Un nuovo Papa, un Papa nuovo. Intervista a Vito Mancuso
Vito Mancuso è stato dal 2004 al 2011 docente di Teologia moderna e contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell'Università San Raffaele di Milano. È autore, tra gli altri libri, di L'anima e il suo destino (2007), Disputa su Dio e dintorni (con Corrado Augias, 2009), Obbedienza e libertà (2012) e Conversazioni con Carlo Maria Martini (con Eugenio Scalfari, 2012). Dal 2009 è editorialista del quotidiano «la Repubblica». Per Garzanti ha firmato nel 2011 Io e Dio. Una guida dei perplessi, giunto all'ottava edizione. L'abbiamo intervistato a proposito dell'elezione del nuovo Papa, Francesco.
Il nuovo papa è stato eletto e a tempo di record. Qual è la Sua impressione?
Direi che è stata una bella dimostrazione di unità da parte del Collegio cardinalizio. Per il resto, si tratta appunto ancora di impressioni, non ci sono in effetti ancora elementi “depositati” (atti, decisioni, documenti...) sulla cui base si possa riflettere con cognizione di causa. Ancora abbiamo a che fare con emozioni, sentimenti, piccoli e grandi segnali.
Per esempio?
Be’, di segnali ce ne sono tanti, da quelli più piccoli e apparentemente irrilevanti ad altri che potrebbero venir definiti delle “piccole encicliche”. A cominciare dai gesti di umiltà del nuovo Papa: forse l’immagine che principalmente mi ha colpito è quella del Papa che si presenta alla reception della casa nella quale alloggiava a Roma da cardinale - già vestito da Papa, un attimo prima di trasferirsi - per saldare il conto di persona. Cui potremmo aggiungere la scelta di un’automobile normale invece di quella riservata al pontefice, la croce di metallo al posto di quella d’oro, il viaggio in pullman. Soprattutto il fatto di non chiamare mai se stesso “Papa”, ma sempre e soltanto “Vescovo di Roma” (così come, a quanto mi risulta, non ha mai chiamato il predecessore “Papa emerito”). Si tratta di atteggiamenti che presuppongono una ecclesiologia derivante dal Concilio Vaticano II e che non andrebbero, a mio avviso, minimizzati, perché credo che esprimano una deliberata volontà programmatica da parte del nuovo pontefice. Ma ancor prima dell’ecclesiologia - continua il Professore - va sottolineata la spiritualità di Papa Francesco. Mentre Giovanni Paolo II appariva ai miei occhi come un grande leader mondiale, e Benedetto XVI come un teologo, Papa Francesco lascia trasparire soprattutto una dimensione spirituale, che va oltre le parole di cui si serve e attinge direttamente alla maniera di essere. Indimenticabile la richiesta di pregare per lui, proprio quella sera, dal balcone, inchinandosi di fronte al popolo... ecco, tutto questo mi sembra nuovo, comincio ad avvertire un profumo di Vangelo che prima non sentivo.
Insomma, un evento che L’ha riempita di gioia.
Sì, era molto tempo che non avvertivo un trasporto emotivo tanto forte nei confronti di un nuovo Pontefice. Per la prima volta dopo tanto tempo mi sento veramente e spontaneamente rappresentato dai suoi gesti, dalle sue parole, dal suo modo di intendere la speranza cristiana.
Tuttavia, nonostante il grande e diffuso entusiasmo, che anche Lei condivide, il Papa continua ad essere accusato di connivenza con il regime militare argentino a cavallo degli anni ‘80. Cosa ne pensa?
In primo luogo, io credo che si debba andare davvero fino in fondo a questa storia, perché nessuno - neanche il Papa - dovrebbe potersi ritenere al di sopra del naturale desiderio di giustizia e di chiarezza che i fatti di quel tempo provocano. In secondo luogo, penso che se lui ha accettato questo ruolo così complicato, sia ben consapevole di non aver nulla da temere, in generale: insomma, nessuno può essere reputato tanto ingenuo da non considerare che, all’indomani della propria elezione, si scatenerà il putiferio delle accuse. D’altro canto, a quanto pare da notizie frammentarie apparse qui e lì, soprattutto da fonti argentine (solo tra qualche tempo saremo perfettamente in grado di districarci fra di esse e mettere del tutto in chiaro quanto accaduto), disponiamo oggi di ulteriori documenti che lo scagionerebbero dalle vecchie accuse.
Quali novità apporterà Papa Francesco al dialogo e alla teologia?
La novità più grande che un Papa può portare in teologia è la libertà della ricerca teologica nelle Facoltà Pontificie, dove oggi - come noto - i docenti sono ancora soggetti a quella forma di autocensura che deriva dal timore di non ricevere, per l’anno successivo, la conferma dell’incarico. Credo che rispetto alla teologia al Papa non si possa chiedere altro: se non appunto questa grande fiducia nei confronti dell’intelligenza critica dei teologi. Ci potranno poi essere apporti in teologia direttamente provenienti dal pensiero personale di Jorge Bergoglio; di questo però è ancora presto per parlare. Sul dialogo, mi sembra che fin da ora stia mostrando una grande apertura in tal senso (al momento ha parlato di altre confessioni cristiane, ebraismo, islam e non credenti - e direi che non è affatto poco), parlando del dialogo come necessità per il cristianesimo e per ciascuno di noi. Si tratterà, su questa strada, di sciogliere alcune delle contraddizioni che il precedente magistero a mio avviso conteneva, come quella sull’impossibilità del dialogo interreligioso (esplicitamente espressa da Benedetto XVI, pur se in maniera altalenante e ambigua).
E in campo morale?
La questione morale è evidentemente collegata a quella del dialogo: la nostra società odierna ha bisogno più che mai dell’esperienza etica e religiosa di tutti gli altri popoli. Si tratta di una materia fondamentale e pericolante, di fronte all’inquieta coscienza contemporanea tanto pervasa dal nichilismo e dallo scetticismo. Si tratterà di fare una “operazione verità”: cioè guardare in faccia le cose senza infingimenti o diplomazie, dicendosela tutta fino in fondo. In primo luogo per quanto attiene alla morale sessuale: ci sono moltissime statistiche a riguardo del fatto che la stragrande maggioranza dei cattolici “praticanti” disattende completamente le prescrizioni magisteriali in materia di sessualità. Una recente inchiesta - commissionata proprio dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 2000 - riportava che soltanto l’8% delle donne cattoliche praticanti vivono la loro sessualità in accordo con il dettato dell’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI. Non credo che da allora le cose siano molto cambiate. Per dirla con l’espressione del Cardinal Martini nella sua ultima intervista (era l’8 agosto; l’intervista venne pubblicata il 1 settembre, il giorno dopo la sua morte), «dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un'autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?». Domanda evidentemente retorica da parte di Martini. Ecco, si tratta di affrontare queste questioni in questa prospettiva. Non possiamo non aspettarci da questo Papa un intervento decisivo in tal senso.
Papa Francesco: quanto è importante la scelta del nome?
Al di là dell’importanza, ciò che spicca qui è la coerenza tra il nome e il comportamento, l’attenzione del Papa alla salvaguardia del creato, alle questioni ecologiche, alla “cura del tutto”. Ecco, tornando per un attimo alla questione della morale, mentre quello della morale individuale è un punto debole, per così dire, della dottrina cattolica, quello della morale sociale è al contrario un “punto di forza” della Chiesa cattolica in generale. Penso ad esempio all’ultima Enciclica di Benedetto XVI, Deus Caritas Est, sull’uguaglianza (anche affrontata con attenzione alle dinamiche economiche e finanziarie) che è stata recepita molto bene, quasi senza critiche.
Stiamo parlando insomma di una rivoluzione. Papa Francesco, in questo senso, Le sembra un rivoluzionario?
Comincerei col dire che le vere rivoluzioni - quelle cioè che producono effetti apprezzabili e riescono a durare nel tempo - vengono da quelli che si potrebbero chiamare “conservatori illuminati”. Detto questo, Papa Francesco mi sembra più un conservatore che un rivoluzionario; mi sembra, d’altro canto, uno che vuol davvero bene alla gente e che conosce la situazione reale del mondo. Non ragiona in termini “dottrinari” (come credo si possa invece affermare di Benedetto XVI); non mette al primo posto la dottrina, insomma, ma il contatto con la gente, le esigenze dell’umanità (fermo restando che, come dicevamo all’inizio, si tratta di prime impressioni; solo il tempo ci dirà come stanno davvero le cose). Per concludere tornando alla domanda, le rivoluzioni migliori vengono proprio da chi rivoluzionario non è, com’è stato ad esempio nel caso di Giovanni XXIII.
Quindi, per chiamare in causa il filosofo francese Maurice Bellet, il vero conservatore non può che essere rivoluzionario, perché la realtà muta così velocemente che - per conservarla - non si può che seguirne la trasformazione.
Sì, certo, è un’affermazione che potrei fare mia. La sfida della Chiesa di oggi - la quale, vorrei sottolineare, è una sfida di vita o di morte - è mantenere insieme il nuovo e il vecchio (per dirla evangelicamente), tutto il messaggio divino e tutto l’uomo, con tutte le esigenze dell’uno e dell’altro, senza tagliarne nulla: quando si taglia qualcosa da un lato si finisce sempre per eccedere nell’altro, dando luogo ai tanti intellettualismi e fanatismi che vediamo. La sfida per il cattolicesimo di oggi è sempre quella all’universalità: all’universalità di tutti gli uomini, da un lato, ma a quella di “tutto l’uomo” dall’altro, un uomo che non è solo spirito e devozione, ma anche corpo, ragione, esperienza condivisa. Ciò passa attraverso tante “rivoluzioni”: penso ad esempio alla riforma della Curia, che è fondamentale, ma anche alla questione femminile, e alle tante cose di cui parlavamo prima: la teologia, la morale, il dialogo. Noi speriamo in Papa Francesco.
Questo articolo è stato pubblicato quiCommenti all'articolo
Lasciare un commento
Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina
Se non sei registrato puoi farlo qui
Sostieni la Fondazione AgoraVox