poco mi hanno richiamato. Ho iniziato un tirocinio ed ho iniziato a studiare la storia di Napoli e delle catacombe. Oggi ho firmato un contratto con loro e faccio la guida in francese per i turisti alle Catacombe.

Ti piace come lavoro?

Sì perché si impara molto, continuo a studiare la storia della città e questo mi permette di conoscere meglio Napoli. Mi piace molto raccontarla agli altri. Poi è un lavoro in cui si incontra tanta gente con cui riesci anche a chiacchierare e a scambiare opinioni. Incontri persone che vengono da altri paesi, che hanno altre culture, e capita che ti raccontino di dove vivono, di cosa fanno, ti spiegano la loro storia. Questa è una cosa bella. Io sono una persona curiosa, osservo tanto, mi piace sapere, mi pace imparare, quindi questo lavoro mi piace tanto. 

Cosa ti piace di Napoli e cosa non ti piace?

A Napoli ho avuto la fortuna di incontrare persone per bene. Qualcuno dice che c’è un po’ di ignoranza, ma esiste dappertutto. Qui ci sono persone che mi vogliono bene. Di Napoli poi mi piace la cultura e il cibo, soprattutto la pizza ma ad un certo punto ho dovuto smettere di mangiarla perché stavo mettendo la pancia. Non sono successe cose che mi fanno dire che Napoli non mi piace. Spero di essere sempre trattato bene.

E qui nella Sanità come ti trovi?

La Sanità è un quartiere molto particolare, dove vivo una nuova esperienza. Appena arrivato ho girato un po’, sono stato prima a Terzigno, poi a San Giuseppe Vesuviano e dopo ancora a Grumo Nevano. Questi sono posti diversi, con modi di fare completamente diversi. Da un anno sono qui. La Sanità è un quartiere vivo, sempre pieno di gente. La sera i ragazzi scendono con i motorini, non vanno da nessuna parte, fanno solo un giro, però creano un traffico esagerato.

Cosa ti manca della Costa d’Avorio?

La famiglia. La famiglia è un pezzo tuo che ti mancherà tutta la vita. Se ti allontani puoi farti nuovi amici ma, anche se ti trovi bene nel posto dove stai, la famiglia resta sempre la famiglia. Quando sento mia madre mi chiede “quando vieni a trovarmi? mi manchi”. Sentire tua madre che ti dice “mi manchi” mi spezza il cuore ogni volta. Se ti devo dire un’altra cosa, anche il cibo della Costa di Avorio mi manca, anche noi abbiamo una cultura particolare sul mangiare.

Hai in programma di tornare?

Sì, vorrei tornare l’anno prossimo. Manco ormai da quasi cinque anni. Vorrei tornare per almeno un mese e rivedere la mia famiglia e poi ritornare in Italia. 

Il tuo futuro lo immagini in Italia?

Il lavoro che sto facendo mi piace, ma voglio andare oltre, imparare di più. Mi sono iscritto in una scuola serale per diventare geometra. Spero di raggiungere anche questo traguardo, prendere un diploma per avere più opportunità. Voglio imparare un mestiere per poi, o qui o in Africa, garantirmi un futuro e darmi la possibilità di essere indipendente.

Quindi non escludi di tornare in Africa?

In futuro sì, anche se mi trovo bene qui in Italia, la Costa d’Avorio è casa mia. Vorrei un giorno tornare lì portando ciò che ho imparato qui in Italia, mettere la mia esperienza a disposizione del mio Paese. Il giorno in cui mi sentirò pronto, tornerò per dare il mio contributo.

Quale potrebbe essere il tuo contributo, qual è la prima cosa che faresti una volta tornato?

La differenza che io vedo tra Europa ed Africa è una questione di mentalità. In Africa si va in guerra per una cosa minima, ci manca il modo che c’è in Europa di confrontarsi e trovare una soluzione che non sia fatta di armi e bombardamenti. La gente non tiene conto dell’opportunità di essere vivo. Io sono partito dal mio paese perché c’è stato un problema, una guerra politica terribile per una cosa per cui non ne valeva la pena. Io facevo parte di questa gente, ma non siamo stati abbastanza forti per evitare questa guerra. Per non ripetere gli stessi errori, la prima cosa da fare è cercare di combattere questa mentalità. Voglio cercare di portare l’esperienza di studio e formazione vissuta qui in Italia nel mio paese. Una persona formata ha più opportunità, perché ha una mente più aperta. Come ho imparato alla Cooperativa la Paranza, la Sanità è un quartiere partito da niente, oggi è conosciuto in tutto il mondo.

E invece cosa porteresti dell’Africa in Europa?

 Ci sono in Africa persone povere, hanno un minimo e a loro basta per vivere con dignità. Vivono in tranquillità, ti offrono tutto e così sono felici, sorridono. Invece qui ci sono persone ricche, miliardarie, che non hanno questo sorriso. Sono schiave del denaro. 

In quali Paesi sei stato prima di arrivare in Italia?

Costa d’Avorio, Burkina Faso, Niger, la Libia e poi in Italia. Per fortuna per arrivare qui ci ho messo solo un mese e qualche giorno. Ti dico per fortuna perché la maggior parte della gente ci mette molto più tempo. La Libia è un inferno e io ringrazio Dio per averci messo solo un mese.

Cosa ti aspettavi di trovare una volta arrivato in Italia?

La mia storia è particolare, quando sono partito scappavo da un conflitto. Mi sono trovato improvvisamente in Burkina Faso e dopo varie tappe sono arrivato in Libia. In Libia non ti spiego cosa ho vissuto, una tragedia, ho subito un trauma molto forte. In un libro “Vico esclamativo”, nato sempre dalla cooperativa La Paranza, alla fine ho risposto alla stessa domanda: cosa mi aspettavo? Niente, perché quando uno scappa, durante il viaggio spera solo di essere salvato, di rimanere vivo. Se tu vedi, strada facendo, i tuoi compagni di viaggio che muoiono…, insomma, chi vede gente morire intorno a sé, non pensa a quello che farà, pensa solo a restare in vita. La cosa che speravo era arrivare in Italia e chiamare mia madre per dirle “Sono vivo”. Come dice un mio amico: facciamo uno scambio, mandiamo in Libia chi dice che è un porto sicuro, poi dopo un mese vediamo se cambiano idea. 

Hai avuto problemi ad ottenere il permesso di soggiorno?

Io ho fatto la richiesta come richiedente asilo, ho aspettato un anno e cinque mesi solo per essere intervistato dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. Dopo un mese dal colloquio ho avuto la risposta negativa, mi hanno detto che la storia che ho raccontato non era credibile. Questa cosa mi ha provocato uno shock, non si può immaginare quando uno ha vissuto tutta questa tragedia e ha subito tanti traumi, poi arriva davanti alla Commissione, a raccontare tutto questo dolore per due ore, e non viene creduto. Ho recuperato subito tutte le carte per fare ricorso e sono arrivato davanti al Giudice. Certo per chi vive in Europa la mia storia può sembrare un film, ma per una persona come me, che ha vissuto tutto quello che ha raccontato, quando ti dicono che non è vero subisci un altro trauma, mi sono arrabbiato tantissimo. Quando sono arrivato davanti al Giudice gli ho aperto la mente e il cuore. Lui mi è stato a sentire, è andato a verificare le cose che gli ho raccontato, cosa che la Commissione non aveva fatto, e alla fine mi ha creduto. Così ho avuto il documento e il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria. 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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