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Trio SAN: il debutto con successo del trio femminile giapponese

Il trio SAN conclude tra gli applausi la stagione del Centro d’Arte degli studenti dell’Università di Padova

Satoko Fujii (9 ottobre 1958), pianista e compositrice conosciuta nel mondo, grazie ad una carriera intensa quanto a collaborazioni, progetti originali e numero di titoli incisi, sempre alla ricerca di qualcosa che possa ipnotizzare chi la ascolta, è approdata alla sala dei Giganti al Liviano di Padova, per l’unica data italiana di un breve tour europeo. L’esibizione ha segnato il debutto di un nuovo progetto, il trio SAN (tre, nella lingua giapponese), completato dalla vibrafonista Taiko Saito (Sapporo, 1976) e dalla batterista Yuko Oshima (Nagoya, 47 anni), due musiciste che hanno scelto l’Europa (Germania e Francia, nell’ordine), per cercare di esprimersi e affermarsi professionalmente.

Sei le composizioni originali, a partire da Hibiki di Yuko e poi nell’ordine Soba (Satoko), Yozakura (Satoko), What you see (Satoko), Wa (Taiko), Ichigo (Taiko).

Yuko ha aggiunto ad un drumset normale dei piccoli strumenti (sonagli, campanellini) e oggetti per creare sonorità inconsuete che arricchiscono l’atmosfera di ogni brano. Ed un archetto, con il quale strisciare sul bordo dei piatti, creando un suono inquietante.

L’archetto sarà usato anche dalla vibrafonista, in episodi che concorrono ad evocare una sorta di suspense.

Satoko, oltre a suonare canonicamente, emette interessanti effetti sonori percuotendo le corde dello strumento aperto.

Due tom, un timpano, un rullante, una cassa sono i tamburi a disposizione di Yuko, in relazione con lo Hi-Hat e tre piatti con l’effetto chiodato, riprodotto mediante la collocazione di un set di chiavi sulla coppetta anteriore. Molte le bacchette utilizzate, spesso mallets, ossia quelle terminanti arrotondate grazie ad un’imbottitura di feltro/cotone. E modelli diversi di spazzole, più o meno fruscianti.

Taiko suona il vibrafono sia secondo la tecnica timpanistica (a una bacchetta), sia secondo quella a bacchetta doppia, a disegnare un triangolo.

Ma ciò che ha più sorpreso è stato un nutrito set di campane (Rin, in giapponese), utilizzate con gusto e saggezza, intonate a formare una dolce melodia, oppure per creare una situazione delicata dopo un rovente tutti, con uso massiccio dei pedali del pianoforte, colpi secchi sulle lamine del vibrafono, incroci di piatti e tamburi alla maniera Free dei tempi migliori, un magma sonoro che si fa indistinto in un climax ascendente per sonorità.

Un’atmosfera ora misteriosa, ora inquietante, ora rilassata avvolgeva la sala patavina, arrivando a momenti di precisi incontri sonori.

Alla fine delle note di presentazione ad un suo CD di solo piano, Satoko affermava : Mi piacerebbe creare una musica che nessuno abbia udito prima. In certi momenti questo si è avverato, anche se il suo stile potrebbe definirsi un “Free controllato”. Le musiciste la guardano spesso, attente a cogliere un gesto che richiama un determinato unisono.

C’è la ricerca del non consueto, come rovesciare il rullante e strofinare la pelle con una tipica spazzola giapponese per pulire le verdure. Oppure Taiko abbandona la tastiera per abbassarsi a percuotere i sostegni metallici.

Il pubblico mostra di gradire, cosicchè si instaura una positiva confidenza tra attori ed astanti.

Foto di Lucrezia Pegoraro

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