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Un piede in Europa e l’altro nel baratro: il vento delle proteste soffia anche in Croazia

In febbraio la Croazia è stata scossa da una serie di manifestazioni di piazza contro il governo Kosor, giudicato responsabile della difficile situazione economica. Accanto alle proteste dei giovani, organizzate su Facebook, ci sono quelle dei veterani di guerra che accusano lo stesso governo di tradimento degli interessi nazionali.
A vent’anni dall’indipendenza, il Paese si appresta ad entrare nell’Unione all’ombra di una situazione sempre più difficile.

1. Da un mese a questa parte la Croazia è teatro di una serie di proteste che va dalla capitale Zagabria al lungomare di Spalato è teatro di una serie di cortei organizzati da gruppi su Facebook 1, a cui partecipano manifestanti di tutte le età e tutte le classi, provenienti da tutto il Paese.

Tutto è iniziato martedì 22, quando alcune centinaia di persone sono scese nella piazza centrale di Zagabria per chiedere alla premier Jadranka Kosor (nella foto) e il suo partito Unione democratica croata (HDZ) di lasciare il potere. Due giorni dopo sono scese nelle strade più di 2000 persone. Fino a sabato 26 quando i manifestanti erano a migliaia. di persone, anche qui in gran parte giovani organizzati su Facebook, chiedono sempre più. Nuove manifestazioni sono in programma nei prossimi giorni 2.

Finora la stampa internazionale ha perlopiù ignorato la protesta croata, probabilmente perché non vi sono stati scontri di rilievo da documentare. Ma già sabato scorso a Zagabria la situazione è stata sul punto di degenerare. Quando i manifestanti hanno deciso di raggiungere piazza Sveti Marko, sede del governo e del parlamento croato e in cui tenere manifestazioni è vietato per legge, si sono verificati scontri con la polizia.

Bersaglio delle contestazioni è innanzitutto il governo, considerato il principale responsabile della precaria situazione economica del Paese. Dal 1991 il Paese è retto da un governo conservatore guidato dall'Unione democratica croata (HDZ, il partito del primo presidente, l'ultranazionalista Tudjman), salvo una parentesi tra il 1999 e il 2003 in cui ha governato lo SPD, principale espressione delle opposizioni. Ma la gente vuole esprimere una generale sfiducia verso l'intera classe politica, percepita come lontana e arroccata nella propria torre d'avorio, mentre le proteste di piazza sono in costante crescita.

“Non posso stare a casa e guardare l'ingiustizia e la povertà quotidiana dovute alla incapacità dei politici”; “Questa situazione è insopportabile, la gente non può stare tranquillo a casa di fronte all'ingiustizia sociale che colpisce il popolo croato”; “Credo che sia evidente ad ogni cittadino che i politici non lavorano per il bene del popolo”; “L'insoddisfazione può essere vista in ogni croato che vuole solo garantire un'esistenza dignitosa alla sua famiglia”. Sono solo alcune delle voci raccolte dai quotidiani croati nel corso delle manifestazioni3.

Voci arrabbiate ora che il sogno croato sembra essere finito.

2. La Croazia sta attraversando un periodo non facile. La crisi economica ha colpito duramente il Paese e le misure adottate dal governo Kosor non si sono dimostrate adeguate alla reali difficoltà del compito. La miccia delle proteste è stata l'aumento del prezzo del gasolio, che ha spinto i pescatori a scendere in piazza all'inizio di quest'anno, ma il malcontento si registra un po' a tutti i livelli.

In un Paese di 4,4 milioni di abitanti, i disoccupati hanno raggiunto quota 335.000, numero in costante aumento negli ultimi anni. Ma anche chi lavora non se la passa bene: 70.000 di loro non ricevono regolarmente lo stipendio, e per molti di quelli che lo ricevono non basta per arrivare a fine mese. I pensionati sono oltre 750.000, cifra di per sé sproporzionata in rapporto alla popolazione, e quasi l'80% di loro si trova in condizioni di indigenza. Su tutto pesa un debito pubblico da 44 miliardi di euro 4. In compenso, i ricchi (politici compresi) sono sempre più ricchi grazie alla corruzione e alle privatizzazioni fittizie 5. Già un anno fa un sondaggio condotto da Eurobarometro espresse il generale malcontento di fronte a tali condizioni. Il 42% degli intervistati riteneva che i giovani avrebbero avuto un futuro migliore solo espatriando 6.

Finora la Kosor non ha dato troppo peso a quanto sta accadendo appena fuori dal suo palazzo. Nelle dichiarazioni alla stampa non ha dedicato che un accenno alle proteste. Probabilmente, aspetta che l'onta delle proteste si attenui da sé.

In realtà, gli eventi di piazza devono preoccuparla molto. Da giorni la premier non appare più in pubblico. Non sa cosa dire per calmare la piazza e quando ci ha provato ha finito per inalberarla ancora di più. Come quando, parlando dei veterani di guerra, ha detto che “godono di pensioni privilegiate e dimenticano che queste pensioni le pagano i contribuenti”. Non riesce più rassicurare la gente e a dare loro la speranza. Anche il suo sorriso viene percepito come irritante anziché ispirare simpatia. Chissà per quanto ancora resisterà a tutta questa pressione prima di rassegnarsi alle dimissioni, sembra essere la domanda principe dietro le quinte del suo stesso entourage.

A soffiare sul fuoco della protesta c'è l'opposizione capeggiata dai socialdemocratici (SPD), che pur non avendo ancora chiesto le elezioni anticipate continua a rimproverare al governo i fallimenti degli ultimi anni. Ma la gente non ha più fiducia neppure di loro. Se da un lato, infatti, lo SPD invoca a gran voce le dimissioni del governo, dall'altro gli elettori non lo ritengono un'alternativa credibile. Non dimenticano gli errori, in parte causa della crisi attuale, commessi dai socialdemocratici quando erano al governo nei primi anni Duemila. In pratica si assiste ad un inasprimento dello scontro politico del tutto analogo a quello nostrano, dove i partiti al governo non sanno governare e quelli all'opposizione non hanno la più pallida idea di cosa proporre in alternativa.

3. Ad amplificare la portata delle manifestazioni di piazza c'è la concomitanza tra i cortei della gioventù made in Facebook e quelli della destra nazionalista rappresentata dai veterani di guerra. Entrambi accomunati dal risentimento verso il governo ma divisi su tutto il resto. Soprattutto sul tema dei rapporti con la Serbia.

Parallelamente alla manifestazione dei giovani, a Zagabria diecimila veterani sono scesi in piazza per ribadire “la dignità della guerra patriottica”, secondo loro intaccata dalla politica della Kosor troppo aperta nei confronti di Belgrado. La quale non ha fatto molto per ricucire lo strappo, se pensiamo all'infelice dichiarazione di cui sopra. Una politica perseguita non solo sul piano diplomatico ma anche attraverso provvedimenti molto contestati, come la legge che ha amnistiato i serbi di Croazia per la rivolta armata nella Krajina. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’arresto in Bosnia Erzegovina di uno dei difensori di Vukovar, Tihomir Purda, sulla base di un mandato d'arresto serbo per crimini di guerra. Purda è intanto stato rilasciato perché la Serbia ha rinunciato al procedimento giudiziario, ma la vicenda non è andata giù ai veterani che sono scesi in piazza accusando il governo di tradire gli “interessi nazionali”.

L'odio insanabile dei veterani per la Serbia non si è mai placato. Al contrario, i giovani croati si stanno avvicinando sempre di più agli ex nemici. Complici gli scarsi collegamenti con l'Italia 7 e le difficoltà economiche che limitano i viaggi in Europa, tra i giovani di Spalato e Zagabria è di moda passare il fine settimana a Belgrado. Tra treni e pullman, chi vuole recarsi in Serbia non ha che l'imbarazzo della scelta.

Perciò la contemporaneità della protesta dei veterani ha ben poco a che vedere con quella dei giovani. Manifestazioni simili, ma originate da due movimenti completamente diversi. Segno che le ferite della guerra non sono ancora del tutto rimarginate.

4 Quando la nazionale di calcio croata si classificò terza ai Mondiali in Francia del 1998, l'evento fu salutato come una pietra miliare nella storia del Paese: il punto di arrivo di un difficile cammino, quello dell'affermazione della propria identità, bagnato dal sangue della guerra contro Belgrado, e insieme il punto di partenza verso una più ampia proiezione della stessa nel contesto globale.

Una proiezione che vedeva la sua tappa fondamentale nell'ingresso in Europa. Nel 2000, anche i commentatori più pessimisti erano convinti che la Croazia sarebbe entrata nell'Unione Europea entro la fine del decennio. I fatti sono andati diversamente.

L'iniziale reticenza a consegnare alcuni criminali di guerra al Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, le difficoltà tecniche nell'armonizzazione tra l'ordinamento interno e quello comunitario, la propaganda di Tudjman che brandiva l'Europa più come uno scettro di identità nazionale, in contrapposizione alla Serbia che invece originava dall'Oriente Bizantino, hanno rallentato molto l'avvio del processo. Perdendo così il treno dell'allargamento a Est che il primo maggio 2004 ha aperto le porte dell'Unione a dieci nuovi membri.

Zagabria ha presentato la domanda d'adesione il 23 febbraio 2003, ed è ufficialmente diventata candidata solo un anno e mezzo dopo. Si diceva che l'adesione sarebbe avvenuta nel 2007, assieme a Bulgaria e Romania, e ancora una volta nemmeno i più scettici pensavano che la Croazia sarebbe ancora rimasta ferma al palo. E ancora una volta i fatti avrebbero preso un altro corso.

Le cause del ritardo nel processo di integrazione europea vanno ricercate nelle stesse motivazioni di fondo che lo avevano ispirato. Tudjman aveva fatto della della propaganda europeistica un emblema di appartenenza (cioè di diversità) culturale; finita la sua era, la classe dirigente ha continuato a parlare di Europa solo per distogliere l'attenzione dai reali problemi del Paese, ossia l'economia e la giustizia sociale.

Prova ne è l'adeguamento a passo di lumaca del diritto croato a quello comunitario. Se nel luglio 2009 l'ex premier Ivo Sanader aveva giustificato le proprie inattese dimissioni con la necessità di accelerare il processo europeo, la sua erede designata Jadranka Kosor ha impresso solo in parte un reale impulso al dossier comunitario. Lo scorso anno la Croazia aveva affrontato 30 dei 33 capitoli del diritto europeo, ma 17 di questi erano stati chiusi solo provvisoriamente. I restati 3, nemmeno sfiorati, erano guarda caso quelli più spinosi. In particolare il capitolo 23, relativo ai diritti fondamentali. Tema in cui il Paese ha fatto grandi passi avanti, ma sul quale pesa ancora la scarsa collaborazione prestata al Tribunale dell'Aja nel decennio scorso. Inoltre, al vertice dello HDZ ci sono ancora gli stessi protagonisti degli anni della guerra, e i serbi cacciati da Slavonia e Krajina non sono mai tornati.

Fin dal suo esordio, il governo Kosor si è sì dedicato energicamente alla politica estera, peraltro con qualche risultato di rilievo 8, ma è nella politica interna che la sua azione si è dimostrata del tutto carente. La corruzione è ancora una piaga in tutti i livelli di un'amministrazione già penalizzata da una scarsa capacità d'esecuzione. Ad esempio, il governo non ha ancora individuato i progetti idonei a beneficiare dei fondi europei di pre-adesione, con il risultato che quando questi saranno sbloccati (si parla di 3,5 miliardi di euro) il loro afflusso non farà altro che moltiplicare le deficienze di un'apparato burocratico non ancora al passo con gli standard comunitari. E l'insofferenza della gente ha finto per rivolgersi anche all'Europa, percepita positivamente solo da una parte dell'opinione pubblica.

I negoziati di adesione dovrebbero concludersi entro la fine del primo semestre di quest'anno, ma l'ingresso in Europa non sembra più una medicina sufficiente per un Paese la cui economia è sempre più in sofferenza.

Ed eccola qui la Croazia di oggi, con un piede in Europa e un altro nel baratro. Il Paese ha bisogno di una guida forte che lo aiuti a risalire dal baratro della decrescita, e al momento né i socialdemocratici all'interno, né Bruxelles all'esterno, sembrano infondere quella fiducia di cui il popolo croato ha bisogno.

E che continua a invocare nelle piazze, tra le righe dei cori di protesta.

 

1 Il portavoce di questo neonato movimento è Ivan Pernar uno studente di Zagabria di 25 anni, già stato fermato due volte dalla polizia. In pochi giorni ad allargare il fronte della protesta da poche decine a migliaia di persone.

Si veda http://www.globalproject.info/it/mondi/La-Croazia-nel-tempo-della-crisi/7614

3 Si veda ad esempio http://www.slobodnadalmacija.hr/

5 Vale su tutti il caso di Damir Polancec, ex ministro dell'economia sotto il governo Sanader arrestato il 30 aprile 2009 con l'accusa di aver orchestrato la privatizzazione fittizia della compagnia petrolifera croata Ina, il cui ricavato doveva servire a finanziare la privatizzazione della Podravka, la più grande azienda agroalimentare del Paese, di cui lo stesso Polancec era stato dirigente prima di assumere la carica di ministro. Lo stesso Ivo Sanader è detenuto in Austria da quasi tre mesi, in merito ad un'indagine su affari poco chiari condotti tramite la Hypo Bank, principale banca della Croazia.

6 Luka Bogdanovic, La Croazia vuole sempre l'Europa?, in Limes, QS 1/10, L'Euro senza Europa, pag. 150

7 Basti pensare che non c'è nessun treno diretto da Trieste a Zagabria. Per recarsi nella capitale croata c'è solo un treno da Venezia-Santa Lucia e diretto a Budapest, con partenza intorno alle 21:30 e arrivo a Zagabria alle 4:30 circa.

8 come la risoluzione dell'annosa controversia con la Slovenia per la definizione dei rispettivi confini marittimi, demandata ad un arbitrato internazionale, oppure l'organizzazione della Conferenza sui Balcani occidentali promossa lo scorso anno assieme al governo di Lubjiana. Le relazioni con Belgrado, poi, sono nettamente migliorate.

Commenti all'articolo

  • Di katrina (---.---.---.147) 7 marzo 2011 23:18
    katrina

    Bravo per la curiosità intellettuale, l’ attenzione, la rielaborazione e la sagacia. I media nostrani ignorano i Balcani, che invece sono un "melting pot" di istanze le più varie, spesso in contraddizione tra loro. 

    Tra smanie patriottiche e pesanti incertezze, queste genti vivaci non stanno a guardare.
    E’ auspicabile per loro un riavvicinamento con la Serbia.
    Sorprende ancora un a volta il ruolo aggregante dei social network, analogamente a quanto succede in Nord Africa.
    Chi si aspetta un effetto simile in Europa occidentale, tuttavia è fuori strada. Da noi non è che un festival di amenità.
    Si può ben dire che i popoli in divenire "esprimono un altro facebook", rispetto a quelli in decadenza.

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