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Un nuovo inizio, Corrida # 48


L’unico racconto pubblicato a puntate sulla rete che è un po’ come la vita: si sa quando e come inizia, ma non si sa mai bene dove vada a finire.

per chi si fosse perso qualcosa, eccovi la puntata precedente

Iniziamo con un breve riepilogo, una piccola contestualizzazione, visto che sono due settimane che l’appuntamento domenicale di Corrida salta. Cerco di farvi riprendere il filo, insieme a me che sto narrando.
Alex, appresa la morte di Amalia da Ramon, fucilata dai franchisti, appreso che Felipe era scappato senza lasciare un motivo o una destinazione, parte alla sua ricerca. Alex trova Felipe tra i ribelli che cercano di organizzarsi per rovesciare il regime franchista (Amalia, la figlia di Felipe, era tra i ribelli).
L’organizzazione decide di spostarsi in barca per raggiungere altri contingenti e pianificare il da farsi, ma Felipe ed Alex, mandati in avanscoperta, vengono arrestati e torturati.
Felipe parlerà, fingendo di dire il vero, e verranno rilasciati, anche grazie all volontà di non creare un episodio internazionale (Alex ha la cittadinanza statunitense).
Di qui questo viaggio narrato negli ultimi episodi, questa traversata malinconica, dipinta di volti emigranti.

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Si dice che la storia sia fatta di corsi e ricorsi.
Dicono che tutto ciò che arriva alla cima deve, prima o poi, per forza discendere. Come se ci fosse un piano regolarizzatore del destino, come se tutto fosse regolato da imperscrutabili sentenze inscritte nella memoria del tempo, dei secoli dei secoli e via dicendo.
Tutto ciò che ha un inizio sembra prima o poi avere una fine, ma darlo per scontato è semplicistico, fin troppo borioso e presuntuoso.
La scienza va avanti per empirismi e falsificazioni, cercando di avvicinarsi sempre di più al vero, è una ricerca del vero, non la verità.

Ma dando per scontato che tutto abbia un inizio e una fine, visto che parliamo tra noi e non tra filosofi o scienziati, dobbiamo realizzare che se c’è una strada che si chiama andata, a questa segue un lento ed inesorabile ritorno.
Dopo anni, dopo una adolescenza passata a vagare, viaggiare, imparare, dietro all’amore e alle passioni come un uomo privo di socialità, come un barbaro sentimentale, mi trovavo sulla strada del ritorno.

Non ho mai amato il ritorno.
Perchè se uno parte significa che non riesce proprio a stare dove è.
Il partire è una operazione complicata e complessa, che ha un vero inizio nel momento in cui si decide di usare un potente solvente per staccare i piedi dal suolo natio. Poi si tratta solo di soffiare sulla vela, e già sei partito e si confondono le ombre passate all’orizzonte dietro la schiena.


Qualcuno aveva iniziato a duettare un blues ripetitivo e cadenzato, di chitarra ed armonica. Non comprendevo le parole, che si schiacciavano contro il vento che soffiava scompigliando i capelli e diradando le nubi all’orizzonte.

Qualcuno gridò. Aveva visto l’America.

In un solo istante il ponte si coprì di urla, canti, abbracci, una folla omogenea e compatta che saltava all’unisono facendo tremare il legno del pontile.
Rimasi seduto. Accanto a Felipe.

Misi una mano a terra, ad ascoltare le vibrazioni del legno, e tirai fuori di tasca i miei documenti di statunitense. Li rigirai tra le mani, guardai la foto e mi chiesi che senso avessero poi tutte quelle scritte che cercavano di improgionarmi in definizioni.
Ero l’unico su quel pontile a non festeggiare un nuovo inizio.

Non ci pensai due volte.
Strappai i documenti in piccoli coriandoli e lasciai che il vento li andasse a depositare sulla cresta delle onde. Guardai Felipe, e sorrisi.
Senza aspettare che ricambiasse mi gettai nella mischia, a spintonare, baciare, urlare.
Mi gettai incontro all’orgia di gioia, deciso a succhiare quanta vita e felicità era possibile.
Dopotutto una volta a riva sarebbe stato un nuovo inizio.

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