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È importante conoscere la vita di uno scrittore?

 

 

C'è un tema assai dibattuto in letteratura: in che misura è giustificato l’interesse per la vita di uno scrittore?Conoscere traumi dell’infanzia, vicissitudini amorose, rovesci economici, disturbi digestivi e difficoltà respiratorie di un poeta o di un romanziere ci mette in condizione di capire ed interpretare meglio al sua opera? C'è chi dice di sì, chi dice di no.

Una cosa pero' è certa: ricevere informazioni sulla vita degli scrittori - al di là delle chiavi di lettura che queste possono offrire o meno sulla loro opera - può essere istruttivo e divertente. E infatti molto istruttivo e divertente è il libro di Bruna Durante Specchio delle mie trame, pubblicato da Mimesi.

Il libro contiene dieci interviste a dieci scrittori italiani : Eraldo Baldini, Gianni Biondillo, Giancarlo De Cataldo, Giorgio Faletti, Marcello Fois, Carlo Lucarelli, Raul Montanari, Santo Piazzese, Andrea G. Pinketts, Gaetano Savatteri.

Diciamo subito che Bruna Durante ci sa fare. In particolare le vanno riconosciuti due meriti: il primo è quello di essere riuscita a creare con gli intervistati un rapporto di grande confidenza (molti di loro si raccontano a lei come si racconterebbero ad una vecchia amica, di quelle alle quali è inutile raccontare balle perché appena lo fai ti sgamano subito e ti ridono in faccia).

Il secondo merito è che fa sempre le domande "giuste". Quelle che noi lettori vorremmo fare.

Ma, come dico sempre, un libro è come un melone, è meglio estrarne un tassello per sapere quanto è buono, piuttosto che guardarlo dall'esterno o palpeggiarlo. Così rimando tutti alla lettura di questo breve squarcio di una delle interviste del libro: quella a Raul Montanari. E poi ditemi se non è divertente e istruttiva.


Cosa deve avere un libro per piacerti?

Fondamentalmente tre cose: o la scrittura o la storia o i contenuti. Se poi ci sono tutt’e tre ancora meglio.

Aldo Busi per esempio è uno scrittore di scrittura perché quasi non racconta storie, infatti è impossibile fare film dai suoi libri: se togli la scrittura ti rimane poco da trasportare al cinema.

Niccolò Ammaniti è uno scrittore di storie, ha fatto un grande e intelligente lavoro di sottrazione nella scrittura che caratterizza il suo stile veloce, ma è evidente che il lettore di Ammaniti è più interessato alla storia che non alla scrittura, infatti i libri di Ammaniti possono diventare film.

Poi ci sono libri e autori in cui c’è poca scrittura, poca storia ma viene detta una cosa talmente importante, talmente forte che quel libro vale la pena di leggerlo comunque, come per esempio il primo libro di Michel Houellebecq, Estensione del dominio della lotta: bruttissimo, con una storia assurda, personaggi insopportabili e una scrittura sciatta senza ancora la finezza che l’autore ha poi acquisito ma con un concetto molto originale che non avevo mai trovato messo al centro di un testo narrativo con la forza con cui lo fa Houellebecq. 

Lo scopo dello scrittore è quindi quello di comunicare un’impressione che non si potrà più dimenticare?

Tutti gli scrittori sognano di riuscire a scrivere almeno un libro indimenticabile. Per farlo ci vuole bravura, coraggio e anche fortuna ma soprattutto bisogna saper imitare il reale perché la natura fondamentale del racconto è l’imitazione della realtà, non quella quotidiana però.

Con i mattoni del reale si costruiscono edifici narrativi che nella realtà non esistono e per questo sono così interessanti da abitare sia per lo scrittore sia per il lettore. Anche i formalisti russi sostenevano che l’operazione fondamentale del narratore non è raccontare la storia, ma restituire al lettore il mondo comese il lettore lo vedesse per la prima volta. 

Gli scrittori allora riescono a vedere il lato oscuro dell’umanità che gli altri non vedono?

Innanzitutto lo scrittore deve conservare lo stupore che hanno i bambini, riuscire a vedere le cose con uno sguardo vergine. Goethe diceva che bisogna conservare la capacità di meravigliarsi, che poi è la teoria sartriana de La nausea.

Poi ti do due risposte: la prima è che ci sono un sacco di persone che hanno la stessa sensibilità degli scrittori, a volte anche superiore ma la differenza tra uno scrittore ed una persona che non lo è risiede nella capacità espressiva: sentire sentiamo tutti, il problema è scrivere.

L’altra risposta è che sicuramente – come diceva Thomas Mann – lo scrittore deve avere nei confronti della vita e delle esperienze che fa, che sono più o meno uguali a quelle degli altri, una distanza di osservazione in modo da poter adoperare poi quelle esperienze nella narrazione. 

Vuoi dire che lo scrittore vampirizza la propria vita e quella degli altri?

Esatto, ed è anche un vampiro schizofrenico. La metafora perfetta del rapporto dell’artista con la propria vita non è in un libro ma in una scena del film Amadeus di Milos Forman: Mozart, tubercolotico, alcolizzato, torna a casa una mattina dopo aver gozzovigliato con gli attori con cui lavoraa Il Flauto Magico e si accorge che sua moglie Costanza se n’è andata portando con sé suo figlio.

Disperato, fa la cosa più umiliante per un uomo che è quella di andare in ginocchio da sua suocera, quella terribile suocera grassa con la faccia da austriaca che quasi non lo fa parlare e lo aggredisce gridando:”Tu sei un mostro, un mostroooo!!”, ma mentre la suocera urla si vede Mozart che guarda la bocca della suocera inquadrata sempre più da vicino, e improvvisamente i suoi strilli diventano i gorgheggi sublimi dell'aria della Regina della Notte ne Il Flauto Magico. Ecco, Mozart è lì nella merda più totale, eppure trasforma la merda in capolavoro. Anche a me è successa una cosa analoga. 

E cioè?

Stavo con una ragazza che mi piaceva molto, litighiamo e lei mi dimostra che sono un pezzo di merda e mentre l’ascolto, disperato, c’è un angolino del mio cervello che pensa velocemente: ”Mmh, perfetto, questo è ottimo per il dialogo tra X e Y che devo mettere nel capitolo quattro”.

 

 

Foto: Carlo Guarnieri/Flickr

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