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Trentamila studenti in corteo a Roma contro i tagli. “Le nostre scuole cadono a pezzi”

Per la prima volta dopo due anni gli studenti sfilano a decine di migliaia per le strade della capitale. Alla manifestazione hanno aderito anche gli insegnanti e gli studenti universitari. Tra bandiere rosse, canti comunisti e gadget di Che Guevara, si grida la rabbia di chi è costretto a studiare in una scuola alla deriva con classi sovraffollate, programmi didattici ridotti al minimo e strutture che rischiano di crollare.

ROMA - “Siamo centinaia di migliaia”, hanno gridato gli organizzatori prima che partisse il corteo. Non è vero, gli studenti scesi in piazza ieri mattina a Roma contro i tagli del Governo alla scuola erano molti di meno – 35mila secondo le stime arrotondate in eccesso di fine giornata – ma in ogni caso Piazzale Ostiense era affollatissima e si faceva fatica a camminare. Bastava alzare un po’ lo sguardo per vedere una miriade di bandiere rosse sovrastare la piazza, a rivelare la palese connotazione ideologica del corteo sufficiente ad allontanare gli studenti di destra (tanti) e quelli che di politica non si interessano ma che disdegnano l’esibizionismo dell’estrema sinistra (la stragrande maggioranza). A indire la mobilitazione di ieri, del resto, è stata l’Unione degli Studenti, associazione studentesca riferibile a partiti di sinistra. Nonostante questo la manifestazione è riuscita a mobilitare tantissimi studenti, come non se ne vedevano da due anni. Ai ragazzi delle scuole superiori si sono uniti gli studenti universitari e gli insegnanti: in tutta Italia, dicono gli organizzatori, hanno partecipato 300mila persone.

Alle dieci parte il corteo, diretto davanti la sede del Ministero dell’Istruzione in Viale Trastevere. Uno degli organizzatori, dal microfono del camioncino, annuncia: “Non vogliamo soltanto protestare contro i tagli. Oggi vogliamo far partire un percorso di riforma della scuola dal basso”. Gli slogan, che si sovrappongono di continuo alla musica diffusa dal camioncino, sono tutti contro la Gelmini e il Governo. Il più gettonato, purtroppo, che viene ripetuto come un tormentone per tutta la mattinata, è “Berlusconi pezzo di merda”. Ma ce n’è anche per Gianfranco Fini: “Dov’è oggi Fini?! Fini che dice che Berlusconi ha sbagliato a tagliare alla scuola quando lui con Berlusconi e la Gelmini ha firmato quei tagli. Fini, vaffanculo!”

Quasi tutti i giornalisti camminano in testa al corteo facendo a turno per intervistare gli organizzatori che, a stringere, parlano solo di “padroni” e “figli di proletari”. Per capire davvero le ragioni che hanno spinto migliaia di ragazzi a perdere un giorno di scuola (nonostante le norme restrittive di quest’anno sulle assenze) per manifestare in piazza la propria rabbia, bisogna percorrere il corteo controcorrente. Dopo un po’ le bandiere spariscono e rimangono solo gli studenti. Marika viene dal liceo artistico Giorgio De Chirico, racconta che la sua scuola sta “cascando a pezzi” perché il pilastro portante della palestra è “marcito” e rischia di far crollare l’edificio. Adesso la palestra è inagibile. Come si fa educazione fisica se la palestra non si può usare? “Semplice, non la facciamo”. Ma si tratta del male minore: “Non possiamo studiare nemmeno le materie di indirizzo, le discipline plastiche, ovvero la modellazione della creta, perché la ordinano e non arriva mai. Quindi o la compriamo noi o non lavoriamo. E questo è un problema soprattutto per i quinti perché per loro è materia d’esame”. Un’amica interviene e precisa: “Oltretutto l’aula di plastica non è illuminata. Ci sono due finestre e le lampadine rotte, quindi anche se avessimo la creta sarebbe impossibile lavorarla in quelle condizioni”. E ancora: “Ci manca tutto il materiale: ci manca la carta, non abbiamo nemmeno le tele e le matite per dipingere, nemmeno i gessetti per scrivere sulle lavagne. Le persone che si iscrivono a un liceo artistico sono sempre di meno e ci hanno tolto anche l’insegnamento del diritto”. Perché non protestate? “L’anno scorso per protesta abbiamo provato a fare autogestione. Avevamo preso il quinto piano della scuola, ma ci hanno detto subito: scendete in cortile, non potete stare tutti quanti lì perché la struttura non regge, rischiamo un crollo”.

“Mia sorella”, dice uno studente, “studia in un istituto agrario. Le hanno tolto le ore che passa a fare pratica all’aperto per sostituirle con un po’ di informatica in più”. Un altro ragazzo denuncia il sovraffollamento delle classi: “Nella mia scuola ci sono sei primi, ma dovrebbero essere sette perché nelle classi ci sono più di trentadue persone. Ci sono classi con trentacinque persone tra cui dei ragazzi portatori di handicap”.

“A scuola da noi”, racconta un ex studente delle superiori, da settembre laureando in ingegneria elettronica a Tor Vergata, “dovemmo sospendere un’assemblea perché un topo entrò nella Aula Magna. Alcuni gli diedero la caccia e riuscirono a catturarlo. Lo misero in un secchio e iniziarono a prendere a calci il secchio col topo dentro. La nostra scuola era infestata dai topi”.

Poi, a fatica, il corteo arriva in Viale Trastevere. Le persone sono troppe, non tutti riescono ad arrivarci. Camminare è quasi impossibile. Un gruppo di ragazzi appende uno striscione sulla cancellata a sinistra del Ministero: “Cogito ergo protesto”. Sono gli studenti del liceo classico Socrate. “Nella nostra scuola”, racconta una ragazza, “non ci sono abbastanza aule per tutte le classi, quindi a turno le classi girano e fanno lezioni magari in palestra o nei laboratori, lasciando il posto alle due classi che non hanno l’aula. La mia classe rimarrà senza aula fino a dicembre, quindi facciamo lezione nelle classi di altri, e poi da dicembre a Pasqua ci sarà un altro turno e da Pasqua alla fine dell’anno un altro ancora”. Rimarrete sempre così? “Adesso, per fortuna, c’è stato il via libera per la costruzione di nuove aule, ma i tempi burocratici sono lunghissimi. Ci sono stati problemi anche perché chi aveva progettato la struttura è andato in pensione e l’anno dovuto sostituire e adesso abbiamo avuto il via libera”. Che tempi si prevedono? “Non lo sappiamo, non ce l’hanno detto. Devono ancora fare la gara d’appalto. Probabilmente mi diplomerò senza vedere le nuove aule”. In tutto questo pasticcio le classi sono anche sovraffollate: “Il numero di studenti per classe va contro le norme di sicurezza. Siamo tutti ammassati come acciughe”.

Oltre ai turni in palestra, gli studenti del Socrate sono costretti a vivere tutti i giorni in una struttura pericolosa: “Il soffitto nel corridoio crolla”, racconta un’altra ragazza, “ci sono delle pareti che sono traballanti, ma per fortuna la nostra scuola è un prefabbricato, quindi non ci sono pilastri portanti che possono crollare. Chi vive in scuole in muratura con le crepe alle parati corre un rischio ancora maggiore: se cade un mattone fa un certo tipo di danno, a noi se cade una parete, certo, ci fa male lo stesso, però i nostri muri sono di plastica”. Insomma, si considerano fortunati. “Se noi facciamo una richiesta ci dicono che siamo fortunati perché ci sono scuole che sono messe molto peggio, ed è vero: al Cavour c’è stato un crollo l’anno scorso e ci sono delle macerie nella scuola”.

Poi ci sono i tagli alla didattica: “Noi avevamo un corso potenziato di storia dell’arte che iniziava dal ginnasio, dal primo anno, anziché dal primo liceo, quindi dal terzo anno. Il potenziamento è stato tagliato, quindi le persone che sono entrate quest’anno al ginnasio non fanno storia dell’arte anche se nel nostro liceo questa sperimentazione ha dato sempre ottimi risultati”. Storia e geografia sono state accorpate in un’unica materia, “tre ore alla settimana, un’ora e mezza e un’ora e mezza. Come le divideranno?”. “Io, aggiunge una ragazza, “sono anche preoccupata per il mio futuro. L’anno prossimo finisco il liceo e sono spaventata perché ho sentito di professori universitari che non si sono presentati a fare lezioni perché non hanno ricevuto lo stipendio”.

Dietro di loro c’è una ragazza che ha studiato un anno all’estero, per uno scambio interculturale, in un liceo del Canada. Spiega che differenza c’è, in Canada, con le scuola italiane: “Innanzitutto hanno mura vere, fatte di mattoni, il che vale già come punto a loro favore. In più ogni aula è dotata di un computer, un proiettore e un televisore. I libri vengono offerti dalla scuola, quindi non bisogna pagarli. Alla fine del corso bisogna restituirli, così possono essere consegnati agli studenti dell’anno successivo. E le classi sono massimo di venti studenti”. Ma questa è una scuola privata? “No, è la scuola pubblica”.

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DOCUMENTO: "Così la scuola è ridotta in rovina". La lettera di un preside di Roma

ARCHIVIO: Insegnanti precari in piazza a Roma 
 

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