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Tuoni e fulmini sul Medio Oriente

Eccoci qua. L’uso della locuzione “tempesta perfetta” è già stato usato mille volte da quando, in un fortunato (e un po’ angosciante) film, George Clooney, nei panni dell’affascinante pescatore d’altura, si è infilato in una megaonda lasciandoci le penne e facendo piangere signore e signorine di mezzo mondo.

La tragedia filmica lascia il tempo che trova, naturalmente; le tragedie vere lnvece lasciano scie di sangue, rancori e vendette che non sembrano avere mai fine. In special modo quando si tratta di arabi ed israeliani.

E’ notizia recente che il gran capo della Fratellanza Musulmana egiziana, Rashad Bayoumi, ha confermato che non avrebbe mai riconosciuto Israele in nessuna circostanza (e l’ha definito un’entità nemica, occupante e criminale); inoltre che avrebbe denunciato il vecchio trattato di pace con lo stato ebraico – siglato da Sadat e Begin – sottoponendolo poi ad un referendum popolare.

Se si tiene conto che il partito islamico è lanciato alla vittoria elettorale dopo i primi due turni di votazioni che lo hanno visto piazzato ad un buon 40% di preferenze e che è tallonato dal partito degli islamici salafiti (ben più radicali) si può ipotizzare con buona dose di certezza che l’Egitto assumerà nel prossimo futuro una posizione di aperto contrasto con Israele

Il paese delle piramidi e del Nilo fu la culla di una delle più antiche civiltà umane, ma anche delle intolleranze religiose (qui fu fatta a pezzi la colta Ipazia dagli scherani parabolani del vescovo Cirillo, qui avvennero i primi pogrom antiebraici ad opera degli egiziani ellenizzanti, qui bruciata la più grande biblioteca del mondo antico) e nello stesso tempo delle più durature convivenze pacifiche tra culture diverse.

Oggi si appresta a diventare di nuovo uno dei centri politici più caldi del pianeta.

Dopo la guerra del ’48 finalizzata a contenere (forse non proprio a distruggere viste le esigue forze impiegate) lo stato ebraico in fasce. Dopo essere stato aggredito nel ’56 nell’ultima guerra coloniale franco-inglese (con l’aiuto israeliano).

Dopo aver tentato il colpo di grazia nel ’67 impegnandosi nella tragicamente infausta guerra dei Sei Giorni (grazie alle notizie false che i sovietici insinuavano per imporre agli arabi il lavoro sporco necessario ad aprire un secondo fronte, così utile per alleggerire la pressione sul Vietnam) e poi nella ancor più drammatica sconfitta seguita all’improvvisa aggressione dello Yom Kippur del ’73, che doveva riscattare l’onore arabo umiliato nella guerra precedente (e riconquistare i territori perduti).

Ebbene, dopo tutto questo - cioè trent'anni di guerre - lo stato egiziano si era rassegnato ad una fredda pacificazione con quello ebraico. Strette di mano, sorrisi di circostanza, accordi di smilitarizzazione del Sinai, permessi di transito lungo il canale, eccetera. Compresi lo scambio di ambasciatori (da poco quello ebraico ha dovuto levare le tende molto velocemente dopo gli incidenti di Eilath) e un po' di turisti, ma anche con tutte le accuse di tradimento che fioccavano dalla Siria e dalle organizzazioni palestinesi ormai abbandonate a se stesse.

Poi Mubarak, temendo non a torto la forza politica dei fratelli musulmani e l’ovvia vicinanza ideologico-culturale con Hamas che di quella frangia dell’islamismo è figlia, pensò bene di sigillare il confine con la Striscia di Gaza dando inizio a quell’assedio che solo certe parti politiche ideologicamente schierate hanno sempre definito solo con il termine “israeliano”, volendo ipocritamente occultare il volontario attivismo egiziano nella questione.

Tutto questo, tutti questi decenni di pace fra i due stati, sembra ora avviarsi alla fine. Con i palestinesi come sempre chiamati a recitare contemporaneamente una moltitudine di ruoli in commedia (da quello delle vittime a quello dei vendicatori, da quello dei resistenti fino a quello di guida della riscossa panaraba o panislamica), ma sempre a pagare da soli e in prima persona i personaggi che qualcuno imponeva loro di recitare. Non ultimo quello del terrorista.

Oggi si delinea un fronte unico palestinese, a forza di faticosissimi accordi fra Hamas e ANP, con i super estremisti sparatori di razzi messi in sordina a suon di sberle perché non arrechino troppo disturbo ai manovratori. E accanto a loro un fronte variegato (unito e disunito a seconda della temperatura dell'aria) di stati che sembra andare dalla Turchia al nuovo Egitto, dalla futura Siria (con mille punti interrogativi) agli stati del Golfo (Qatar in testa e forse un po’ più che in testa), dallo Yemen in frantumi alla Giordania in preda al panico. Gelosi gli uni degli altri, sempre attenti a non lasciarsi troppi spazi a vicenda, ma anche tutti molto sensibili alla necessità di contenere un nemico pericoloso, che però non si sa bene qual'è e dov'è: a est o a ovest?

Il tutto mentre i razzi iraniani solcano i cieli e la flotta USA mostra i muscoli.

I popoli, che volevano libertà, dignità e lavoro e che per questo hanno affrontato carri armati e cecchini a mani nude, oggi (ci viene detto che) vorrebbero una nuova drammatica resa dei conti con lo stato ebraico; i palestinesi ambirebbero a vedersi riconosciuti diritti minimi (e sarebbe davvero l'ora, ma hanno ormai inanellato una serie impressionante - forse eccessiva - di errori e di sconfitte strategiche); i governanti ammiccano e sembrano solleticare queste antiche frenesie di vendetta e di riscatto, mentre glissano su diritti civili e libertà individuali che non sanno come incasellare in una nuova società, democratica e islamica allo stesso tempo, con uno sguardo al passato glorioso e uno ad un futuro più che preoccupante.

Si fa prima a contare quelli che - in un nuovo conflitto - non avrebbero alcun interesse economico, politico o sociale in ballo, piuttosto che quelli che avrebbero da incassare un qualche tornaconto.

Gli interessi (di ognuno) degli uni un po' coincidono e un po' confliggono con quello (di ognuno) degli altri, perciò chi sia nemico di chi, è ancora tutto da vedere; il gran bazar del Medio Oriente è aperto dall'alba al tramonto, ma di notte i fantasmi che vi si agitano sono tanti e tutti davvero molto inquietanti.

Per parafrasare un titolo di Haaretz: "Mirror, mirror on the wall, who's the lord of the new war?"

 

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