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Su iPhone l’applicazione le figurine come su un album. Nasce a Napoli, dalla storia degli azzurri e di Maradona

Su iPhone l'applicazione le figurine come su un album. Nasce a Napoli, dalla storia degli azzurri e di Maradona

Cose che con gli iPhone non esisteranno più. Cose degli anni ’80 e di quelli degli anni ’80. Una generazione che, come tante prima e dopo, ha collezionato le figurine ma l’unica che può vantarsi di aver desiderato la figurina di Maradona. Perché era una carta astratta, un mito. La figurina del più grande giocatore di tutti i tempi. Inconfondibile, con quei ricci che coprivano metà dell’inquadratura sopra l’azzurro targato Cirio, Buitoni, Mars. Non usciva mai. Pochi sanno che era in edizione limitata.
 
C’è chi l’ha scoperto da poco e chi ancora non ci crede. Per il sospirato rettangolino di colla e carta con l’effigie del Pibe de oro bisognava aspettare, nel migliore dei casi, fine stagione. Tranne qualche raccomandato dalle stelle e dal caso, che riusciva a trovare Dieguito già dai primi giorni, quando passavano davanti scuola i rappresentanti Panini a regalare il raccoglitore e le prime stickers. Per invogliare all’acquisto e creare astinenze, come dei pusher. E si diceva che fosse scientifico che Maradona capitasse in solo una o due bustine sulle mille spettanti ad ogni istituto. Per creare casi di mercato ed aumentare il potere d’acquisto. Per il resto dei mortali, non c’era niente da fare. Non valeva la legge dei grandi numeri: neanche la misura di dieci pacchetti comprati, dopo un investimento di ben duemila lire, poteva garantire la Sua figurina. Al massimo uno scudetto del Napoli, o un doppione di Careca con cui acquisire forza contrattuale al mercatino degli scambi. O, se ti andava di tentare la sorte, ai giochi di abilità. Nella galassia dei banchi di ultima fila erano vari i giochi con cui potevi aumentare il capitale di figurine senza andare in edicola. Anzi, ad un certo punto l’album e il suo completamento non erano più il fine ultimo della collezione. C’era da giocare, e da vincere il titolo della classe come miglior figurinaro dell’anno.
 
Il re dei giochi era Mignolino. Per giocare "a mignolino", si mettevano sul banco due figurine; chi riusciva, dopo ripetuti urti, a fare girare le due carte contemporaneamente, se le prendeva entrambe. Arbitri e Probi Viri controllavano il corretto svolgimento dell’azione, specie nel suo finale. Quando lo sconfitto tentava di strappare la sua carta ed evitare la perdita con una fuga vergognosa ma redditizia. Tuttavia, il mignolino era una pratica fisica, pressochè sportiva, e, diciamo la verità, cavalleresca. Insieme alla sua versione liofilizzata e spettacolare detta lo “sbattone”, consentiva la vittoria di una sola carta per volta e poteva durare ore. Dunque lo si faceva per pura passione agonistica, era in voga tra gli amanti del bel gesto e del colpo ad effetto.
 
Per i malati dell’azzardo, le discipline erano altre. C’era “Numero”, una sorta di pari e dispari in cui si sommavano le ultime cifre comparse sul retro delle figurine, dopo preventiva scelta. Anche questo permetteva l’entrata di una sola “figu” alla volta, ma era più veloce. E bisognava coprire le carte, perché gli esperti erano capaci di individuare da un millimetro quadro dell’immagine il giocatore, e quindi il numero di appartenenza. Chi voleva capitalizzare davvero, invece, doveva darsi alla “lettera”. La regola era semplice: si ponevano le figurine in un piccola pila preselezionata, senza possibilità successive di modificarne l’ordine. E si scartavano una per volta, come una roulette russa. Si aggiudicava l’ammontare chi cacciava il nome di un giocatore con la stessa iniziale del precedente. In palio anche dieci figurine a partita, con collassi dello sconfitto e momenti di gloria per il vincitore. Per le sue caratteristiche da bisca, era inviso ai professori e fuori dai regolamenti ufficiali delle federazione T.i.f.o (Torneo interscolastico figurine organizzate). Ma aveva il fascino del brivido, e della clandestinità. Praticato com’era nei bagni all’intervallo, o sullo scalone di scuola all’uscita, fuori dagli sguardi di insegnanti e genitori preoccupati della piega illegale dei piccoli discenti. Resta da dire che era possibile solo all’epoca: quando la Serie A consentiva massimo tre stranieri per squadra, e poche probabilità di imbattersi in giocatori che iniziavano con la K.

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