Venezia: Le metamorfosi di Pasquale al Teatro Malibran
Una farsa giocosa per musica di Gaspare Spontini restituita dopo duecentosedici anni alla scena della città che la tenne a battesimo
Breve vita ebbe Le metamorfosi di Pasquale al suo apparire al Teatro Giustiniani di S.Moisè, a Venezia, il 16 gennaio del 1802 dal momento che, vista l’accoglienza tiepida ricevuta, già il 22 dello stesso mese scomparve dal cartellone senza farvi più ritorno.
Gaspare Spontini, compositore di questa farsa giocosa per musica su libretto di Giuseppe Maria Foppa, dopo questa delusione probabilmente trovò la spinta a tentare la fortuna fuori dall’Italia per iniziare a Parigi una nuova carriera che si rivelò, invece, assai brillante grazie a lavori quali La vestale (1807) e Fernand Cortez (1809).
Cadde così nell’oblio la sua produzione italiana, oramai obsoleta visto l’imporsi dell’opera di Rossini, e si perse ogni traccia della quasi totalità di questi lavori.
Nella primavera scorsa quattro autografi di Spontini furono ritrovati nella biblioteca del castello di Ursel a Hingene, nelle Fiandre, giunti lì probabilmente attraverso un asse ereditario risalente direttamente alla vedova di Spontini, Cèleste Erard, che li aveva conservati scrupolosamente alla morte del marito e dopo un lavoro di riordino, e talvolta di ricostruzione ex novo delle battute mancanti, la partitura viene riconsegnata alla scena di Venezia duecentosedici anni dopo.
Il libretto, la cui struttura drammatica ricalca i modelli allora in voga, si presenta piuttosto generico dal punto di vista della versificazione e pure la caratterizzazione dei personaggi appare sommaria.
Interessante invece si rivela la musica del giovane Spontini, al cui interno si riconoscono echi mozartiani e trovano spazio alcune ricercatezze come ad esempio un’aria di Lisetta in cui è previsto un solo del corno inglese, come da consuetudine nel teatro Giustiniani, all’epoca.
Nella produzione del teatro Malibran la regia di Bepi Morassi è molto accurata e vivacizza assai, ma a tratti anche stanca, per la sovrabbondanza di gag e controscene condite dalla presenza degli stilemi del regista veneziano.
«Sono partito – spiega Morassi – dalla natura ‘napoletana’ dell’opera, anche se la città non è esplicitamente citata nel libretto, e da qui ho identificato un’ambientazione che mi sembrava convincente. Siamo agli inizi del Novecento, in un periodo di passaggio estremamente vitale non ancora funestato dall’orrore della guerra, caratterizzato dall’avvento dei Café chantant».
A partire da queste indicazioni gli allievi della Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia hanno concepito le luci e realizzato le scene di Piero De Francesco e i costumi di Elena Utenti.
Adattissime le voci, a cominciare dal soprano Irina Dubrovskaya, Lisetta, che abbiamo avuto modo di ascoltare nel teatro lagunare in diverse produzioni. E’ lei a ricoprire il ruolo più impegnativo vocalmente e ci regala un personaggio fresco e vibrante che svetta piacevolmente nelle agilità. Nel ruolo del titolo, il basso-baritono Andrea Patucelli che offre un accattivante Pasquale. Michela Antenucci è una Costanza apprezzabile. Il marchese, il tenore Giorgio Misseri, come il baritono Carlo Checchi, Frontino, pur meritevoli scenicamente, non rendono al pari vocalmente per lo scarso volume. A completare il cast Francesco Basso, il barone, e Christian Collia nel doppio ruolo del cavaliere/sergente.
Gianluca Capuano, direttore e maestro al clavicembalo, guida con perizia l’orchestra del Teatro, ma vien da chiedersi se un fortepiano non sarebbe stato più consono considerata l’epoca della composizione.
Un’ora e mezzo simpatica, che il pubblico ha gradito con sincera partecipazione.
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