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Vivere la quotidiana favola delle nostra esistenza

Vivere la quotidiana favola delle nostra esistenza

L’occasione ci è data da un recentissimo libro tradotto in italiano. Sono stata Alice dell’americana Melanie Benjamin, appare in libreria in straordinaria concomitanza di tempi e di marketing con l’uscita nelle sale cinematografiche di Alice in Wonderland di Tim Burton.
 
Fingiamo di non accorgersi di questa coincidenza per ritornare su di un tema che ci sta a cuore e che per certi versi viene messo in risalto dal libro della Benjamin. Sono stata Alice è in effetti la ricostruzione romanzata della vita di Alice Pleasance Liddell, cioè la bambina a cui Lewis Carroll s’ispirò per la celeberrima fiaba.
 
Intenzione dichiarata della Benjamin, la cui casa editrice d’oltreoceano ha già ceduto i diritti per la pubblicazione e traduzione a nove paesi prevalentemente europei, è quella d’ispirarsi, anche per il prosieguo delle sua produzione, al filone delle stories behind the stories.
 
Nel predisporci, nel prosieguo delle nostra argomentazione, ad affrontare l’ennesimo cortocircuito di stampo carolliano, procediamo per piccoli passi. Nel nostro caso, quindi, Alice Liddell, la bimba reale vissuta in piena epoca vittoriana, diventa oggetto narrato ed inserita nella trama sviluppata da Carroll. Poi, la Benjamin, terzo soggetto, ricostruisce, a distanza temporale, la storia di Alice Liddell, e la narra a sua volta.
 
Mancherebbe, a questo punto, in questo strano destino simile alle scatole cinesi e alla Matrioška russa, di conoscere proprio il punto di vista di Alice Liddell in persona, la quale, a sua volta, avrà raccontato e scritto di sé e della propria vita quotidiana. Ma, parafrasando Alice nel paese delle meraviglie sembrerebbe che il destino vero di Alice Liddell sia stato, e sia, quello di continuare a cadere, non tanto nella tana dei conigli, quanto nei racconti altrui. Si tratta di una sorte esclusiva, e per certi versi fortunata, riservata a d Alice Liddell? 
 
Viviamo nella realtà che ci circonda. Questo è chiaro. Oserei dire che nessuno lo potrebbe mettere in dubbio. Ciò che invece pone dei quesiti seri, e non di facile risposta, è individuare, e soprattutto definire, i due termini di questa convivenza sui generis. Non verrebbe voglia di inoltrarci in questi ragionamenti se non fosse per il fatto che forse uno dei nodi centrali della nostra quotidianità insiste intorno al problema identitario.
 
Certo è che noi viviamo sostanzialmente bombardati da pensieri nostri ed altrui, da notizie che ci pervengono nei modi più disparati, dai racconti di eventi che altri ci fanno e non ultimo dal racconto, soprattutto interiore, che noi facciamo del nostro quotidiano. Tutta una serie d’informazioni che devono essere messe in relazione tra loro. In un certo modo ordinate, temporalmente e logicamente, conservando alcune informazioni e tralasciandone altre. Ed è proprio in questa quotidiana operazione di ricordi e oblio che sicuramente si costruisce il nostro sé, non solo quello che rappresentiamo, ma anche quello che narriamo, e che narriamo a noi stessi.
 
Ed è quest’ultimo, diciamo riprendendo la notizia iniziale, solo il punto di vista Alice Liddell in persona, se mai si sarebbe potuto realmente conoscere. Ma anche, se per assurdo, ne avessimo conoscenza, questo sarebbe stato però il frutto di una complessa elaborazione e selezione da parte di Alice Liddell stessa. Quanto al racconto fantastico di Carroll, questo non esprime altro, per i nostri scopi contingenti, di come questi ha immaginato, in una sua propria, e forse autonoma, elaborazione la Alice di cui prima.
 
Infine, a più di un secolo di distanza, arriva il racconto della Benjamin che, si pone nei panni di Alice, per raccontare, in un’altra operazione di elaborazione e selezione, cosa avrebbe significato, sempre per Alice, essere stata raccontata da Carroll. Più che di stories behind the stories, si tratta di stories into the stories o ancora di stories vs. stories.
 
Ma che fine ha fatto Alice, quella reale? E irrimediabilmente scomparsa in questa matassa di auto ed etero narrazioni? Possiamo dar ragione a Bernardo di Morlay, che si riferiva alla rosa, sostenendo che l’Alice originaria esiste solo nel nome?
 
Ma poi, a pensarci bene, appariamo noi stessi coinvolti quotidianamente in questa organizzazione-raffrontro-scontro-mediazione tra quello che ci raccontiamo, che raccontiamo di noi stessi, e quello che gli altri, presi singolarmente, raccontano di noi.
 
E se la nostra identità fosse proprio questa ingombrante matassa?
 
 
Bibliografia Minima
Marc Augé. Les formes de l’oubli, Payot. 1998
Melanie Benjamin, Sono stata Alice, Fazi Editore 2010
Gianfranco Brevetto, Ghost Track, Aracne, 2009
Gianfranco Pecchinenda, Homunculus, sociologia dell’identità ed autonarrazione, Liguori , 2008
 

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