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Una riflessione su esperienza, contesto e cambiamento

Finalmente, dopo qualche tempo, arriva la quarta chiave, si sarà detto qualcuno. Come per ogni cosa umana, è necessario un certo lasso di tempo di maturazione dell'esperienza e la stessa chiave ha necessitato di questo tempo e percorso. L'esperienza che ogni individuo fa nella propria vita, giorno dopo giorno, è la base da cui apprende ed esprime la propria personalità. Ma questo aspetto non è così ovvio come superficialmente può sembrare, nasconde il motivo per il quale alcune civiltà si sono distrutte. Nell'esperienza esistono due tipi di apprendimento: quello formale e quello informale.

Per formale si intende la scuola e il luogo di lavoro: luoghi deputati in modo indiscutibile alla diffusione di ciò che serve a vivere nella società. L'apprendimento informale è quello personale, quello che deriva dalle situazioni e si rivolge verso il proprio stile di vita, il proprio carattere e, in ultima analisi, verso la propria salute fisica e psichica. Qui, la varietà è tale che è impossibile descrivere o ridurre a categorie questo tipo di apprendimento. Certo è che questo processo non è scontato, spesso viene limitato o negato da affermazioni tipo “Il carattere è immodificabile” o “Non ho tempo per queste cose” o “Sono solo pensieri”, scuse che evitano una riflessione sulla vita e il proprio comportamento, tanto più necessaria quanto più riguarda lo scopo, i valori portanti della nostra esistenza, la morte.

Sebbene tendiamo a sfuggire a queste riflessioni e a rifugiarci nella ricerca di fama, successo, denaro e potere come risorsa contro il vuoto che sperimentiamo dentro di noi proprio perché non riflettiamo su questi argomenti, la vita ci costringe a guardarci dentro quando ci sottopone a un'esperienza forte. Tuttavia, data la mancanza di familiarità con l'osservazione di noi stessi, spesso cadiamo nel qualunquismo di una struttura mentale, in archetipi dolorosi e ripetitivi, in speranze e fedi mal riposte oppure nel nichilismo. Questi aspetti non sono esperienze che fanno crescere, nel senso che intendo io, sono solo sterili sfoghi di pressioni emotive interne che si autoalimentano nella ripetizione, la stessa che usiamo quando deleghiamo a regole e principi imposti con forza o per legge la nostra responsabilità. L'esperienza, quella che ritengo più vera, fa crescere dentro di noi la coscienza, la cultura, il senso di responsabilità, l'essere noi stessi: in poche parole, la comprensione che ogni nostra azione deve essere libera da condizionamenti perché sia significativa.

È nella libertà di ognuno accettare o meno gli ammaestramenti che vengono dalla vita; in alternativa ci sono tutti i passatempi che la società offre per perdere tempo e occasioni di crescita. Anche la cultura fine a se stessa, quella che porta a teorie e immagini prive di applicabilità risulta essere un gioco, in cui le persone si cimentano allo scopo di mostrarsi migliori di altri. Quando un pensiero diventa ripetitivo, si struttura alla stessa maniera di quando è basato solo sulla logica. Dov'è allora la differenza? E come valutarla? Il criterio mi sembra abbastanza semplice: quando un concetto risulta sempre vero e applicabile alla vita, significa che la vita non è cambiata. Non mi riferisco ai precetti religiosi, ma alle semplici verità di un fumetto come “Mafalda”: dopo decenni è ancora valido, alla stessa maniera dei monologhi di Jack Folla o, per chi li ricorda, il film su Cyrano de Bergerac o le tragedie greche. Per noi che veniamo dopo queste esperienze può essere confortante ritrovare una voce del passato che ci parla del nostro presente, ma in realtà, se andiamo a guardare bene, è terribile, perché significa che l'essere umano non è si evoluto, non si è posto né domande né si è dato risposte – al massimo si è rifugiato nei miti dell'evoluzione tecnologica, allontanandosi sempre di più da uno sviluppo morale ed etico che deve sempre tenere conto dell'uomo nel suo insieme, non di una realtà spezzettata in tanti segmenti senza comunicazione tra loro, così come fa la scienza comunemente intesa.

Risulta ovvio che questa visione è generale e dobbiamo cercare di capirla in modo personale se vogliamo scoprire dove dentro di noi non c'è cambiamento: ogni volta che noi guardiamo fuori, in realtà guardiamo dentro. Quello che vediamo fuori di noi è la rappresentazione di ciò che c'è dentro e ciò che non ci piace fuori è ciò che dobbiamo cambiare dentro. Forzare le situazioni esterne significa andare controcorrente: è certamente possibile, ma lo si fa con grande dispendio di energie e col rischio anche di morire. L'alternativa a questo movimento titanico, eroico e, diciamolo, anche molto remunerativo in termini di autostima, è cambiare dentro. Il fatto è che questo cambiamento avviene nell'ombra della propria interiorità e spesso passa inosservato agli altri, non dà prestigio sociale ed è fatto di cose piccole, umili, anche noiose. Eppure è di questo che voglio parlarvi. È possibile cambiare davvero, anche se sembra impossibile, perché ciò che ci ostacola sono solo scuse.

L'esperienza è una summa di dati che rielaboriamo in modo da farci mettere in relazione elementi apparentemente lontani tra loro. Possono essere dati tratti dalla vita quotidiana, dai prodotti culturali o dalla vita di un'altra persona: l'importante è che ciò che ci accade venga scandagliato dall'interno, con un occhio agli aspetti dinamici esterni (il come, il cosa, il quando ecc.) e un occhio all'eco interna che produce dentro di noi. Quanto ci accade, infatti, provoca in noi dei mutamenti, talvolta appariscenti – una reazione di rabbia, di gioia - talvolta minimali – una variazione del ritmo del respiro, una modificazione delle secrezioni ormonali – ma il più delle volte non siamo mentalmente disponibili ad accorgercene, perché pensiamo di essere troppo indaffarati con i problemi della vita quotidiana. In questo modo, tuttavia, perdiamo il senso di ciò che accade e le sue correlazioni con noi stessi, cosa che ci impedisce di assumere comportamenti migliori una volta che si dovessero riproporre le stesse condizioni – a questo serve l'esperienza. Non è un cumulo di notizie ma un bagaglio di avvertimenti e strategie di difesa per il futuro, visto che lo scopo primario del nostro organismo è di mantenersi in buona salute e di non esporsi ai pericoli. Certo, è necessaria un'enorme attenzione ad ogni dettaglio, perché la vita non si ripete mai nella stessa forma, mentre noi tendiamo a fare generalizzazioni grossolane. Per questo è necessario rimanere attenti e privi di pregiudizi: in questo modo saremo in grado davvero di percepire le sfumature e le somiglianze tra fatti lontani tra loro e di separare fatti che invece ci appaiono uguali. L'aggiustamento interno che facciamo sulla base di ciò che abbiamo assimilato con l'esperienza è il moto del cambiamento che dicevo prima.

Per poter vivere al meglio questo moto dobbiamo incontrare molte persone, persone che saranno in rapporto alla nostra crescita, perché le cose non accadono per caso e se incontriamo una certa persona vuol dire che è per noi opportuno incontrarla. In ogni momento dobbiamo renderci conto delle occasioni in cui siamo coinvolti, perché non rendercene conto significa perdere delle occasioni che potrebbero non ritornare. Quante sono le occasioni che abbiamo perso? Alcuni cercano di prendere tempo, si raccontano di non essere pronti: la realtà dei fatti è che le cose capitano nel momento in cui capitano, sono ora e non nel passato o nel futuro. Non si demanda, non si rimanda, se si vuole vivere una vita cosciente e seria, che permetta alla nostra coscienza di stare bene e a noi di vivere appieno ogni esperienza. Il tempo passa per tutti e siccome non possiamo sconfiggere la morte non abbiamo altro modo di aumentare il nostro tempo se non quello di viverlo in tutte le sue sfumature, in modo che ci risulti ricco e pieno.

Come vedete, tutta la questione dell'esperienza è legata ai singoli e non al mondo. Il mondo è solo uno specchio dove ci riflettiamo e, che ci piaccia oppure no, è il nostro reale campo di battaglia, dove il nemico siamo noi e la guerra non è abbattere, negare, distruggere, scappare, circondare, ma imparare ad abbracciarci con amore l'un con l'altro. Amore che non è non sentimentale, non è passionale, non è esteriore: è comprensione e compassione interiore. Questi sono aspetti che se coltivati verso noi stessi in primo luogo si manifestano poi all'esterno, giorno dopo giorno, e vanno mantenuti vivi nella pratica, altrimenti diventano anch'essi parole vuote, come succede con le parole dei dotti, che suonano vuote e inutili quando sono solo frutto della mente e suonano piene e ricche quando lasciano intravedere l'esperienza di chi le ha scritte, quando permettono a chi le legge di aggiungere la propria esperienza. A questo punto immagino che ci sarà qualcuno che dirà che la verità sta sempre al 50% dalla parte di una sola persona. In effetti è sempre così: come nel classico esempio, lo stesso bicchiere si può vedere mezzo pieno o mezzo vuoto. Ciò che voi percepite di un concetto, di una esperienza, è sempre un 50% che riguarda voi e un 50% che riguarda il vostro interlocutore. Il fatto è che voi guardate sempre all'interlocutore e mai a voi e giudicate spesso il primo sulla base di ciò che vi si muove dentro. Ciò accade perché usate male non solo la vostra mente, ma gli stessi sensi, dato che non percepite la differenza tra registrare e giudicare, minima in termini di tempo, enorme in termini di valore.

La percezione di quel 50% perduto è limitata a volte alle sole parole e quando può andare bene se ci si limita al solo senso letterale di una frase, ma spesso non sapete andare oltre. Non sapete comprendere il contesto da cui una frase arriva e nonostante questo pensate di capire. Dove è il problema? Eppure è tanto semplice, è sotto i vostri occhi. Se ci pensate, anche nel caso conosciate bene chi vi parla, non lo conoscete davvero, non conoscete il suo dolore, le sue forme mentali, le sue debolezze, le sue intime connessioni tra emozioni e fisico, eppure pensate di comprendere il suo parlare. Non solo, ma lo giudicate per ciò che dice, gli date un valore morale, lo lodate o lo criticate senza che vi rendiate conto che ogni essere umano ha valore per il solo fatto di esistere, al di là di ciò che pensa, dice e fa.

Dentro ognuno di noi ci sono spazi immensi in cui si muovono storie senza parole: cambiare, andare oltre significa entrare in contatto profondo con le persone, senza le fantasie della New Age, senza i moti estremi, emotivi e passionali, di certi gruppi, ma ascoltando. Cosa vuol dire ascoltare? Saper stare in silenzio, non solo con la bocca, ma con la mente. Ascoltare l'interlocutore con tutto il corpo senza decidere, razionalmente cosa sia giusto o cosa sia sbagliato: non ci si può permette di pensare se l'interlocutore è valido, se dice il vero il falso o mettergli etichette e simboli, perché così facendo ci si distrae dal vostro compito principale, che è quello di ascoltare. Il grave è che la verità di un discorso viene distorta non solo a livello personale, ma anche a livello sociale, quando si mettono, come si dice, parole in bocca a qualcuno che non le ha mai dette, parole che derivano dai vostri pregiudizi e interpretazioni, parole che riflettono il vostro atteggiamento irrispettoso dell'altro e della verità. Se non avete memoria, acquistate un registratore e registrate i vostri discorsi: riascoltarsi è molto utile, perché ci sono persone che negano perfino l'evidenza di un discorso scritto.

Quanto scritto finora sarebbe sufficiente per riflettere sul proprio modo di essere, tuttavia avevo detto che siamo alla ricerca delle sfumature. Le sfumature sono i giochi con cui il nostro io nasconde dentro di noi la verità su se stesso, per non essere disturbato nel suo continuo negare l'evidenza: si può essere atei o credenti, spiritualisti o materialisti, ma nessuno può affermare che l'io sia la realtà ultima del nostro essere, a meno che non si ceda ai suoi peggiori istinti. Già, perché l'io lavora per l'istinto di sopravvivenza, tutto ciò che nega il suo potere assoluto, tutto ciò che è sfumatura, tutto ciò che è dettaglio implica necessariamente una limitazione del potere dell'io – e questo non gli piace, e non piace a noi se non sapiamo sentire la differenza che c'è tra noi e lui.

La cosa è difficile proprio perché si parla sempre di cose nostre: come succede in ottica, più un oggetto è vicino ai nostri occhi, meno lo vedremo, tanto quanto che se fosse lontanissimo.

Le sfumature sono importanti tanto dentro quanto fuori. Cerchiamo, per esempio, di comprendere il senso dell'abbraccio di cui ho parlato prima. Volendo parlare simbolicamente, quando il contesto di una riunione tra persone è una piramide non c'è crescita personale tra i partecipanti, ma solo accumulo, in quanto la testa della piramide distribuisce le sue nozioni e perpetua un dislivello tra sé e gli altri, che non può essere colmato dalle notizie che offre, in quanto intrinseco alla struttura stessa della comunicazione verticistica. Quando, invece, il contesto è a cerchio e al centro viene messa non una singola persona, magari con un curriculum altisonante, ma la condivisione della conoscenza, ognuno è a livello degli altri e dà il suo apporto e tutto torna utile alla comprensione, anche le cose sbagliate, anche le cose ingiuste, perché l'obiettivo comune non è accumulare ma è darsi da fare in vista dell'equilibrio delle forze contrapposte: bene e male, giusto e sbagliato. In un contesto scolastico, tanto per rimanere in un ambito noto, solo quanto il docente è parte di una catena che offre la sua conoscenza insieme alla sua esperienza, è un docente in grado di offrire ai suoi studenti gli strumenti per costruire un'etica che vivifichi scienza e tecnologia: ciò vuol dire che offre il suo apporto affinché la cultura non sia fatta di soli numeri. Imparare ad ascoltare l'altro è uno dei processi più difficili, ma siamo qui per imparare, no? Quando vedete un contesto piramidale, oppositivo, quello tipico nelle sale da riunione, oppure uno a cerchio con il conferenziere al centro, vi consiglio di diffidate un po' dell'interlocutore ma mai di ciò che ascoltate, potrebbe tornarvi utile. E già che ci sono, mi permetto di dare un altro consiglio: se l'esperienza è ciò che vi interessa, se il vostro scopo è cambiare da dentro, non sentitevi migliori solo perché frequentate ambienti religiosi, filosofici, alternativi, aggregazionistici, culturali o politici. Fareste solo un errore, almeno dal mio punto di vista.

Buona riflessione

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