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Viaggio sola (libertà = solitudine?)

Amaro destino quello di essere un controllore di standard degli hotel d’”alto bordo” e constatare che le proprie condizioni di vita non rispondono a quei canoni pretesi per lavoro. Ma c’è continuità tra il lavoro e la vita, Margherita (Buy) viaggia per alberghi sola, e sola è quando arriva nella sua casa a Roma, 40enne senza una famiglia propria, mandata per ogni dove dal suo giornale di rating turistici proprio perché – parole sue - “non ho una vita” o perché lei è in finta compagnia, “io, me stessa e me” e la sua casa non le offre “calore e appagamento” come il rating pretende per le stanze d’albergo.

 

È poi un vero peccato che fuori dagli alberghi di cui è ospite non si goda quasi nulla e intraprenda scarse conoscenze, non è un bel viaggiare a Parigi, Gstaad, San Casciano dei Bagni, Berlino, Marrakech, Shanghai. Gode per lavoro delle strutture e del lusso degli alberghi stessi, perciò è pagata. Ma “il lusso è una forma d’inganno”, le dice Kate, una viaggiatrice conosciuta all’hotel Adlon di Berlino; in effetti devono sembrarle inutili tutte le premure professionali di cui in questi posti è destinataria, la temperatura dei cibi che le vengono serviti, la polvere da cercare nei posti più impensabili, cose che in un’occasione definisce i “gravi problemi dell’umanità” di cui lei si occupa, se poi, nella sua vita privata, c’è un quasi deserto di “intimacy”, intimità, concetto su cui la fa riflettere – come un campanello improvviso - proprio la ”antropologa” Kate. Questo è ciò che le manca: quando bacia, e ci passa una notte assieme, Stefano (Accorsi), suo grande amico ed “ex” di quindici anni prima, non le deve sembrar vero, chissà da quanto non baciava qualcuno. Realizza presto però, il mattino dopo, che una vita a due o aver figli non è quello che ha mai desiderato e che della sua vita in fondo si compiace.

Non sembrano attrattive infatti le condizioni in cui vive sua sorella, sposata con il musicista Gianmarco (Tognazzi), tipico marito evanescente che in casa si dedica soprattutto ai giochi via computer, la conduzione di una animal farm nella fattispecie. Ecco, di affetto Margherita non è sprovvista, per sua sorella, per le due nipotine, per Fabiana, la nuova compagna di Stefano da cui aspetta un bambino: proprio da lei viene silenziosamente abbracciata una volta in auto, per le parole affettuose che ne ha ricevuto.

È abbastanza arduo pensare che una materna Buy – che consolava perfino il designato Papa Michel Piccoli in “Habemus Papam” – possa essere davvero una single che si gode una così triste libertà, la quale è solitudine (parole del film). Una riflessione a margine, chissà se la regista Maria Sole Tognazzi ce la vuole davvero suggerire: non è strettamente necessario, o obbligatorio, che esista una famiglia per dare e ricevere affetto. Margherita confessa per gioco alla sorella, al telefono da un aeroporto, che è in partenza per la Tanzania dove insegnerà inglese ai bambini di un villaggio: sarebbe una giusta aspirazione per il personaggio, l’affetto per i bambini e via dal lusso inutile, “inganno”.

È un film gradevole e misurato (come la Buy), ironico e triste quanto basta, una segreta osservazione di famiglie e solitudini. Se il cinema rappresenta la vita e la vita è sogno, anche il cinema è sogno e ci si lascia prendere – se conviene – dalla sua storia, grande o minima, si resta nel film e in quei fatti per qualche giorno dopo averlo visto. Altro pretesto offertoci per restare nel film sono gli squarci su Berlino, che sembra la città a cui maggiormente le immagini riservano un tributo speciale.

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