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 Home page > Tribuna Libera > Acqua Pubblica o Acqua Privata? La sfida del voto referendario

Acqua Pubblica o Acqua Privata? La sfida del voto referendario

Anche su questo sito sono stati pubblicati articoli nei quali, dopo la vittoria dei Sì nei referndum sull'acqua, si tenta di spiegare come questa vittoria costituisca ora un problema, in quanto in buona sostanza chi ha votato "sì" è stato vittima dell'inganno dei referendari, che avrebbero cercatro di far credere al pubblico ingenuo che l'acqua sarebbe stata privatizzata, e non avrebbe compreso la scelta illuminata di chi aveva previsto invece la necessità di aprire il mercato dei servizi idrici ai privati.

Per superare questa tesi, ritengo sia utile qualche precisazione. Studio da anni il problema dei Servizi Idrici in Italia e mi sono anche annoiato di errori e semplificazioni, per quanto possano essere (spero) almeno in buona fede.
Ebbene, la norma che è stata abrogata con i referendum non prevedeva semplicemente la possibilità di affidare i servizi locali (e quelli idrici) a privati, ma imponeva il passaggio al controllo privato di tutto il settore (quale privato entrerebbe come socio al 40% di una società di cui non fosse sicuro di poter prendere il controllo?).

Se fossimo voluti rimanere alla mera "possibilità" per i privati di partecipare a queste attività, almeno nel campo dei servizi idrici, allora sarebbe bastata la legge Galli (quella citata nell'articolo e varata negli anni novanta dal governo Prodi, con un voto del Parlamento quasi all'unanimità... si astenne solo il PRC, mi pare).

Quella legge, proprio per superare i difetti del precedente sistema, dove tutto era in mano a soggetti pubblici e quasi tutto funzionava male, già aveva previsto la possibilità di aprire ai privati e aveva previsto anche una serie di roganismi di controllo (ATO e COVIRI).

Il problema non è "pubblico" o "privato", ma quale pubblico e quale privato, con quali regole e sorvegliate da chi!

I privati dopo la legge Galli sono entrati nel mercato dell'acqua, o se preferite dei servizi idrici, e quando l'hanno fatto, hanno combinato sfaceli: bollette triplicate, nessun investimento, gestione "allegra" degli appalti. Insomma, di tutto di più. A questo si aggiunga che, come direbbero gli economisti, nel settore dei servizi idrici (contrariamente a quanto avviene per l'energia, i telefoni, il gas ecc.) non si può parlare nemmeno in astratto di una vera concorrenza "nel mercato", ma semmai di concorrenza "per il mercato". 

Il che, tradotto in parole povere, significa che il privato che partecipa ad una gara per aggiudicarsi la gestione del servizio idrico per un determinato territorio, lo fa sapendo che - una volta vinta la gara - agirà da perfetto monopolista in quel territorio. Non andrà a concorrere con altri operatori che lo costringano a lavorare bene e a tenere bassi i prezzi (concorrenza "nel mercato"), ma sarà il solo re della zona, finché qualcuno non dovesse accorgersi che non fa quel che dovrebbe e sempre ammesso che riesca a dimostrarlo, in quanto in quel terriotorio sarà l'unico a poter esercitare il servizio idrico che è riuscito a farsi assegnare (concorre quindi "per - accaparrarsi - il mercato").

Le municipalizzate (quasi tutte trasformate in società di diritto privato, ma controllate da capitale pubblico) hanno continuato a far quello che facevano prima quando erano soggetti di diritto pubblico: clientela, sprechi, malagestione. 

Gli strumenti di controllo hanno fatto acqua, non avendo il COVIRI alcun potere reale, se non quello di indagine e denuncia, e le ATO essendo, invece, nelle mani dei comuni e degli enti locali, che però, o perché direttamente interessati alla gestione all' "acqua di rose" del tutto, oppure non avendo le capacità necessarie per fare bene i controllori, si son trovati vittime di chi le cose le sapeva fare davvero: ovvero i privati affidatari dei servizi, o i vecchi volponi delle municipalizzate trasformate in società di diritto privato.

Tutto questo fenomeno deteriore è stato facilitato dal fatto che quando il servizio doveva essere affidato a qualcuno che non fosse direttamente un soggetto pubblico, ciò avveniva senza gara, e quindi vinceva l' "amico del sindaco" o il migliore offerente (a livello di bustarelle, tangenti o favori).

Di fronte a questo fenomeno, le scelte del Governo Berlusconi (e anche in parte quelle dei precedenti governi di centro sinistra, per dirla tutta) non è stata di puntare su una vera "liberalizzazione", ma sulla "privatizzazione" dei servizi pubblici (e idrici in particolare). 

Ancora una volta, quindi, i nostri illuminati rappresentanti istituzionali hanno pensato fosse preferibile una abdicazione a quelli che dovevavno essere i doveri reali del Pubblico: controllare, vigilare, intervenire per ricondurre a regole precise, fissare le regole del servizio. Insomma, si è preferito un banale "lassaiz faire" o, per essere più comprensibili e citare il grande De Andrè, l'ennesima dimostrazione di uno stato che si indigna, si arrabbia e "poi getta la spugna con gran dignità".

Chi (come chi vi scrive) ha votato Sì, per quattro volte, a questi referendum, non lo ha fatto per tornare indietro, ma per guardare avanti e indicare una strada a chi, perché noi elettori gliene abbiamo dato l'incarico, deve poi elaborarle le leggi.

Nessuno rimpiange gli acquedotti colabrodo o la gestione solo politica e clientelare di incarichi, appalti e consulenze. Quel che occorre costruire, sono sistemi di gestione "comuni" dei "beni comuni", dove gli utenti siano responsabilizzati non solo come consumatori, ma come diretti titolari del servizio, e possano davvero e democraticamente decidere, controllare ed eventualmente bocciare chi gestisce male (e qui si veda il DDL di riforma dell'AQP per capire in che direzione NON andare).

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