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Insegnanti precari in piazza a Roma

Grande manifestazione a Roma contro i tagli alla scuola. In piazza insegnanti precari e studenti. Il sindacato annuncia uno "sciopero degli scrutini". "Al Ministro Gelmini garantiremo un fine anno molto movimentato".

Insegnanti precari in piazza a Roma

Non è stata solo la giornata dello sciopero generale della CGIL contro il precariato e l’abuso della cassa integrazione prodotti dalla crisi. Venerdì scorso migliaia e migliaia di insegnanti precari da tutta Italia si sono riversati nelle strade di Roma per protestare contro <<i tagli indiscriminati>> alla scuola e la <<distruzione dell’istruzione pubblica programmata dalla coppia Tremonti-Gelmini>> . È successo nel silenzio della stampa nazionale, con le uniche eccezioni di Terra e de l’Unità.

Una folla sterminata di insegnanti ha sfilato da Piazza della Repubblica fino al Ministero della Pubblica Istruzione dove, dai camioncini, ha preso il via un’assemblea pubblica. <<Renderemo caldissimi i prossimi mesi>>, annunciano. <<Non dovremo dare tregua al Ministro Gelmini>>. Per ora iniziano da un presidio di ventiquattro ore davanti al Ministero, e non hanno intenzione di mollare. <<Non si può vivere di onde anomale che durano un mese>>.

Li ritroviamo dove li avevamo lasciati questo settembre, sempre lì, in presidio davanti al Ministero dopo un’estate caldissima che li aveva visti mobilitati in tutta Italia, sui tetti dei provveditorati occupati. E da allora, nonostante qualche breve comparsa nelle manifestazioni politiche nazionali, i giornalisti li hanno completamente ignorati.

Si sentono traditi dai <<colleghi precari che a settembre stavano sui tetti e oggi in classe a fare lezione>>. <<Tradimento>> è una parola che ricorre spesso nei loro sfoghi. Criticano i colleghi che <<non hanno voglia di scendere in piazza e preferiscono delegare>>. Accusano di “collusione” i colleghi col posto fisso che <<hanno derubato i precari prendendo più di diciotto ore di lezione, illegalmente>> e che <<sacrificano le loro attività didattiche per un pugno di soldi>>. <<Molti colleghi sono terrificati dal conflitto: si mettono a tremare al primo sguardo del preside>>.

Respingono le accuse di corporativismo: <<Ci incazziamo quando ce lo dicono>>. Certo, manifestano per il loro diritto a lavorare e a non vivere di precariato, ma soprattutto perché <<la scuola pubblica è un luogo di unificazione, di democrazia e di coesione sociale>>.

<<La nostra lotta non si ferma. La nostra lotta non si arresta. La nostra lotta è senza tregua>>.

Annunciano uno <<sciopero degli scrutini a fine anno>>. Diffidano i Dirigenti Scolastici a <<stabilire scrutini prima che si concluda l’anno scolastico>> perché <<gli scrutini si fanno cinque, sei giorni dopo la fine dell’anno. In quei giorni piazzeremo due giorni di sciopero>>. <<Al Ministro Gelmini garantiremo un fine anno molto movimentato>>.

Gli studenti li accompagnano in coda al corteo. Sono moltissimi, sicuramente alcune migliaia. Molti meno, però, rispetto a quanti sono scesi in piazza l’anno scorso. Quando si ritrovavano a Piazza della Repubblica talmente in tanti che, già prima di partire, il corteo raggiungeva la stazione Termini. Quando i soli studenti delle superiori erano capaci di riempire per metà il Circo Massimo.

Venerdì sono stati molti, molti meno a scendere in piazza. Un po’ perché la manifestazione aveva una palese connotazione ideologica, sufficiente ad allontanare gli studenti di destra e quelli, la stragrande maggioranza, che di politica non si interessano ma che disdegnano, per motivi comprensibili, l’esibizionismo dell’estrema sinistra. Ma soprattutto gli studenti hanno smesso di protestare, come spiega un’insegnante, <<perché anche per loro è difficile, vuol dire fare assenze in massa che incidono sulla condotta>>.

È passato poco più di un anno dal periodo incantato, durato solo pochi mesi, in cui gli studenti auto-organizzati scendevano in piazza tutte le mattine per manifestare contro i tagli. Da allora, nelle assemblee scolastiche, si iniziarono a fare strani discorsi. Si iniziò a dire che si stavano accumulando troppe assenze, che i professori si sarebbero innervositi, che forse conveniva smettere di andare per le piazze tutti i giorni anche perché <<siamo stanchi, chi ce lo fa fare>>. Poco importa degli slogan che tutti urlavano fino al giorno prima denunciando il pericolo della rovina della scuola pubblica. Che vada a rotoli questa scuola, <<tanto quest’anno abbiamo gli esami>>, <<tanto riguarderà quelli del primo>>. E poi <<mica possiamo rischiare di farci bocciare>>.

Eppure, l’anno scorso, anche gli studenti del Burkina Faso erano in lotta per ottenere un migliore sistema di studio. E quando vennero minacciati di non poter più sostenere un esame se avessero scioperato un certo giorno, se ne infischiarono. Poi, quando si videro appioppare uno zero in massa, non si persero d’animo e proclamarono un’altra giornata di sciopero contro <<lo zéro collectif>>. Dando prova del coraggio che manca ai loro colleghi italiani.

Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti. Lo cantava Fabrizio de André. Era il 1973.

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