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Superbonus: Ragioniere, scavi lei?

Spendere come pazzi a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile fallire: il guardiano della "certezza ed affidabilità dei conti dello Stato" non ha visto arrivare quelli del Superbonus.

Torniamo sulla sconcertante esplosione di deficit causata dal Superbonus. Come è stato possibile “non averlo visto arrivare”? Ci sono responsabilità? Sul Foglio, Luciano Capone ha portato alla luce una frase pronunciata dal Ragioniere Generale dello Stato, Biagio Mazzotta, che dovrebbe essere il guardiano dei conti pubblici italiani e la cui struttura è responsabile della cosiddetta “bollinatura” delle leggi, cioè del visto di conformità che certifica che le leggi approvate abbiano copertura finanziaria.

VALUTAZIONE D’IMPATTO MANCANTE

A maggio scorso, durante un’audizione alla Camera sull’esplosione della spesa per Superbonus e bonus facciate, Mazzotta avrebbe pronunciato questa inquietante frase:

In prospettiva, dotarsi di modelli di valutazione d’impatto ex ante ed ex post è fondamentale.

Un attimo: “in prospettiva”? Nel senso che, oggi, non ne disponiamo? Se la frase va letta in questi termini, è qualcosa da non dormirci la notte. Chi segue questi pixel sa che la nostra amica Vitalba Azzollini predica inutilmente da tempo immemore sull’analisi d’impatto della normazione. Ex ante ed ex post, appunto.

Se la funzione istituzionale della RGS è, come recita il suo sito, quella di “garantire la corretta programmazione e la rigorosa gestione delle risorse pubbliche”, oltre che “la certezza e l’affidabilità dei conti dello stato, la verifica e l’analisi degli andamenti della spesa pubblica”, significa che la vicenda dei bonus edilizi ha messo a nudo che tale missione è fallita.

Resta il fatto che lo scostamento tra le relazioni tecniche dei provvedimenti e l’entità dei costi effettivi è ormai arrivata a 45 miliardi di euro, come un paio di leggi di bilancio, per usare il commento di Capone. A settembre, nella NaDef, il ministro dell’Economia e Finanze, Giancarlo Giorgetti, aveva quantificato lo sforamento di deficit aggiuntivo nell’1,1 per cento di Pil rispetto a quanto indicato nel Documento di economia e finanza, in primavera. Sono circa 23 miliardi di deficit emersi in meno di un semestre. Raggelante.

Con tanti saluti all’articolo 81 della Costituzione, quello che già nella sua prima esistenza era stato allegramente crivellato, prima di essere riscritto durante la crisi del debito sovrano. Ricordate il mio precetto aureo? Non esiste camicia di forza o vincolo costruito dagli umani che gli umani medesimi non possano strappare. Ecco, quello. Con l’aggravante che qui non siamo di fronte a “interpretazioni” politiche della norma ma proprio a un sostanziale accecamento della tecnostruttura che avrebbe come compito quello di alzare la paletta e dire stop. Prendendosi le rampogne di rito con accuse di essere un “deep state” che vanifica la volontà del popolo sovrano.

Qui pare dunque esservi una sostanziale incapacità a quantificare gli impatti di costo di una misura assurda oltre ogni immaginazione per regressività e annichilimento del principio di contrasto d’interessi tra committente ed esecutore che invece da tempo immemore è parte integrante -e fallace– del pensiero di ampia parte della nostra classe politica.

NEI LIBRI DI STORIA

Perché insisto su questa vicenda? Perché finirà nei libri di storia (economica e non solo) di questo paese. La conferma la fornisce lo stesso Capone, quando inquadra la dimensione dell’assurdità: le famigerate baby pensioni sono costate 130 miliardi in mezzo secolo, i bonus edilizi cifrano (non “cubano”, mi raccomando) sin qui 170 miliardi in tre anni.

Poi, come detto, c’è l’enorme problema del Ragioniere Generale dello Stato, che auspica che ci si doti “in prospettiva” di modelli di valutazione d’impatto ex ante ed ex post. Nel senso che manco un consuntivo, sappiamo tirare? Sento una canzone in sottofondo, le cui parole dicono “e spendere come pazzi a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile fallire”. O forse le parole erano altre, ora non ricordo.

Sempre sul Foglio, il direttore generale di Assonime, Stefano Firpo, si spinge a quelli che definisce “indebiti parallelismi” tra il caso Superbonus italiano e le alterazioni contabili realizzate dal governo greco che, quando disvelate, hanno innescato una crisi le cui cicatrici resteranno profonde. Nel caso greco fu dolo ma l’esito finale potrebbe essere analogo, sotto i colpi di maglio dei mercati. Per fortuna non sta accadendo, anche grazie all’attesa messianica per un forte calo dei tassi ufficiali entro l’anno, che darà ossigeno al bilancio pubblico italiano.

Ora è in corso lo stucchevole gioco di società sulle responsabilità politiche che hanno protratto questa abiezione per anni. Responsabilità che temo siano pressoché universali. È possibile disinnescare l’ordigno? Solo se quel deficit non si trasformasse in debito, per una serie di circostanze che tuttavia causerebbero la falcidie di molte aziende.

IL RITORNO DEL PCI

E poi ci sono i difensori d’ufficio ma non troppoquelli che “non sono tra i padri né tra i fan della misura”, e che “ho sempre sostenuto un approccio minimalista” (?) ma non riescono a non citare l’ormai celeberrimo “studio di Nomisma”, che è ormai diventato come “er gol de Turone“. Quelli che “Ance, com’è il vino?”

Poi si lanciano nella perorazione delle magnifiche sorti e progressive (in senso letterale) di aver consentito la cessione del credito, aiutando “le famiglie povere” (ma pur sempre proprietarie di immobili, tu guarda) a “sistemare il proprio appartamento”.

Per finire con la solita giaculatoria sulla speculazione con tante zeta, come le multinazionali:

Non si può più tacere oggi su quanto sta avvenendo sul 110% da parte della finanza. I crediti vengono ceduti come media al sistema del bancario, quando è possibile, attorno al 70-75% su 110% di cessione, addirittura ci sono speculatori che comprano il 110% al 50% o al 60% e le imprese pur di sopravvivere vendono a qualsiasi prezzo.

Ecco, credo non si possa più tacere e si debba rivelare all’onorevole Andrea Orlando che la decurtazione del valore dei crediti ceduti deriva in primo luogo dal fatto che i tassi d’interesse sono schizzati rispetto al 2021, e di conseguenza il fattore di sconto si è gonfiato. So che questa rivelazione potrebbe urtare la vostra sensibilità come quella dell’onorevole Orlando, ma non posso più tenermela dentro. Provate ad applicare un tasso di sconto del 5-6 per cento a cinque anni ad un montante di 100, in capitalizzazione composta o anche semplice: vi si aprirà un mondo, sotto i piedi. Se anche non vi fosse questa incertezza normativa patologica e tipicamente italiana, le decurtazioni al valore dei crediti sarebbero pesanti.

Poi, mi pare si possa ormai dare per acquisito che questo Superbonus diverrà parte della mitologia e mitopoiesi di questo paese sgangherato, e sarà messo nella stessa categoria del comunismo: un’idea geniale, purtroppo male implementata. Il Superbonus anche come fischietto a ultrasuoni di un rassemblement di sinistra e sinistrato, la ragione sociale del Pci, partito contiano italiano, che ha ripreso a sognare in grande. “Perché, vedete, abbiamo dimostrato che più deficit fa scendere l’indebitamento”. Oppure no.

Quindi sì, serve aiutare la Ragioneria Generale dello Stato, anche se è parte del Deep State. Perché altrimenti, qui di deep ci sarà solo un gigantesco hole.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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