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Tallin non è all’estero

Era un po’ di tempo che avevo in testa l’idea di questo articolo: non è un trattato di filosofia politica né di macroeconomia (non ne sarei capace); è piuttosto la voglia di esternare delle sensazioni che ho sempre più spesso sotto questo bombardamento di notizie apocalittiche su destino dell’Europa.

Sono nato nel 1987, della Germania divisa non ricordo nulla, per me l’Europa è sempre stata qualcosa di uniforme dalle elementari quando ce l’hanno raccontata sotto l’Impero Romano fino alle grandi guerre del Novecento, una storia comune anche nelle tragiche divisioni.

La lira me la ricordo sì ma l’ho usata al massimo per comprarmi la focaccia o le caramelle Goleador uscito da scuola e per la verità anche le prime sigarette. Fuori dai confini “italici” ho fatto gite scolastiche, vacanze, scambi culturali, gare di judo e tornei di calcio; ho stretto amicizie, guidato, mangiato, bevuto, ballato, baciato, ho preso i mezzi pubblici, ho letto i giornali e la maggior parte dei soldi che ho speso nella mia vita sono euro. 

L’Europa prima che una visione politica o un’espressione geografica è ormai uno stato di cose, viaggiamo con pochi euro da un aeroporto all’altro saltando la coda all’arrivo perché siamo cittadini europei; ci spostiamo da sud a nord per un Festival o da nord a sud per andare al mare; facciamo la fila con i saldi agli stessi negozi ed ascoltiamo la stessa musica, certo ognuno coi suoi gusti ma proprio l’essere sofisticati è il nostro bello.

Sono nato europeo e non torno indietro: cari presidenti e primi ministri, potrete far fallire la moneta unica e revocare il Trattato di Schengen, ma non ci potrete cambiare i connotati.

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