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Tutte le lettere d’amore sono ridicole

E’ Fernando Pessoa, il più grande poeta portoghese del ‘900, ed ha già perso la testa per lei.Iniziano così le schermaglie amorose fra i due due.

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E’ quello che in portoghese si chiama il namoro, il periodo in cui si manifesta quell’attrazione reciproca che poi darà luogo al fidanzamento vero e proprio.
 
Il poeta è di diversi anni più vecchio, ma non si sottrae al gioco degli sguardi, dei baci in punta di labbra tra una scrivania e all’altra, dei bigliettini. I due si scambiano anche una infinità di lettere d’amore.

Lettere che non ci si aspetterebbe dal Poeta dell’Inquietitudine: piene di affettuosità di tipo adolescenziale, di piccole ritrosie, di grandi slanci, perfino di giocosità puerili.

Che dire di questa lettera del maggio 1920?

“Bebè piccino del Nininho-ninho, 

Oh!Ti scrivo questa letteina per dire al Bebè piccino che mi è piaciuta tanto la sua letteina.Oh!

Ed ero tanto triste pecchè non avevo il mio Bebè vicino a dargli tanti cicini.

Oh! Questo Nininho è così piccininino! Oggi questo Nininho qui non viene a Belém pecchè non sa se funzionano i tram e deve essere qui alle sei. Domani, se tutto va bene, il tuo Nininho esce di qui alle cinque e mezzo.

Domani il mio Bebè appetta il suo Nininho, sì? A Belém, sì, sì? Cicini, cicini e cicini

Fernando”

Eppure questa lettera condensa tutte le caratteristiche principali del linguaggio e dello stile con cui il poeta si rivolge all’amata.
 
Un linguaggio puerile che segna una sorta di regressione all’infanzia, un modo di esprimere tenerezza e sentimento in maniera evidentemente troppo banale per poter appartenere al Fernando Pessoa scrittore.

E infatti la funzione delle lettere è quella di ancorare a terra l’uomo plurale perennemente in conflitto con il mondo reale, renderlo persona normale, addirittura mediocre e triviale.

Ancora una volta, come dice Antonio Tabucchi, sembra che “Pessoa abbia delegato a un altro, che era lui stesso, il compito di vivere una storia d’amore e di scrivere lettere d’amore alla signorina Ophela Queiroz” .
Ancora una volta l’autore indossa una maschera, usando buffi vezzeggiativi: per la giovane Ophelia lui è il ‘suo Nininho’ o il ‘suo Ibis’ .

Bebé, Bebecito, Bebé-angelito, Bebé cattivo, birichino, piccolino.

Ninita o Ibis sono invece i nomignoli con cui si rivolge all’amata.

Insomma, proprio come fanno tutti i teneri amanti, anche il grande poeta inventa un linguaggio intimo ed esclusivo, fatto di frasi e slanci adolescenziali.

Per Pessoa, Ophelia rappresenta un porto sicuro e stabile, una donna che lo stima e gli dà attenzione, un essere sensibile che lo ama così com’è, senza chiedergli di essere diverso, senza pretendere di cambiarlo.

Il namoro è un momento magico, che il Poeta vorrebbe prolungare all’infinito, proprio perché a questo status di fidanzato, oltre che, naturalmente, al carattere paziente e affettuoso di Ophelia, sa di dovere la sua beatitudine: quella di uomo che coltiva intensamente la sua passione per la letteratura mantenendo anche un sottofondo di dolcezza nella sua vita privata.

Ma Pessoa sa anche che, il giorno in cui al namoro facesse seguito il matrimonio, Ophelia pretenderebbe un ruolo quanto meno di pari dignità rispetto alla sua Opera, chiedendo di accentrare su di sé una passione che il Poeta sa di poter indirizzare esclusivamente verso la letteratura

Nel dicembre del 1920 Ofélia decide di mettere un punto, stanca di essere presa in giro dall’insicurezza surreale del poeta.

“Una donna che crede alle parole di un uomo, non è che una povera idiota; se un giorno vedeste qualcuno che finga di portare alle labbra una bevanda avvelenata a causa sua, rovesciategliela velocemente in bocca perchè libererà il mondo da un impostore in più.”

Conclude così la sua ultima lettera.

D’altronde quale donna di buon senso ( e Ophelia sicuramente lo era!) non diffiderebbe degli slanci amorosi di chi ha versi come questi?

Tutte le lettere d’amore sono
ridicole.
Non sarebbero lettere d’amore se non fossero
ridicole.
Scrissi anch’io, ai miei tempi, lettere d’amore,
come le altre,
ridicole.
Le lettere d’amore, se c’è amore,
devono essere
ridicole.
Ma, dopotutto,
solo le persone che non hanno mai scritto
lettere d’amore
sono
ridicole.

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Autore

Filippo Cusumano

Filippo Cusumano

Laureato in giurisprudenza, è stato fino al 2006, dirigente nella funzione del personale in una grande azienda. Ha svolto ruoli di responsabile del personale in varie unità organizzative ed è stato responsabile della formazione manageriale e delle politiche di sviluppo. Vive a Venezia.

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