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Ulivo, Unione, Cln e due cerchi. La fantapolitica all’ombra di Marchionne

Come complicarsi la vita. Fino a resuscitare un progetto vincente nel 1996, ma poi affossato dai suoi stessi inventori. “Un nuovo Ulivo in cui i partiti del centrosinistra possano esprimere un progetto univoco di alternativa per l’Italia e per l’Europa e mettersi al servizio di un più vasto movimento di riscossa economica e civile del Paese”, ha scritto ieri su Repubblica Pierluigi Bersani. Bene, l’idea è sempre buona, però. Però ci sono poi le sue dichiarazioni del tardo pomeriggio sempre di ieri in cui il segretario del Pd dice che in questo suo progetto ci possono stare anche Udc e Fini. Perché no, anche loro sono contro Berlusconi e il berlusconismo, quindi anche loro in questo innesto un po’ azzardato. Per essere ottimisti. Questo il ragionamento del segretario. Che ha spiegato meglio poi a Pontelagoscuro alla festa del Pd. “Dobbiamo organizzarci rapidamente con una proposta politica coerente, perché questo Paese ha bisogno di noi”. Ha annunciato Bersani. La proposta si chiama Nuovo Ulivo. “Si tratta di un patto diverso da quello dell’Unione: sarà stretto tra partiti che si metteranno al servizio di un movimento di riscossa civica, morale”. Un patto tra forze che “hanno scelto di avere una comune piattaforma programmatica”, continua il leader Pd, che sia pronto ad estendersi in una più ampia alleanza, tracciando quindi quello che definisce un “doppio cerchio”: “Ci rivolgeremo a tutte quelle forze progressiste, che non vogliono il berlusconismo e sono preoccupate da una deriva che ci allontana dai temi essenziali della nostra Costituzione”. Bersani cita come forze candidate “Tutte quelle che…”: Casini, Montezemolo, Fini, tra i nomi passati in rassegna. Ovvero tutte quelle parti che avranno a cuore “la difesa della Costituzione, la riforma elettorale ed istituzionale etc…”. “Spirito unitario e generosità”, saranno elementi che dovranno caratterizzare il lavoro dell’alleanza: “Mi chiamo Bersani, ma sono moderatamente bersaniano – ha scherzato alla fine il leader – Lavoro per la ditta, perché l’Italia ha bisogno di noi”.

Lo ammetto, a me l’idea di un nuovo Ulivo non fa poi tanto schifo, anzi. Il 1996 e la vittoria di Prodi e di quella squadra fu un grande salto in avanti, ma la crisi del progetto due anni dopo fu uno degli episodi più tristi e meschini della classe dirigente del centro sinistra. E attenzione, ritengo che le responsabilità di Rifondazione e Bertinotti in quella crisi furono marginali se confrontate con quelle di chi manovrò nell’ombra. A partire da D’Alema.

Per due anni ci fu un governo che cercò di dare voce a delle speranze diffuse nel Paese. Un governo che voleva modernizzare l’Italia e prepararla a quello che sarebbe arrivato dopo. Con tutte le contraddizioni possibili di un’epoca di transizione. Con tutti i limiti che poi abbiamo constatato sulla nostra pelle. Fu difficilissimo tenere in piedi quella coalizione così vasta che teneva insieme così tante storie e culture.

Quindi l’idea di riprovarci oggi mi fa sobbalzare. Soprattutto mi fanno pensare una serie di cose. Il progetto di Ulivo di 14 anni fa era una cosa costruita attorno a un’idea ben chiara di Paese, aveva un leader di riferimento, un percorso evidente e trasparante di costruzione. Niente di emergenziale. Non esisteva il doppio cerchio di Bersani, e soprattutto non esistevano sette candidati premier. Sette (che se poi andiamo a vedere alla fine sono pure otto). Allora elenchiamoli. Vendola, Bonino, Chiamparino, Veltroni, Bersani, De Magistris, Zingaretti. E Prodi, che sicuramente prima o poi uscirà un’altra volta dal cappello anche se nessuno finora si è azzardato “nemmanco” a pronunciarne il nome. La mia paura è che proprio quest’ottava candidatura sarà quella che alla fine il Pd cercherà di portare. Perché qualsiasi altra candidatura interna la partito significherebbe andare allo scontro e il Pd un altro conflitto interno non riuscirebbe a gestirlo. Sacrificando anche la figura di Zingaretti che per età e competenza (ma non per visibilità nazionale) è una delle poche figure di riferimento per il futuro di questo partito e del centro sinistra. Quindi tolta di mezzo anche la candidature rituali della Bonino, rimarrebbero in campo solo Vendola e De Magistris. Che si piacciono (ma non al Pd che li vede entrambe come fumo agli occhi) e dialogano da mesi. Non c’è dubbio che se si andasse alle primarie Vendola avrebbe grandi possibilità di spuntarla. Anche su Prodi. E che vincerebbe sicuramente in tandem con De Magistris se i due decidessero di fare un patto.

Ma qui siamo alla fantapolitica lo so. Anche se spesso quando si parla di Pd la fantapolitica diventa realtà. Come in uno scenario fantascientifico alla fine potrebbe materializzarsi la suggestione imprenditorial-finanziaria- pseudo modernista di una candidatura Montezzemolo, che spero (dopo l’intervento delirante di ieri di Marchionne a Rimini) sia definitivamente tramontata dalle testoline di quei sublimi strateghi eternamente sconfitti del Pd. “Non siamo più negli anni Sessanta. Non è possibile gettare le basi del domani continuando a pensare che ci sia una lotta tra capitala e lavoro, tra padroni e operai”, ha dichiarato l’ad di Fiat davanti alla platea osannante di Cl. Scordandosi la disoccupazione incalzante, il potere di acquisto dei salari italiani al minimo europeo e la crescita ferma anche grazie all’ondata di esternalizzazioni (con tanto di sovvenzioni pubbliche mai reinvestite) a cui anche la sua impresa sta mettendo in atto. E Marchionne chiede, fra gli applausi, “un patto sociale per condividere gli impegni, le responsabilità e i sacrifici e per dare al paese la possibilità di andare avanti”. In riferimento alla vicenda di Melfi, Marchionne accetta la richiesta del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ieri ha espresso apprezzamento per lo sforzo Fiat, di trovare una soluzione al caso dei tre operai. Ma nei fatti il manager, che ha anche escluso la vendita di Alfa Romeo, non cede: “La Fiat ha rispettato la legge. Abbiamo bisogno della garanzia che gli stabilimenti possano lavorare in modo affidabile”. E poi: “Non chiedo stima, ma almeno rispetto. Ricevo complimenti per il turnaround di Fiat e per l’operazione Chrysler ovunque, fuorché in Italia”. Chissà perché. E ad applaudirlo, oltre al popolo ciellino e a una folla di militanti del Pdl, un Montezemolo un po’ defilato. Ma attento.

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