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Vigdis Finnbogadottir, la madre della nuova Islanda

Per l’altissimo profilo istituzionale e culturale, per aver fatto conoscere l’Islanda al mondo e aver mostrato come una umanista potesse ritagliarsi ruoli di vertice a livello nazionale e internazionale, un “Ritratto“ non possiamo non dedicarlo a Vigdis Finnbogadottir, forse il più amato Capo di Stato islandese e tra le personalità più note espresse dalla piccola isola scandinava. 

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Vigdis Finnbogadottir nacque a Reykjavik il 15 aprile 1930 in una famiglia benestante e, senza nulla togliere al merito del personaggio, con ottimi legami in Islanda: suo padre, Finnbogi Thorvaldsson era ingegnere civile e professore di ingegneria all’Università di Reykjavik mentre la madre Sigridur Eirikisdottir (in Islanda non c’è il cognome ma il patronimico -dottir per le donne e -sson per gli uomini) fu presidentessa dell’Associazione Nazionale degli infermieri islandesi per 36 anni. La coppia ebbe l’anno seguente un altro figlio, Thorvaldur. Il sogno della Vigdis bambina era di fare il pilota d’aereo, professione che a quel tempo era del tutto inusuale per una donna e non frequentò quindi scuole aeronautiche. Col senno di poi un’ottima scelta. Ad ogni modo l’istruzione in famiglia era considerata fondamentale e la Finnbogadottir, una volta completati gli studi liceali al Menntaskollin di Reykjavik, nel 1949, seguendo le orme dei genitori, andò a studiare all’estero, nel continente europeo, specializzandosi in letteratura francese e storia del teatro. A Grenoble e alla Sorbona studiò lingua e letteratura francese, a Copenhagen storia del teatro e in Islanda, all’università di Reykjavik ottenne anche una laurea in quella che chiameremmo pedagogia o scienze dell’educazione e una in lingua inglese.

Data la sua vasta preparazione, una volta tornata in Islanda divenne insegnante di francese dal 1962 al 1967 alla Menntaskollin di Reykjavik, la sua alma mater, e successivamente, dal 1967 al 1972 alla Mentaskollin di Hamrahid, fondata nel 1966 dal Ministero dell’Istruzione e nella quale diresse il dipartimento di francese. Sposatasi nel 1954 e divorziata 9 anni dopo, nel 1971, adottò una bambina, Astriour Magnusdottir, e fu la prima donna single a beneficiare dell’istituto dell’adozione. Dal 1972 al 1980 fu la direttrice artistica del Teatro di Reykjavik (nella cui veste da un lato rinnovò il teatro islandese aprendolo alle istanze contemporanee di Ionesco e Beckett e dall’altro recuperò il patrimonio poetico e letterario norreno), lavorando anche per il ministero del turismo durante l’estate, come guida per giornalisti e scrittori stranieri, per divulgare storia, geografia e cultura islandese. Sempre in quegli anni teneva corsi di francese alla RUV (la televisione di stato islandese). Il suo attivismo culturale si accompagnava al più modesto impegno politico, senza coinvolgimento diretto (il solo incarico che ricoprì fu quello di membro del Comitato consultivo per gli affari culturali nei paesi nordici nel 1976 essendone eletta presidente nel 1978) ma partecipando a diverse marce pacifiste per chiedere il ritiro della NATO dall’Islanda, marce che divennero frequenti tra gli anni ‘60 e ‘70, in concomitanza con il movimento pacifista giovanile e, per quanto riguarda l’Islanda con la Guerra del Merluzzo contro il Regno Unito.

Non era, contrariamente a quanto si possa pensare, una personalità di spicco del movimento femminista islandese che nel 1975 aveva proclamato uno sciopero generale delle lavoratrici, con una adesione del 90%, mostrando la sua forza politica. Nel 1980, allo scadere del mandato del Presidente Kristjan Eldjarn, eletto nel 1976 come unico candidato, il movimento femminista pensò di candidare la Finnbogadottir, comunque personalità apicale in campo culturale del paese. Dopo qualche reticenza la Finnbogadottir accettò di candidarsi alle presidenziali, unica donna di 4 candidati tra cui la vecchia conoscenza del calcio italiano, il rossonero Albert Gudmundsson, attaccante del Milan nella stagione ‘48-’49 con 14 presenze e due reti (che fu poi ministro delle finanze dal 1983 al 1985 e dell’industria dal 1985 al 1987, costretto a dimettersi per uno scandalo fiscale). Finnbogadottir vinse inaspettatamente con il 33,8% delle preferenze (43611 voti) sopravanzando il 1911 voti Orvaldsson, con una campagna elettorale basata sulla storia, l’ecologia e l’identità culturale islandese.

Fu la prima donna al mondo a essere democraticamente eletta Presidente di una repubblica. Come molte presidenze, anche quella islandese dà un potere sfumato e a fisarmonica al proprio titolare: nomina i ministri, designa il primo ministro in base a colui che reputa più in grado di formare un governo di maggioranza, firma le leggi o vi pone il veto (le leggi devono passare da un referendum), può emanare leggi provvisorie in assenza del Parlamento (che diventano nulle se il parlamento non le approva), può sciogliere l’assemblea, può sottoporle progetti di legge e può concedere la grazia. Finnbogadottir intese il suo mandato in maniera neutrale, sulla linea tracciata dal suo predecessore, lasciando molta autonomia ai partiti e al parlamento, ritagliando per sé il ruolo di garante della Nazione e svolgendo un ruolo attivo nella promozione del paese come ambasciatrice culturale, rimarcando in ogni occasione il tema della cooperazione tra i paesi nordici, che lei spesso chiamava “l’anello d’oro”. Per lei la Presidenza, più che un incarico politico, era un incarico fiduciario con il popolo. Dopo essere stata rieletta da unica candidata nel 1984, portò l’Islanda sulla scena internazionale nel 1986, ospitando a Reykjavik il vertice cruciale tra il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e il leader sovietico Mikhail Gorbaciov. L’incontro, svoltosi nell’ex consolato francese, non si chiuse con accordi definiti ma fu politicamente fondamentale, nella fase finale della Guerra Fredda, per capire quale fosse il livello massimo di concessioni che i due contendenti erano disposti a fare. Inoltre, inaugurando una strategia di politica estera che ora viene spiegata con più forza, i Diritti Umani furono oggetto di discussione e negoziato per la prima volta. Il Vertice fu funzionale all’Islanda per mostrare quale ruolo potesse avere un piccolo stato all’interno del giuoco tra USA e URSS. Le elezioni del 1988 la videro pertanto trionfare con un vero e proprio plebiscito: vinse con il 94,6% dei voti (117292 preferenze) contro l’altra candidata Sigrun Thosteindottir.

Il suo ruolo di ambasciatrice culturale, di appassionata della lingua, della cultura e delle tradizioni islandesi ne fecero una presidentessa assai popolare, tanto da non avere rivali nelle elezioni del 1992. Attenta alle tematiche ambientali, piantando tre alberi in ogni luogo da lei visitato nel paese (uno per i maschi, uno per le femmine e uno per i nascituri), contribuì a far nascere nel popolo islandese, su cui aveva notevole ascendente, una spiccata coscienza ecologica. Nel 1996, ormai sessantaseienne, dopo 16 anni di presidenza, malgrado avesse i numeri, decise di non candidarsi. Nel frattempo, il 26 gennaio 1990 aveva ricevuto il premio International Leadership Living Legacy Award dal Women’s International Center, inaugurando una carriera di rappresentanza internazionale che la vide: nel 1996, dopo essersi ritirata dalla carica pubblica, presidente fondatrice del Council of Women World Leaders all’Università di Harvard; dal 1997 al 2001 prima presidente della Commissione Mondiale dell’UNESCO sull’etica della conoscenza e della tecnologia scientifica (COMEST); nel 1998 ambasciatrice di buona volontà per l’UNESCO per il suo contributo alla promozione della diversità linguistica e all’educazione plurilingue e nel 2000 Ambasciatrice di buona volontà delle Nazioni Unite nella lotta contro il razzismo e la xenofobia, nonché dal 2001 membro del Club di Madrid.

Meno male per l’Islanda che non è riuscita a fare il pilota d’aereo.

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I ritratti dell’Osservatorio

Foto Wikimedia

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