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 Home page > Attualità > Economia > Telecom e patriottismo: sull’ondata di privatizzazioni

Telecom e patriottismo: sull’ondata di privatizzazioni

L’annuncio dell’acquisto da parte della spagnola Telefónica di un pacchetto azionario sufficiente a controllare la Telecom Italia ha suscitato sorpresa e sgomento… Persino il presidente Bernabé ha dichiarato di aver saputo la notizia dai giornali. Vero? Forse, ma in tal caso è scandaloso: una transazione così importante dovrebbe essere fatta alla luce del sole, informando, non dico i lavoratori (sarebbe pretendere troppo), ma almeno tutti gli azionisti e… il presidente.

Ma non mi soffermo su questa dimostrazione di quanto poco “democratico” sia il normale funzionamento di un’azienda capitalista. Vorrei invece segnalare alcuni commenti vergognosi venuti dal centrosinistra. A partire da quello di Enrico Letta (anche lui pare l’abbia saputo dai giornali, mentre era in Canada e negli Stati Uniti a chiedere… investimenti stranieri in Italia), che ha detto subito: ma che ci posso fare, è un’azienda privata; per seguire poi con tutti quelli (a partire dal Copasir) preoccupati solo per la sicurezza delle informazioni riservate (cioè alle spalle dei cittadini) che potrebbero essere utilizzate da “stranieri”.

Massimo Mucchetti ed altri del PD hanno denunciato il pericolo che l’operazione, realizzata sotto costo grazie alla disponibilità a realizzare subito qualcosa da parte degli azionisti di Telco, serva ai rivali spagnoli per impossessarsi della redditizia presenza di Telecom Italia in Brasile, in Argentina e in diversi altri paesi latinoamericani. Non possiamo perdere quei gioielli, ha detto…

Beh, a nessuno viene in mente che con questa logica i governi di Buenos Aires e Brasilia avrebbero avuto il diritto di preoccuparsi per il fatto che i loro sistemi telefonici sono ormai da tempo in mano a imprese straniere (oggi, in concorrenza tra loro, Telecom e Telefónica, ma per loro cambia poco). E infatti stanno protestando comunque per le continue violazioni di siti riservati dei loro governi, realizzati anche con altri strumenti dagli Stati Uniti.

A nessuno viene in mente anche che la FIAT ha comprato la Chrysler, che da decine di anni imprese “italiane” hanno investito in altri paesi, che migliaia di altre hanno delocalizzato almeno parte delle produzioni. E viceversa già moltissimo di quel che consumiamo e figura “made in Italy” è prodotto da aziende acquistate da capitalisti di altri paesi, che si comportano né più né meno come quelli “italiani”, come è logico: i capitalisti non hanno nazione, se non per farsi finanziare quando sono in cattive acque… I sindacati, specialisti nel chiudere le porte dopo che i buoi sono scappati, “si preoccupano per l’occupazione”, come se fossero solo i capitalisti stranieri a minacciarla.

Nessun esponente del centro sinistra o della CGIL sospetta che la vicenda della Telecom (e quella dell’Alitalia, ecc.) offrirebbe una buona occasione per fare un bilancio della folle ondata di privatizzazioni che proprio Prodi ha avviato, e di cui si vedono i frutti anche quando il padrone rimane italiano (vedi ILVA). 

Invece degli appelli al patrottismo, dobbiamo lavorare per ricostruire una rete internazionale che consenta di contrapporre allo strapotere dei capitalisti, spalleggiati da apparati statali sempre più brutalmente antidemocratici, un movimento politico e sindacale di classe per la difesa dell’occupazione, a partire dalla rivendicazione principale della riduzione massiccia dell’orario, per la ridistribuzione del lavoro tra tutti, e da quella del controllo dei lavoratori sui bilanci delle loro aziende.

 

Foto: Geraint Rowland/Flickr

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