• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Società > Una testimonianza diversa da quella dei Ciancimino

Una testimonianza diversa da quella dei Ciancimino

Una testimonianza diversa da quella dei Ciancimino

Se l’essenza del giornalismo è “render testimonianza dei fatti”, oggi il vostro reporter vorrebbe renderne una testimonianza, sulla mafia, diversa da quelle che quasi quotidianamente rende l’ultimo dei Ciancimino nelle aule dei Tribunali.
 
E, per parlare di mafia, un punto di partenza fermo ed essenziale lo ritroviamo nel discorso tenuto da Leonardo Sciascia alla Camera dei Deputati il 6 marzo 1980, quando, contestando quanto detto dai colleghi parlamentari nel dibattito precedentemente svoltosi, ebbe a dichiarare: «La maggioranza degli interventi sembra convenire sulla tesi – vecchia tesi – secondo la quale la mafia insorge nel vuoto dello Stato; invece, insorge nel pieno dello Stato. Questa è la constatazione preliminare indispensabile da fare». E proseguì citando la relazione del procuratore generale di Trapani don Pietro C. Ulloa, datata 3 agosto 1838, che, sempre parole di Sciascia, «descriveva la mafia così come l’abbiamo conosciuta noi, ed era una mafia di procuratori del re, di segretari comunali e di preti».
 
Di questa relazione, che Pietro C. Ulloa inviò all’allora ministro della giustizia Parisio, si riporta un passo fondamentale: Non vi è impiegato in Sicilia che non si sia prostrato al cenno di un prepotente e che non abbia pensato a trarre profitto dal suo ufficio. Questa generale corruzione ha fatto ricorrere il popolo a rimedi oltremodo strani e pericolosi. Vi ha in molti paesi delle “Fratellanze”, specie di sette […] senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo. Che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di far esonerare un funzionario, ora di conquistarlo, ora di proteggere un colpevole, ora d’incolpare un innocente. Il popolo è venuto a convenzione coi rei.
 
Tutto questo oggi, nell’anno del Signore 2010, i meridionali in generale ed i siciliani in particolare, lo continuano a vivere sulla loro pelle nell’identica misura descritta da Pietro C. Ulloa; e sono sempre costretti per sopravvivere, chi più chi meno, a venire a patti con i mafiosi ed a rinunciare alla loro dignità di persone. Quanto meno entrano tutti in un ufficio pubblico con il cappello in mano; come se esso fosse l’emanazione di una potenza straniera, di un lontano monarca. Mentre vedono che, quando nello stesso ufficio entrano certi personaggi, sono gli impiegati a balzare in piedi con il cappello in mano; come davanti all’emissario di una potenza straniera, di un lontano monarca.
 
Invero qualcuno non ritiene accettabile vivere una vita senza dignità; ed allora, come per gli cioccolatini di Forrest Gump, non sa mai quello che gli capita: dal suicidio (si veda il caso del professore Adolfo Parmaliana, cui avevano sottratto la dignità di persona con un vergognoso rinvio a giudizio), all’omicidio (e qui c’è solo l’imbarazzo della scelta; il vostro reporter sceglie il dottor Gaetano Costa, Procuratore della Repubblica di Palermo, ucciso dopo aver firmato in solitudine gli ordini di carcerazione per alcuni mafiosi, mentre sotto casa dava un’occhiata ai libri di una bancarella), all’esilio coatto (si veda il caso dell’avvocato Ugo Colonna, cui son pure toccati nove giorni di galera). Nei casi minori si accontentano di incastrarti in un processo penale, di cucirti addosso “un cappotto”. Giungono sino a pretendere da te che consegni nelle loro mani la tua dignità di persona, vogliono che ti strappi di dosso quella che gli stoici dissero essere un abito della persona da non dismettere mai come fosse una seconda pelle e, ancora sanguinante, lo consegni a loro. Incolpare un innocente, come diceva Pietro C. Ulloa; appunto, oggi come allora.
 
Cosa fare? Ci vorrebbe non una seconda spedizione dei Mille di tipo amministrativo, come sostiene il ministro Renato Brunetta, ma un secondo esercito americano armato fino ai denti che liberasse i campi di concentramento in cui si vive al Sud e, poi, costringesse i mafiosi a visitarli per vedere a cosa ha portato la loro bestialità, ossia all’arretratezza del Meridione ed alle tante, infinite vite umane uccise e violentate. Proprio come fecero Patton ed Eisenhower in Germania nel 1945. Purtroppo questo, oggi come oggi, è solo un sogno, un pio desiderio.
 
Ma, nel frattempo che qualcuno li liberi, i meridionali non devono ficcare la testa sotto la sabbia come gli struzzi, non devono accettare quella che Bruno Bettelheim chiamò “la mentalità del ghetto” e farsi massacrare senza reagire: devono resistere ed opporsi ai mafiosi, anche se la potenza, economica e politica, di questi ultimi è infinitamente grande. Tanto, comunque farebbero strage di loro esattamente come fecero i nazisti con gli ebrei.
 
Da dove eravamo partiti? Ah, eravamo partiti dalle testimonianze del figlio di un ex sindaco democristiano di Palermo, da una famiglia ben nota, quella dei Ciancimino.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares