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Stupro come arma di guerra

Il 19 giugno del 2008 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione n. 1820 con la quale, sul piano del diritto internazionale bellico, lo stupro è stato ufficialmente equiparato ad un’arma di guerra.

Il provvedimento origina dal postulato che le violenze sessuali commesse nei luoghi di conflitto devono essere considerate dalle forze armate alla stregua di una "tattica di guerra per umiliare, dominare, impaurire, disperdere e/o rimuovere forzatamente gli appartenenti a comunità e gruppi etnici".

Pertanto, con la stessa risoluzione - votata dal gruppo ristretto dei quindici, ma promossa da trenta Paesi, quasi tutti occidentali - il Consiglio ha ammonito severamente la totalità degli Stati membri ad assumere le politiche preventive e repressive del caso, mediante "adeguate misure disciplinari nei confronti dei militari, sostenendo il principio della responsabilità di comando, l’addestramento delle truppe sul divieto categorico di ogni forma di violenza sessuale contro i civili, depotenziando i miti che sono all’origine della violenza sessuale, esaminando attentamente il comportamento delle forze armate e delle forze di sicurezza".

In caso contrario, il Consiglio "una volta stabilite o rinnovate le sanzioni a carico di uno Stato, prenderà in considerazione - si legge ancora nel documento - il ricorso a misure mirate e progressive contro quelle parti che nelle situazioni di conflitto armato abbiano commesso stupri o altre forme di violenza sessuale contro le donne e le ragazze".

In realtà, la logica delle armi e la condizione di supremazia che i militari hanno sui civili in un teatro di guerra hanno dato storicamente luogo a diverse, e non meno drammatiche, forme di abuso - anche in tempi molto recenti - che vanno dal saccheggio alla “pulizia etnica”, dal reclutamento coattivo di bambini/soldato alla distruzione di interi villaggi, dalle esecuzioni sommarie alla tortura dei prigionieri, dalle deportazioni di civili alla profanazione dei luoghi di culto; tra queste molteplici forme di abuso vanno indubbiamente incluse anche le violenze sessuali.

I casi tristemente noti avvenuti nei conflitti in Rwanda, nella ex Jugoslavia, in Ciad o in Nigeria - senza stare a scomodare le follie naziste e comuniste perpetrate in mezzo mondo - documentano come le brutalità della guerra possano assumere le più diverse e terrifiche sembianze ancora oggi.

E' altrettanto vero, però, che tali abusi sono già contemplati come crimini di guerra da diverso tempo e - come ricorda la stessa risoluzione - anche "gli atti di violenza sessuale [...erano già...] compresi nello Statuto della Corte per i crimini di guerra di Roma e dei tribunali penali internazionali" sia alla data del 19 giugno 2008, sia molto tempo prima che questa risoluzione, terminato l'iter procedurale, venisse approvata.

Perché, allora, rimarcare un principio già più volte affermato e sancito anche sul piano del diritto bellico internazionale?

Prima ipotesi: la risoluzione serve a stabilire una gerarchia di gravità dei possibili abusi da parte dei militari, in modo da rendere le alte gerarchie corresponsabili del comportamento delle truppe che agiscono sul campo.

Detta altrimenti, se un reparto si macchia del crimine di omicidio di civili o di saccheggio, a risponderne saranno i militari direttamente coinvolti o i loro diretti superiori.

Se, al contrario, un manipolo di soldati commette violenze sessuali, a risponderne saranno i soggetti direttamente coinvolti, ma anche la catena gerarchica che, via via, può risalire persino ai responsabili politici di quella nazione.

Abu Ghraib

In sintesi, secondo una gerarchia etica che non può non lasciare perplessi, lo stupro deve essere considerato più grave dell'omicidio, delle esecuzioni sommarie o della tortura.

Questa ipotesi è avvalorata da quanto si legge ancora nella risoluzione: "lo stupro e altre forme di violenza sessuale possono rappresentare un crimine di guerra, un crimine contro l’umanità o comunque un atto che afferisce al genocidio."

Seconda ipotesi: con l'introduzione di una misura tanto drastica di prevenzione nei confronti delle violenze sessuali, tale da renderne corresponsabili le alte sfere di comando e di conduzione politica di una nazione, si assoggettano questi ultimi ai ricatti della propaganda avversa, secondo il noto principio per il quale l'opinione pubblica è diventata oggi la vera, massima potenza mondiale, controllando la quale si controlla davvero molto, se non tutto, sul piano politico.

A differenza di una fucilazione, di lesioni fisiche arrecate con la tortura o con altri mezzi di coercizione, le violenze sessuali, infatti, sono difficilmente dimostrabili e, tranne i casi più drammatici ed infami, sono documentate dal semplice racconto della vittima.

In altre parole, se il mio intento è quello di demonizzare il mio nemico, mi basterà propagandare la notizia che i suoi militari si macchiano di stupri di massa per avere dalla mia parte il supporto dell'ONU e dell'opinione pubblica mondiale; più o meno la stessa logica che presiede alle false accuse di abuso che molte donne rivolgono sempre più spesso agli uomini, nei procedimenti di separazione, per ottenere la benevolenza e la protezione di tribunali, istituzioni e assistentati sociali.

Naturalmente, sulle stesse basi, questa logica funzionerà ancora prima che i fatti vengano accertati e documentati come veri, perché il semplice sospetto equivale ad un atto di incriminazione preventivo.

Non può spiegarsi diversamente, per tornare al nostro tema, la fanfara mediatica messa in campo da Hillary Clinton nei giorni scorsi, quando le sue dichiarazioni pubbliche - supportate da quelle del Procuratore della Corte penale internazionale, Moreno Ocampo - hanno scosso l'opinione pubblica con la denuncia che, nel conflitto libico, Gheddafi starebbe usando lo stupro come arma di guerra e distribuendo addirittura viagra alle sue truppe per esortarle nella condotta criminale.

La denuncia sarebbe partita dalle testimonianze raccolte dalla psicologa libica Siham Sergewa attraverso dei questionari e suffragate, stando a quanto veniva riportato in quei giorni, da materiale probatorio asseritamente già depositato negli uffici di Moreno Ocampo.

Hillary Clinton

In verità, i dubbi sulla veridicità di quelle affermazioni venivano espressi immediatamente dallo stesso capo della Commissione d'inchiesta ONU sulla situazione libica, Sherif Bassiouni, il quale parlava apertamente, in quelle stesse ore, di "gigantesca isteria".

Successivamente, ottenuto l'effetto propagandistico voluto, sulla vicenda è calato il sipario, tanto che le ulteriori notizie su questa storia le troviamo confinate in un blog del Corriere della Sera, dove si documentano le smentite delle organizzazioni umanitarie operanti in loco, veniamo informati che delle prove che sarebbero state raccolte dalla Sergewa si sarebbe "persa traccia" e che le scatole di viagra sarebbero state procurate verosimilmente dai ribelli, in modo simulato ed a fini di propaganda.

Ad ogni modo, il risultato voluto sul terreno della public opinion è stato ottenuto e proprio da coloro che affermano di combattere quella guerra in nome della libertà e della democrazia; le bombe hanno continuato a cadere sulla testa di Gheddafi più forte di prima, lo spauracchio del Tribunale Internazionale dell'Aja continua ad aleggiare sul Rais e tutti sembrano felici e contenti di questo grottesco andazzo.

Alla conta finale, le due ipotesi che abbiamo formulato sul significato di quella risoluzione possono tranquillamente coesistere, anzi, si sostengono vicendevolmente portandoci ad una conclusione politicamente scorretta, ma che non si può evitare di pronunciare.

Lo stupro sarà pure un'arma di guerra ma - almeno in questa circostanza, e non solo in questa, direi - si è rivelato un'arma di guerra al contrario.

Le accuse di stupro, insomma, si vanno rivelando un'arma di guerra più efficace dello stupro stesso.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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