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Un Italiano a Città del Messico e uno in Italia, era così Ferragosto

Sotto controllo, anche il cielo, peccato che " l’Italia ha perso un autentico compagno". Si perdono i compagni... Tanti. C’è tempo...

La considerazione diario italiano che segue non ha un nome, né una firma ma l’ho trovata ricca di una sua dignità, per una giornata come tante, che usiamo chiamare di Festa. Basta metterci d’accordo a chi viene fatta e se l’agiamo noi. Seguono poi due punti di vista e modi diversi di commentare una notizia di cronaca che riguarda un italiano che viveva a Città del Messico.

E’ una proposta di lettura da fine agosto, per chi rientra, per chi è rimasto. In una ha trovato la fine un italiano, residente all’estero: cronaca nera… Nella prima c’è chi se la ricorderà quella notte d’agosto, bella tanto da sembrare libera, di godersela. Per il resto non ci sono state e non ci sono notizie che hanno fatto clamore, né prima né dopo Ferragosto, tutte e tutti a contare le stelle cadenti. Sotto controllo, anche il cielo, peccato che "l’Italia ha perso un autentico compagno”.
Si perdono i compagni… Tanti. C’è tempo: “Dicono che c’è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare io dico che c’era un tempo sognato che bisognava sognare”.

Doriana Goracci

Considerazioni su un ferragosto romano


Anonim* sostenit* della comunità umana

Il ferragosto romano è passato. Sgonfiata la bolla mediatica sulla sicurezza della città “in ferie”, siamo certi che tornerà tutto normale, anzi, tutto peggio di prima.
Ma certo, questo caldo, desolato ferragosto ce lo ricorderemo per un po’.

Ce lo ricorderemo non tanto per gli innumerevoli posti di blocco di sbirri di ogni divisa e armamento, né per i continui controlli effettuati su tutti quegli individui che non hanno potuto permettersi il lusso di scappare verso altri lidi e altre città, pagandosi di fatto l’impunità di divertirsi senza essere arrestati, e quindi di fatto scambiando dei soldi per una libertà fittizia, artificiale e temporanea. No. Il ferragosto romano ce lo ricorderemo per come ce lo siamo vissuto noi, che siamo rimaste e rimasti qui.

Ce lo ricorderemo per le feste organizzate senza autorizzazione, negli angoli bui di Roma, nei parchi, all’ombra dei palazzi di periferia, nell’umido fresco delle cantine sfitte messe a disposizione da alcuni per tutti. E certo, il rischio che arrivasse qualcuno ad arrestarci c’era, ma intanto, in quella zona di opacità e libertà, ci siamo conosciuti, ci siamo toccati, abbiamo cospirato insieme, e ci siamo dati appuntamento per altri mille incontri che verranno presto, e che sorgeranno fuori dalle leggi, dai regolamenti, dal controllo di chi non può tollerare questo gioco rivoluzionario tra chi non si accontenta del divertimento democratico, asettico, mercificato e obbligatorio.

Ce lo ricorderemo per quei compagni e quelle compagne astemie, che si sono offerti volontariamente di girare per più di mezz’ora con la macchina tra le strade dei quartieri, e che hanno poi guidato gli spostamenti, riuscendo a far tornare tutti a casa, sani e salvi, senza dover incontrare le luci blu della sbirraglia nostrana. E ce lo ricorderemo anche per chi, più lucido, ha offerto soccorso fino all’alba non soltanto ai propri amici ubriachi, ma anche a due “clandestini” spaventati incontrati di notte su via Aurelia, portandoseli a casa, al sicuro, lontani dal pericolo di finire in un CIE a marcire per mesi.

Ce lo ricorderemo per chi ha ben pensato, nella notte appena trascorsa di ferragosto, di approfittare dell’idiota spiegamento delle guardie impegnate nei posti di blocco, e andare a scrivere sui muri delle strade provinciali più grandi verità innegabili. “A ROMA C’É UN LAGER: DISTRUGGIAMO PONTE GALERIA”, “NIENTE CONFINI, NIENTE CLANDESTINI: LIBER@ TUTT@”, “LE VOSTRE LEGGI NON FERMERANNO LA NOSTRA VITA”, e “GRANDI CARCERI, GRANDI FALÒ”. Da ieri notte, queste frasi rendono più bella, più viva e più vera la città di Roma. Un sentito grazie alla feccia in divisa intenta a somministrare alcool test, mentre a cento metri si smascherava la merda del sistema che difendono con le armi.
Ce lo ricorderemo per tutti quelli che, vedendo militari e carabinieri armati di mitra girare in mezzo alla gente, hanno lanciato insulti ad alta voce, dando il la a un coro anonimo e senza sorgente sonora fissa di imprecazioni contro chi, smettendo di essere uomo, ha indossato una divisa e si è ridotto ad essere una telecamera armata con le gambe, nonché uno stronzo. Ce lo ricorderemo per quella compagna, bellissima e meravigliosa, che ha urlato in piena notte, “Morte al controllo!”, mentre gli sbirri facevano finta di non sentire. Ma lo sappiamo, che avete sentito, e anche bene.

Ce lo ricorderemo per chi, di fronte al divieto a bere per strada, a togliersi la camicia per il gran caldo, a fumare e a cantare senza pagare nulla alla società di mercato, si è raggruppato, si è conosciuto, e si è unito in difesa della propria autonomia e libertà a vivere. Per chi a San Lorenzo ha tirato fuori dagli zaini circa 80 birre in bottiglia e le ha distribuite senza chiedere niente in cambio, mentre gestori e polizia osservavano da lontano, perché non si riesce a rimproverare, non si ha la forza fisica di arrestare troppe persone determinate a non finire in questura, solo perché hanno sperimentato una socialità diversa. Per questo ci ricorderemo quest’ultimo ferragosto romano. Per questo ce lo ricorderemo, e salutando gli anonimi compagni che ieri hanno spezzato qualche altra sbarra della gabbia che ci si vuole imporre, ci diamo appuntamento a stasera, a domani, e a tutti i giorni a venire, per continuare in quest’opera di sottile e invisibile sabotaggio del controllo umano.
Oggi più determinati di ieri!

Ucciso sul bus a Città del Messico: preso l’assassino

di Maddalena Rebecca

A sparare ad Alessandro Furlan è stato un diciottenne: la polizia locale cerca gli altri tre giovani complici

Alessandro Furlan con la moglie Teresita
Alessandro Furlan con la moglie Teresita

Si chiama Luis Yael Vieira Ventura e ha appena 18 anni. È il giovane che la polizia messicana ha arrestato con l’accusa di essere l’assassino di Alessandro Furlan, il triestino di 61 anni ucciso il 14 agosto scorso a Città del Messico mentre viaggiava a bordo di un bus. La notizia dell’arresto è stata pubblicata dai giornali sudamericani ”El Universal” e ”Ovaciones”. Gli stessi organi di stampa hanno riportato anche le dichiarazioni del portavoce della Procura generale di giustizia del Distretto federale secondo il quale a incastrare il presunto omicida sarebbe stato il racconto fornito da cinque testimoni.Il diciottenne, già noto alle forze dell’ordine con il nome di José Luis Castañeda Ventura e finito in carcere in passato per un’altra rapina messa a segno sempre a bordo di un mezzo pubblico, è stato rintracciato nei giorni scorsi nella colonia di Carmen. Secondo le autorità messicane avrebbe materialmente esploso lui i colpi di pistola che hanno ucciso Alessandro Furlan e ferito gravemente un’a ltra passeggera di 16 anni ancora ricoverata, sempre secondo quanto riferiscono i media sudamericani, in un ospedale della zona sud di Città del Messico. Non si hanno notizie invece, al momento, dei complici di Vieira Ventura: altri tre giovanissimi che, stando al racconto dei testimoni, dopo la sparatoria sarebbero fuggiti a bordo di un’auto di colore verde. La mattina della tragedia Alessandro Furlan aveva visitato il Circolo di cultura italiana con la moglie Teresita Cabrera. Poi, al momento di rientrare a casa per pranzo, era salito da solo su un mezzo pubblico. E lì si era imbattuto nei rapinatori. Alla vista delle loro pistole l’ex ferroviere triestino aveva reagito, nel tentativo di sventare il colpo, scatenando le ire del 18enne arrestato che l’aveva freddato poi con alcuni colpi di pistola alla schiena. Questa versione, secondo quanto sostenuto da Teresita Cabrera, sarebbe stata però in qualche modo messa in dubbio da una parte della stampa messicana. Stampa che, per la giovane vedova, avrebbe dedicato alla tragedia delle attenzioni ”morbose”, finendo per mettere in cattiva luce il compagno. Di qui la scelta di scrivere una lunga, appassionata lettera per ricordarne le qualità. «La nostra è stata una storia particolare, speciale, unica, così come era lui – scrive -. Ci siamo conosciuti a Bahia de Mazunte, una spiaggia quasi vergine sulle coste dello stato di Oaxaca, in Messico. Ero appena scesa dall’autobus assieme alla mia mica Sylvie. Era un martedì. Io, che allora studiavo frequentavo il corso di laurea in Storia dell’Arte, camminavo sola per la spiaggia quando la mia attenzione fu catturata da un uomo con una grande personalità che giocava con un cane. Quando lo vidi, rimasi attonita: in quel momento compresi che quello era l’uomo della mia vita». «Parlammo insieme la prima volta il 24 gennaio 2008 – continua Teresita -. Due ore a chiacchierare delle foto di Tina Modotti, del film Il Postino, della guerra nei Balcani, la vita di Pancho Villa, che Sandro tanto ammirava, di Baggio e della Juve. Finalmente avevo trovato un uomo con una vasta cultura, pieno di aneddoti da raccontare e con una grande passione per la storia. Lì cominciò la nostra storia e, da allora, non ci separammo mai più». Una magia spezzata tragicamente il 14 agosto. «Rispetto a quanto avvenuto quel giorno posso dire solo che sono distrutta. Mi sento mutilata – conclude Teresita – perché se n’è andato l’uomo che rappresentava il mio universo, la persona più corretto che abbia mai conosciuto. Il Messico ha perso un uomo che amava profondamente la sua gente, la sua cultura e la sua storia, l’Italia ha perso un autentico compagno».

(24 agosto 2009)

Diario da Città del Messico. italiani ammazzati

da Radicalshock

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El Santo VS el Huracán Ramírez

El Santo VS el Huracán Ramírez

Qualche giorno fa è stato ammazzato un italiano a Città del Messico. Su Repubblica esce un pezzo scritto evidentemente da un analfabeta, caratteristica sempre più comune tra i giornalisti (o sedicenti tali) nostrani. Questi i fatti. L’uomo, un sessantenne pensionato ex ferroviere del nord, a giudicare dal cognome veneto, trasferito in Messico da 5 anni, va con sua moglie su un autobus a pranzo da amici nel quartiere di Iztapalapa. Sul pesero c’è un gruppetto di quattro ragazzini quindicenni che pippano la colla. A un certo punto tirano fuori il pezzo e cominciano a rapinare ordinatamente i passeggeri dell’autobus. L’italiano si alza. Si oppone. Grida ai rapinatori che è armato. Per spaventarli. Quelli per tutta risposta gli piantano una pallottola in corpo perforandogli un polmone e lesionando il cuore. L’italiano tira le cuoia.

Il genio che scrive il pezzo su repubblica (tale Claudio Ernè), in un italiano sicuramente innovativo, esalta il coraggio del compatriota sperticandosi in complimenti ed elogi pacchiani, e indignandosi (quanto sono superiori quelli che si INDIGNANO…) con i giovani malavitosi messicani. L’Ernè ci informa che “Probabilmente i ragazzi-assassini erano sotto l’effetto di qualche droga, con buona approssimazione cocaina”. In genere i giovani criminali delle “baby gang” (come dice Ernè) di Città del Messico, con buona approssimazione pippano la colla o il lucido da scarpe, se gli va di lusso. E non gli frega proprio un cazzo dei gesti eroici.

Ora. Io penso che questo evento, con buona pace del povero signor Furlan, si possa trovare a pagina tre del Manuale illustrato su come farsi sparare in faccia a Città del Messico. Come ti viene in mente, su un pesero a Iztapalapa, un po’ come il Bronx in versione messicana, di alzarti in piedi e reagire a una rapina fatta da regazzini pippati con una pistola? Non sei un eroe. Sei solo un coglione. E la punizione per i coglioni, un po’ a tutte le latitudini, è la morte violenta.

Mentre penso e scrivo queste cose mi sento un po’ colpevole. Dice, allora sei mejo te. Dice, si vabbè, quello ha reagito d’istinto e tu sei uno stronzo cinico senza pietà a dire certe cose. E magari è pure vero. Però quello che mi secca è che ci sia gente che non si rende proprio conto della realtà. Mi INDIGNO, ecco. Non so perché mi rode tanto il culo per questa cosa. Forse perché vorrei che gli italiani nel mondo fossero un po’ tutti come quelli delle barzellette: furbi, scaltri e paraculi. Dove l’italiano vince e con lui vince l’Italia intera. E se uno svizzero ti dice italiano-pizza-spaghetti-mandolino-mamma-losaichec’èèarrivatoilmerendero, tu non arrossire e non abbassare il capo.

Questo mi piacerebbe. Invece c’è gente che ama fare l’eroe in un paese dove agli eroi gli sparano in faccia.

Oggi però, nonostante tutto, sono felice. A causa di un improvviso capovolgimento di fronte della fortuna la mia vita sta prendendo un’ottima piega. Quindi ora esco, prendo un pesero e mi vado a fare una bella passeggiata a Iztapalapa. Così. Per sfidare la fortuna e vedere a che punto arriva. Occhio che sono armato.

p.s. La foto che pubblico oggi non è inerente al post. Sono le gesta del Santo, nel suo epico scontro con Huracán Ramírez.

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foto al link


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