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A Portotorres il romanzo di Federica Manzon

La giovane scrittrice di Pordenone ha presentato alla libreria Koinè “Di fama e di sventura”.

...Da una vita Tommaso cerca di essere ciò che non è. E alcuni dicono che ci sia riuscito davvero e del bambino d'un tempo non rimanga più nulla. Anch'io, a volte, fatico a convincermi che sia esistito sul serio...”. La quarta di copertina sintetizza la vicenda intima del protagonista, intorno al quale si dipana la storia di un eroe contemporaneo, emerso dai ricordi e sapori d'infanzia della giovane autrice. Apparsami lo scorso 6 maggio alla libreria Koinè, giovane studiosa, cuoriosa come una specializzanda in qualche nuova frontiera dell'umano sapere. Con Federica Manzon (della quale, aihmé, ne ignoravo l'esistenza), ho ravvisato da subito in un primo personale scambio di battute, una comune visione nell'universo editoriale, oltre i canonici infotime letterari.

Al suo esordio da romanziera con la prima casa editrice italiana, la giovane autrice friulana ha già pubblicato con lo stesso editore di Segrate il reportage narrativo “Come si dice addio”. Collabora con l’organizzazione del festival letterario Pordenonelegge.it e con la redazione di Nuovi Argomenti. La sua collaborazione professionale come editor della stessa Mondadori ha aggiunto un interesse straordinario nella platea di lettori e curiosi accorsi nella sala riunioni della libreria sul principale corso turritano. L'intervista a tutto campo avviata da Elia Cossu, gerente Koinè, ha favorito un acceso e ricco "uno contro tutti", protattosi ben oltre due ore. Al calar del sole, la "fama" di Federica era ben superiore rispetto alla "sventura" di un incontrò già finito con tante altre riflessioni da sviluppare. Il romanzo della Manzon, (444 pagine) è una storia contemporanea che trae origini nel secolo scorso e sviluppa dopo l'incipit determinante (le prima trenta pagine), una vicenda che ruota intorno al protagonista Tommaso. Quando Elia le chiede "come nasce un romanzo così articolato ?" - Federica inizia la sua "professione di fede" per il romanzone narrante di fine Ottocento, con una inclinazione mai celata per Dickens.
 
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Lettori in libreria.

"...Non sapevo che sarebbe uscita una forma così lunga: a priori uno scrittore non decide cosa succede dopo. Si può passare tutta la vita per capire cosa si vorrebbe essere, scoprire la propria vocazione..." Di qui il legame con il protagonista, voce narrante del libro, diviene un legame intimo, con radici comuni, basti pensare alla bisnonna della scrittrice, sua musa ispiratrice nel prologo della vicenda dove è rappresentata dall'altra protagonista femminile: Vittoria. Anche i luoghi dove evolve la trama, Trieste prima, il Canada poi, sono ambienti familiari e vissuti dall'autrice che nell'abbondanza del testo narrato compie un autentico percorso spirituale. "...Volevo che il narratore fosse compromesso con la storia..." sottolinea Federica, esponendo la scelta della modalità diretta nei dialoghi, opzione desunta anche da una scrittura elaborata e centellinata. "Leggo tantissimo (per esigenza professionale) ma scrivo pochissimo.." Lo slow writing di Federica non è un vezzo ma una necessità che abbisogna di molte ore disponbili, "seppur - ammette - alla fine non scrivo oltre le due ore continuate.." Un tempo per distillare quasi un essenza perfetta del testo, verrebbe da pensare, rispetto ai quattro anni necessari per completare "Di fama e di sventura". 

 
Da queste rivelazioni sulla genesi della scrittura inizia l'approdo al mondo editoriale e più propriamente quotidiano nella vita professionale, le domande dei presenti prolificano, Federica non lesina suggerimenti e retroscena del back stage cartaceo. Termini e perifrasi collezionano ricambi di un magazzino fantasioso iper accessoriato che alimenta manufatti ad alto potenziale narrativo con una ricerca sempre affascinante per la prosa. Così quando Elia le chiede: “Quanto influisce il tuo lavoro di editor per la Mondadori ?” la professionista testuale ha già lasciato alle spalle le ansie della debuttante: “..leggo parecchie cose schifose e ti metti in testa quelle robe lì. Il tuo immaginario si adegua e abbassi il livello letterario...uno scrittore non dovrebbe fare mai l'editor. Il vantaggio però è quello di conoscere molti autori bravi...” Galeotta fu l'ammissione e la Manzon si sottopone al fuoco di fila di domande sempre più pertinenti l'intimo dello scrittore: in sala ne spuntano diversi aspiranti, evidentemente ammaliati da una autrice che ha già fatto breccia. Un libro è in qualche modo sempre autobiografico, conclude la Manzon che ricorda per lo scrittore l'urgenza di “sistemare pezzi della propria vita”. La sua, in questi giorni fila spedita: sosterà con autorevole posa nei prossimi giorni al salone internazionale del libro di Torino. 

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