• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > C’è una vita prima della morte?

C’è una vita prima della morte?

“Il tempo cambia molte cose nella vita” cantava Battiato anni fa. Ma cosa accade se è il rapporto stesso con il tempo a cambiare e, con esso, il rapporto dell’uomo con tutte le cose della vita? Il tempo era sempre stato ciò che dava gusto alle esperienze della vita di ciascuno, rendendo unico ogni evento; al punto che gli anziani - coloro che avevano attraversato il tempo più a lungo degli altri - sono stati per millenni un modello, un riferimento, una testimonianza: persone che erano passate attraverso la fame, la guerra e ogni sorta di avvenimenti pericolosi e traumatici, ed erano riuscite a sopravvivere.

Era l’epoca in cui il passato contava. Poi qualcosa è cambiato, dalla Rivoluzione industriale al neoliberismo dei nostri giorni, passando per l’edonismo reaganiano e la televisione commerciale: si è cominciato a credere di poter vivere il progresso come un continuo andare avanti, senza più bisogno di guardarsi indietro. Così è accaduto che oggi gli adulti sono diventati improvvisamente “vecchi”, senza mai essere stati “anziani”, perché la loro esperienza è ormai obsoleta e inservibile, e loro non hanno più nulla da insegnare ma tutto da imparare. D’altro canto, ci troviamo di fronte ai “neoprimitivi” di cui ancora Battiato canta, uomini e donne di tutte le età che non hanno nessuna cognizione delle proprie radici e vivono alla giornata acquistando e consumando merci nella convinzione che si tratti del carpe diem dell’antica saggezza…Uno di quei libri che nascono felici fin dal titolo, insieme provocatorio e illuminante, come solo ci si può aspettare da Miguel Benasayag e Riccardo Mazzeo, due intellettuali che non hanno bisogno di presentazioni (basti ricordare che l’ultimo libro di Mazzeo, scritto a quattro mani con Zygmunt Bauman, pubblicato solo due anni fa, è già stato tradotto in otto lingue).

Diagnosi di una società che, perdendo il suo legame con il tempo, perde con esso ogni senso della misura, dell’opportunità e dell’adeguatezza: ecco che assistiamo al triste spettacolo dei tanti anziani all’inseguimento di una gioventù perduta, a colpi di pastiglie eccitanti e improbabili aspettative di compagnia e di piacere. Per rispondere all’imperativo sociale dell’“essere sempre giovani”, certamente; ma anche per colmare l’ansia di una vita che - piena di beni e servizi insulsi - finisce per sembrare essa stessa senza senso. Quando ci si illude di poter godere di un tempo che si espande all’infinito, si perde l’irripetibilità dell’attimo che sola dà spessore alle cose rendendole eterne; e si comincia a vedere la morte come la nemica acerrima del piacere e di se stessi. Recuperare la profondità del tempo è la terapia necessaria a recuperare la pienezza della vita, a ogni età: chi non pensa ad altro che ad allontanare la morte da sé rischia di dimenticare che, prima della morte, c’è tutta una vita.

Miguel Benasayag, Riccardo Mazzeo, C’è una vita prima della morte?, ed. Erickson, 2015.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.15) 29 gennaio 2015 13:07

    Ho ormai superato da un pezzo i sessanta . Più o meno da quell’età, mi si è cominciata a presentare in modo ogni giorno più ricorrente l’idea della morte.

    Quando da giovane sentivo gli anziani ed i vecchi dire "quanto è brutta la vecchiaia", mi sembrava di sentir parlare dei marziani; anzi, mi parevano davvero lamenti senza senso, non ascoltavo neppure. Oggi, e credo più ancora in futuro, non capisco e spero che non capirò mai quello che sembra essere il desiderio di tutti (tranne di quelli che vivono in condizioni disperate per gravi motivi di salute): vivere il più a lungo possibile, magari anche con qualche acciacco (piccolo però!), ma più a lungo si vive meglio è.
    Per parte mia, spero di andarmene nel modo più dolce possibile e prima, MOLTO PRIMA, di ridurmi ad essere inutile a se stesso ed un problema per altri, ma in questo sono forse un po’ egoista: nelle società arcaiche gli "anziani" rappresentano un valore grande, ma è un fatto che nella nostra societa’, EVOLUTA, sono quasi sempre visti solo come un impaccio o, nel migliore dei casi, come un bancomat.
    Comunque, più che sapere se esistevo ancor prima della morte, sono piuttosto preoccupato e forse anche curioso, del DOPO, anche se comprendo benissimo che i due aspetti sono tra loro strettamente connessi, almeno per chi crede in un prima e in un dopo.

  • Di (---.---.---.210) 29 gennaio 2015 22:18

    E’ vero: il cosiddetto modello di sviluppo oggi imperante ha modificato profondamente il senso della vita delle persone.
    Tuttavia nel mettere fuori gioco gli anziani e il valore sociale della loro esperienza ha inciso molto di più il ruolo che ha la Scienza nel mondo moderno, l’ampia accessibilità delle informazioni offerta dalla Rete, la disponibilità di prodotti ad alta tecnologia.
    Oggi chi si chiederebbe un rimedio alla nonna per curare la tosse del piccolo? E chi chiederebbe consiglio al nonno per risolvere problemi di relazione?
    Nelle società cosiddette evolute esistono fonti molto più accreditate degli anziani a cui fare ricorso.
    Non so se questo è un bene o un male, ma è ciò che è.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità