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Un oscuro desiderio

Chissà da quali grovigli interiori nasce quell’oscuro desiderio di vedere la gente “in ceppi”, che eccita la mente di tanti, come una strana forma di voyeurismo

Credo che neppure la psicanalisi possa aiutarci a capire quale sia l’utilità o la funzione del farsi “consumare” da quel desiderio, che ritorna ogni tanto in modo prepotente, come accade oggi. Intendo l’utilità e la funzione soggettiva. 
 
Forse avremmo bisogno di dotarci di una sorta di “dispositivo” ermeneutico “assemblando” Freud e Nietzsche. Un tipo di operazione in cui era maestro Michel Foucault. Ma, tant’è, nel tempo delle fake news, non si accettano maestri, perché ognuno si considera maestro. Anzi, maestro di assoluto!
 
Certo, la storia ci ricorda che quel desiderio non è un fenomeno esclusivo dei nostri tempi. Si potrebbe risalire, per questo strano “rito” umano, a tempi ormai quasi dimenticati, quando, pare, che addirittura i genitori erano soliti condurre con sé anche figli piccoli per assistere, insieme agli altri abitanti della città o del villaggio, a impiccagioniroghighigliottine o gogne, come a una festa popolare (e non sarebbe fuori luogo qui immaginare che probabilmente si portavano dietro anche delle sedie, per stare più comodi!).
 
Voi che pensate? Chi erano i mostri, in quei casi: i delinquenti, le “streghe”, gli avversari politici, i criminali che venivano “giustiziati”, o coloro che godevano nell’assistere o nel desiderare di assistere a ”spettacoli” del genere, magari gridando con convinzione il loro “crucifige”?
 
Nonostante molti pensino che il giudizio sul comportamento degli altri esseri umani sia dovuto e così facile da sembrare automatico, esso andrebbe utilizzato solo con molta “cautela”, e, se possibile, evitato, come hanno sempre suggerito i più grandi saggi dell’umanità. Non senza valide motivazioni. Dato che le interferenze e le sovrapposizioni, oggettive e soggettive, tra etica, politica, banali interessi e meccanismi biopolitici, inquinano sempre qualunque tipo di giudizio.
 
A questo proposito, vale la pena ricordare un antico racconto, stravagante e controintuitivo, se letto con lo sguardo di un laico, ma che rimane enigmatico nonostante gli sforzi degli interpreti per dargli un senso ragionevole. Si tratta di quel passo dei primi capitoli della Bibbia, dove si dice che Dio dopo aver cacciato Caino dall’Eden per aver assassinato il fratello Abele, pose su di lui un segno perché nessuno, si azzardasse a colpirlo, nonostante il suo crimine. Anzi stabilendo per chiunque lo avesse ucciso, una vendetta “sette volte” più dura. Incredibile, vero? Qualcuno penserà: si tratta di miti religiosi! Ma credo sia comunque possibile proporlo come una “risorsa dell’umanità”, utile per affrontare il nostro problema. È una storia che dà da pensare, anche tenendo conto del tempo, lontano millenni, in cui è stata narrata e scritta.
 
In realtà, oggi avremmo davvero bisogno di utilizzare al massimo tutte le risorse possibili della saggezza e delle varie esperienze umane, per venire a capo di certi problemi e certi vicoli ciechi in cui siamo soliti cacciarci, anche per difetto di memoria e non solo per presunzione.
 
Invece tutti siamo bravi a puntellare e giustificare atteggiamenti, comportamenti, posizioni e valutazioni, nell’ambito privato o in quello pubblico, appellandoci ai parole e concetti ideali creati dallo spirito umanoetica, giustizia, bene, male, verità, legge, colpa, democraziapopolo, sono paroleconcetti o metafore, usati spesso in modo approssimativo espregiudicato, talvolta come arma, per legittimare le più svariate posizioni, ma che dovrebbero avere una diversa funzione
 
Ancora di più, bisognerebbe essere cauti se teniamo conto del fatto che quelle interferenze e sovrapposizioni tra etica, politica, banali interessi e meccanismi biopolitici, di cui si è detto, rendono molto problematiche le nostre valutazioni e presupposizioni.
 
Da questo punto di vista, aveva proprio ragione Carl Schmitt quando sosteneva che, in genere, “chi dice valore vuol far valere e imporre”. Solo che, purtroppo, bisogna constatare che questa frase non si riferisce solo a quelli che dispongono di qualche forma di potere pubblico, (per i quali lo spettacolo della gente in ceppi ha una funzione di "controllo sociale") ma anche ai comuni cittadini! Come ci suggerisce lo “spettacolo” delle esecuzioni pubbliche del passato, ricordato prima.
 
Sì, “quasi mai distinguere tra buoni e cattivi aiuta a prendere decisioni corrette” (M.Bonazzi), sia individualmente che collettivamente, anche se per alcuni può sembrare appagante assistere allo spettacolo dei “cattivi” in ceppi!
 
 
 

Commenti all'articolo

  • Di Marina Serafini (---.---.---.161) 27 dicembre 2019 22:54
    Marina Serafini

    Carissimo, mi domando se questo estremo relativismo non spinga poco prudentemente verso una inazione paralizzante. Non giudico, ergo rispetto tutti, ergo...Cosa e come faccio? E’ vero: l’uomo si é sempre beato, ieri come oggi, di abbracciare scenari violenti e crudeli, quasi che il dolore degli altri riuscisse a esorcizzare, sostituire o vendicare il proprio, quasi che attestare la crudeltà del vivere possa rendere tollerabile la propria, darle un senso che sia possibile accettare.... Niente é normale e tutto é normale... Ma ripartiamo dalla nostra esistenza, quella di ogni individuo. Mi sovviene una riflessione, una accusa in realtà, enunciata dal protagonista di Joker - l’ultimo film di Phillips - , una frase banale ma anche davvero realistica: prendi un malato di mente solitario e lascialo in balia di una società che lo abbandona..E cosa ottieni? Ottieni la in-distinzione del bene dal male, ottieni che non puoi più giudicare perché i valori diventano etichette confuse. Concordo: il valore può essere una imposizione, un modo per soggiogare. Cosa non lo é? Ma non darsi dei valori, non darsi delle sponde rende tutto troppo indistinto. E in un quadro infinitamente aperto l’occhio si perde e finisce col non saper più cogliere... Un azzardo, dunque, un ideale regolativo, o una mera provocazione?

    • Di Pino Mario De Stefano (---.---.---.191) 29 dicembre 2019 17:32
      Pino Mario De Stefano

      @Marina Serafini Grazie! Gradite e interessanti le tue riflessioni (consentimi il tu, che rende più agevole il dialogo), che aggiungono sempre qualcosa ai miei post attraverso ulteriori “domande”: il che a mio parere è l’obiettivo di qualunque ricerca(Popper) Il punto di partenza è quello posto nei primi righi del post, e che poi consiste appunto in una domanda: perché quel desiderio e il piacere di vedere “punire” e umiliare gli altri, anche se sono “cattivi”?

      Non credo che questo implichi un relativismo radicale, come dimostra quello che scrivo nei miei post. Si possono avere posizioni e perseguire attivamente valori senza che ciò debba implicare il “mestiere” del “giudicare” o la necessità della polarizzazione delle società umane, con i “buoni” tutti da una parte e i “cattivi” tutti dall’altra; e senza che importanti termini e concetti ideali vengano usati come un’arma contro altri, invece che come ponti o messaggi. Mi ha sempre incuriosito e colpito l’invito insistente a non giudicare che troviamo anche in testi religiosi come la Bibbia cristiana, a proposito della quale non credo si possa parlare di relativismo. Un cordiale saluto. Pino Mario De Stefano

  • Di Marina Serafini (---.---.---.161) 29 dicembre 2019 23:02
    Marina Serafini

    Carissimo, le mie parole mirano al rilancio per continuare un dialogo che con te - azzardo anch’io l’utilizzo del tu - é sempre fruttuoso e gradito, e sono davvero lieta che questo aspetto sia stato colto. Dunque: Absit iniuria verbis! Temo che alla tua domanda iniziale sia difficile dare una risposta univoca, temo che noi umani siamo vittime di forze diverse che ci spingono e ci contraggono, e ci distorcono in modo che puó è al contempo non può trovare giustificazione. Oggi riflettevo sulle tue parole mentre vedevo un film interessante: La morte e la fanciulla. Una donna vittima di abusi riesce a smascherare il suo aguzzino e a farlo confessare. Egli non é pentito, tutt’altro. E nel suo discorso egli espone l motivi che lo hanno portato a godere dei propri soprusi. Motivi morbosi, motivi che consentivano ad un uomo qualunque di sentirti potente, per via di una situazione particolare. La vittima decide infine di lasciarlo andare, lo libera e lo lascia lì, senza ucciderlo - a differenza delle originarie intenzioni. Eccomi dunque venire a te: il giudizio non può venire da fuori, arriva da dentro ed incombe su ognuno attraverso la propria esistenza. Tu sai ciò che sei e in questo la vita giudica l’individuo in un modo che non é contestabile, perché il giudizio sta nella consapevolezza interiore. Un saluto

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