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Vivere di Francesca Archibugi

Vi vedo e sento correre ridere litigare urlare... Vivere in fondo, e v'invidio”. Il tema del film è tutto qui, e lo pronuncia in chiusura niente poco di meno che Marcello Fonte, indimenticabile Dogman, che in questo film fa l'occhiuto e a volte incolpevole invadente, solitudinario, vicino di casa di una famiglia composta da madre, Micaela Ramazzotti, da padre, Adriano Giannini, da bimba affetta da “asma psicosomatica”, che con la famiglia sgangherata - come tante - che si ritrova è il minimo, ragazza inglese aupair immancabilmente sedotta dal Giannini, giornalista non molto di successo, anche qui con un viso infelice e travagliato ma sempre pronto – chissà come fa – a far “tomber (cadere) des femmes”. 

C'è poi il contorno di attori pure importanti, Massimo Ghini nella parte di un pediatra vedovo che vorrebbe esistere per qualcuno, e il qualcuno prescelto è la casalinga disperata Ramazzotti (se non urlo manco me vedi, questa dice a suo marito), la comparsa di Enrico Montesano, notaio importante che morirà tra le braccia di un trans di colore (per la frequentazione viene in mente Piero Marrazzo, ex presidente del Lazio).




In mezzo a tutto quel Vivere ci sono ovviamente baci e tradimenti, lacrimoni e pentimenti (parole da una canzone datata di Umberto Balsamo) e, canzone in colonna sonora che pare dedicata al personaggio di Giannini,che colpa ne ho se il cuore è uno zingaro e và di Nada. La trama è abbastanza esile, pur scritta a sei mani dalla Archibugi, regista, Piccolo e Virzì. Cerca di toccare molte corde così, en passant, ma qualche volta non si può fare a meno di pensare che attori e registi sanno fare soprattutto film, e quello si limitano a fare, come i costruttori che sanno solo costruire case e continuano a farne, anche se non ce n'è bisogno. La conclusione di Marcello Fonte lo nobilita.

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