Vincolo di mandato. Perché ha ragione Grillo
Cos'è il vincolo di mandato? Perché è ragionevole? Perché ne parla solo Grillo?
Beppe Grillo ha ultimamente attaccato l’art.67 della Costituzione, reo di consentire il fenomeno dei parlamentari “traditori”. Essi, dice Grillo, dovrebbero essere per legge vincolati al mandato elettorale. Logico, dirà qualcuno. In realtà le cose sono un po’ più complesse, ma in ogni caso si tratta di una proposta ragionevole, che una volta precisata meglio diventa addirittura fondamentale per la democrazia nel nostro paese.
Invece abbiamo assistito subito ad una grande levata di scudi mediatica. Da osservatore esterno delle imbarazzanti beghe tra “grillini” e “antigrillini”, devo dire che se i primi mi sembrano ingenui, i secondi mi danno prova delle incredibili capacità persuasive dei media. Si assiste infatti ad un accanimento mediatico contro Grillo e il M5S, con fenomeni di disinformazione talmente palesi e goffi che un giornale come Repubblica sembra aver raggiunto la stessa serietà giornalistica del Tg4 di Emilio Fede.
Così nel caso del vincolo di mandato la versione dei media è stata questa: Grillo, nel suo dispotismo e nel suo disprezzo per le regole democratiche, attacca la Costituzione e fomenta il popolino in direzione di soluzioni “facili” quanto sbagliate. Peccato che contestare un articolo della Costituzione non voglia dire affatto attaccarla, ma rispettarne lo spirito, in quanto essa prevede di essere cambiata.
Ma tv e giornali per qualche giorno sono stati invasi da pazienti costituzionalisti intenti a “far ragionare” il popolo incolto. Il problema è che sono stati chiamati solo alcuni costituzionalisti (poco aggiornati). Sì perché la questione sollevata da Grillo è stata appunto sollevata da Grillo, non inventata da Grillo, e gode del supporto di fior fior di filosofi e politologi (l’assenza di vincolo era considerata da Kelsen una “farsa” e da Marx un “sofisma”, per citare soltanto i classici).
Aggiungici il fatto che il lessico usato da Grillo conteneva necessariamente le seguenti parole terribili: vincolo – imperativo – revoca – obbedienza…; mentre quello usato dai suoi critici le seguenti meravigliose paroline: libertà – coscienza – responsabilità – critica… Con queste premesse è stato facile convincere l’uditore/lettore più sprovveduto.
Quindi, vediamo di chiarire il problema.
L’articolo incriminato è questo: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Un bell’articolo. Cosa c’è che non va?
E ve lo chiedete?
Abbiamo imparato che la democrazia è questo: quel sistema in cui tutti possono partecipare alla formazione delle leggi che tutti devono rispettare. A causa della dimensione e della complessità della società attuale, è impossibile che tutti partecipino. Quindi ognuno elegge il proprio rappresentante, di solito appartenente ad un partito o associazione o movimento in cui l’elettore si riconosce e di cui vota soprattutto il programma.
Adesso invece veniamo a sapere che “il membro del Parlamento” da noi votato (mettiamo da parte le porcellate dell’attuale legge elettorale) non rappresenta affatto noi che l’abbiamo votato ma “la Nazione”, non è tenuto affatto a rispettare il programma scelto dall’elettore e il motivo della sua elezione, le sue decisioni sono assolutamente libere e non possono essere in alcun modo vincolate alle sue promesse elettorali, al suo partito o ad un patto sottoscritto con gli elettori.
La motivazione tradizionale dell’articolo è questa: il parlamentare non deve rappresentare gli interessi di alcuni ma gli interessi di tutti.
L’obbrobrio giuridico è evidente: il parlamentare (si dice) non deve rappresentare il suo elettore, cioè esattamente colui che (si dice) deve rappresentare.
Come è possibile tale contraddizione? I nostri Padri Costituenti erano stupidi?
Per capire meglio, usiamo una distinzione di Max Weber.
La rappresentanza può essere di tre tipi: appropriata – libera – vincolata.
La rappresentanza appropriata è tipica del Medioevo: il rappresentante è un semplice “funzionario” inviato dall’alto a riferire le posizioni del suo padrone.
La rappresentanza libera è tipica del parlamentarismo borghese, ancora attuale: il rappresentante è libero di scegliere e di votare qualsiasi cosa (come ci fa notare in un ottimo studio Salvatore Curreri, tale forma ha poco a che fare con la “libera coscienza”, ma ha origine allorquando il Re volle manovrare il Parlamento impedendo che i deputati liberali fossero vincolati al loro elettorato anti-monarchico).
La rappresentanza vincolata è tipica, ci auguriamo, della democrazia a venire: il rappresentante è tenuto a prendere decisioni in linea con l’elettorato che lo ha votato, pena la perdita del seggio (e l’immediata sostituzione con il primo dei non eletti).
È naturale che questa misura aumenterebbe la partecipazione del cittadino, che non dovrà più solo limitarsi a non rivotare 5 anni dopo il parlamentare che ha tradito la sua fiducia, ma potrà controllarlo e revocarlo durante i 5 anni. È questa una forma di democrazia diretta che si affianca alla democrazia rappresentativa senza sostituirla, così come auspicato da Bobbio in Il futuro della democrazia, e recentemente in Moltitudine di Hardt/Negri e in un preziosissimo pamphlet di Ginzborg intitolato La democrazia che non c’è. Come vedete, non si tratta di una follia sparata da Grillo.
Aggiungo che la rappresentanza libera poteva andare bene nei parlamenti ottocenteschi, quando votava il 2% della popolazione: il Parlamento era espressione di quel 2% e non presentava fazioni interne; di conseguenza il parlamentare poteva rappresentare “tutti”. Ma con il suffragio universale vi è stata l’irruzione in Parlamento della classe operaia, contadina e piccolo-borghese. Quindi il Parlamento novecentesco si è configurato come mediatore pacifico dei conflitti sociali, in cui ogni fazione rappresenta la sua parte (non “tutti”) combattendo politicamente con la parte opposta. La rappresentanza libera è quindi un retaggio ottocentesco.
Perché allora i Costituenti non hanno adottato la rappresentanza vincolata?
Semplice. Perché quando hanno scritto la Costituzione “l’elettorato” che avrebbe dovuto vincolare il parlamentare era espresso unicamente dalle volontà del partito, e le decisioni di tale partito non erano espressione di una democrazia dal basso, ma di una segreteria chiusa. In pratica si sarebbe tornati alla rappresentanza appropriata medievale. Quindi i Costituenti hanno preso la decisione giusta. Ma la decisione giusta nel 1946, non per le esigenze di oggi.
Infatti la differenza è molto sottile.
Poniamo la seguente situazione:
- il partito decide X nel suo consiglio interno
- il deputato vota Y in Parlamento
- se il partito ha deciso di votare X dall’alto, mediante una dirigenza statica in cui il deputato non è stato coinvolto, la decisione del deputato di votare Y è un’espressione di democrazia (giusto che non sia vincolato al partito – legge attuale)
- se il partito ha deciso di votare X dal basso, mediante democrazia interna in cui il deputato è stato coinvolto, la decisione del deputato di votare Y è un’espressione di antidemocrazia (giusto che sia vincolato al partito – legge che si richiede)
Se non è d’accordo, che faccia valere le sue opinioni e la sua libertà di coscienza all’interno del partito, che si batta nel partito perché le sue idee conquistino la maggioranza, ma se messo in minoranza che rispetti la decisione democratica del partito, al limite che si astenga, ma è inammissibile che possa votare contro. Se il dissidio riguarda questioni etiche irrinunciabili, il deputato voti contro il suo partito e perda il seggio, così che la carica etica del gesto sarà ancora più importante. È il semplice e geniale centralismo democratico, elaborato da Lenin per il Partito Comunista: divisione all’interno-unione all’esterno. Purtroppo Lenin lo pensò in modo troppo verticistico, come centralismo appunto. Ma se del centralismo democratico va abbandonato il sostantivo, va certamente recuperato l’aggettivo.
Ne consegue che:
- se si modifica l’art.67 (introducendo il vincolo di mandato) senza modificare l’art.49 (consentendo quindi la presenza di partiti senza sufficiente democrazia interna) si tornerebbe alla rappresentanza appropriata
- se si modifica l’art.67 modificando l’art.49 (obbligando i partiti a dotarsi di meccanismi di forte democrazia diretta) si giungerebbe finalmente alla rappresentanza vincolata
Adesso il lettore si chiederà: ma il M5S a quale categoria appartiene?
Se Grillo si scaglia contro la rappresentanza libera, siamo sicuri che lo faccia per quella vincolata e non per quella appropriata?
Sono consapevole che, da quanto vediamo ogni giorno, il M5S è il partito meno democratico. Ma se spegniamo la televisione, cioè il mezzo attraverso cui “vediamo ogni giorno”, scopriremo che il M5S è il partito attualmente meno antidemocratico (democratico non possiamo certo definirlo). Quindi è giusto che tale questione sia stata sollevata da Grillo, in quanto i deputati del M5S non hanno tradito una sua personale direttiva, ma uno statuto che gode di legittimità referendaria tra gli iscritti. Grillo ha quindi chiaramente attaccato la rappresentanza libera non in nome di quella appropriata (“decido io e voi mi avete tradito”), ma in nome di quella vincolata (“ha deciso la base e voi l’avete tradita”). In ogni caso è un bene che qualcuno abbia parlato di questo problema (purtroppo tocca ad un comico).
Giornalisti strapagati di illustri testate giornalistiche, in questi giorni di impegnata disinformazione, hanno concluso i loro non-articoli sul vincolo di mandato scrivendo: “Attenzione! Il vincolo di mandato c’era in URSS e attualmente in Portogallo, India, Panama!”… roba da terzo mondo, insomma.
Hanno dimenticato di dire che la costituzione portoghese è universalmente riconosciuta come una delle più avanzate del mondo (ad esempio lì hanno anche l’elezione diretta del Presidente della Repubblica), che Sartori in Ingegneria costituzionale comparata definisce quello dell’India un “esempio istruttivo”, che l’URSS aveva solo una cosa democratica: la revocabilità delle cariche, appunto, lascito dell’esperienza di democrazia diretta dei soviet. E hanno anche dimenticato di aggiungere che recentemente alcuni stati degli Stati Uniti hanno copiato il sistema in uso in URSS (loro lo chiamano recall).
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