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Strauss-Kahn: il potere del sesso e il sesso del potere

Quanti allocchi stuprati da una cameriera, titolava l’altro giorno un editoriale di Vittorio Feltri sulla nota vicenda Strauss-Kahn.

Per le femministe ogni uomo è un porco, gli ha fatto eco la Bernardini De Pace intorno allo stesso argomento e dalla stessa testata, qualche ora dopo.

Altri commentatori adesso parlano di “imbarazzo planetario”, dal momento che anche l’indignazione – questo nuovo sport di massa, che si gioca pubblicamente facendo a gara a chi dimostra più sensibilità morale, urlandola ai quattro venti – ha attraversato solo pochi giorni addietro il globo terracqueo in un amen, affiancando col massimo zelo le accuse di stupro della mitica Ophelia (Nafissatou Diallo, questo il vero nome dell’accusatrice), poi rivelatesi false.

Quindi, tutto bene, sembrerebbe; la scarcerazione di DSK viene salutata – quantomeno dalla stampa liberale – come il trionfo della verità sulla menzogna, del garantismo sul giustizialismo, del diritto sulla malafede, del sistema giudiziario americano su tutti gli altri, a cominciare dal nostro.

Invece non va bene manco per niente.

Perché ci si dimentica di osservare il quadro completo della situazione. Il quale ci dice che DSK ha potuto tirarsi fuori dagli impicci per gli stessi motivi per i quali ci si è trovato; perché è un uomo molto ricco, molto potente. Che ha potuto pagarsi uno stuolo di legali, investigatori privati e cortigiani, i quali hanno fatto tutto ciò che non aveva fatto – e non aveva nessuna intenzione di fare – la pubblica accusa sino a quel momento: svolgere indagini approfondite, senza pregiudizi politicamente corretti, per andare alla ricerca della verità vera.

Si può osservare che nel sistema giudiziario americano le prerogative della difesa stanno quasi sullo stesso piano di quelle dell’accusa; ma ci si dimentica di osservare che non tutti i cittadini raggiunti da false accuse di stupro hanno le stesse possibilità di attivarle come ha fatto Strauss-Kahn, in quanto servono una montagna di quattrini.

Ci si dimentica anche di osservare che il procuratore che aveva in mano la faccenda (il loro pubblico ministero), nella persona di C. Vance, era ben lieto di procedere alla lapidazione sommaria del facoltoso puttaniere, allo scopo di accreditarsi presso la pubblica opinione pro-female.

Già, perché le procure americane sono organi elettivi - quindi ideologicamente orientati - e i processi che fanno come pubblica accusa, sin dalle indagini preliminari, sono processi anche politici, non meramente tecnici; ed anche questo ci si dimentica di tenerlo presente.

Allora possiamo dire che a Dominique Strauss-Kahn è andata bene, indubbiamente; ma solo perché ha potuto arrivare alla verità a caro prezzo, avendo le (cospicue) risorse per fronteggiare il giustizialismo che lo aveva già impiccato per i piedi senza processo e che gli ha fatto, comunque, perdere la carica nel Fondo Monetario Internazionale.

A lui sì, è andata tutto sommato di lusso, come al solito; ma tutti gli altri?

Uno come Carlo Parlanti, ad esempio, ha subito la stessa situazione di DSK ma, a differenza di questo, quello sta ancora in galera ad Avenal, California, la stessa America che ha scarcerato il riccone. Motivo perché Parlanti – le cui tesi a discarico sono monumentali quanto e più di quelle di DSK - non ha il becco di un quattrino per farsi riaprire il processo. E la sua accusatrice continua a godersi la pensione statale in qualità di vittima.

Se la Giustizia se la possono permettere solo i ricchi non è più giustizia, è merce.

La verità è che se il caso di Dominique Strauss-Kahn ci insegna qualcosa, e non è un bene, è che ormai non ci si può davvero fidare più di nessuno, meno che mai di chi sostiene – come fanno professionalmente le portavoci femministe dell’ex “gentil sesso” – di essere dispensatrici immacolate di quella pace, quell’amore, quella bellezza e quell’innocenza che salveranno il mondo prossimo venturo.

Si dichiarano tutte candide colombe ma le ophelie in circolazione abbondano e sono in costante crescita, assecondate e sostenute dall’indignazione sportiva dei moralizzatori tanto al chilo.

Nel frattempo, continuano a moltiplicarsi le tavole rotonde su “sesso e potere”, come se il sesso non fosse un potere, ben stretto in mani di donna, le cameriere fossero ancora le cenerentole di una volta ed i potenti non fossero ricattabili come tutti gli altri.

Eppure il fenomeno del ricatto sessuale per via giudiziaria sta assumendo proporzioni allarmanti.

Ed anche questo è qualcosa che la stampa e l’intelligenza liberale tardano a vedere, a capire o ad ammettere.

Che la sfera sessuale è diventata un mercato in rapida espansione, soprattutto da quando dichiararsi vittima significa mettere un’ipoteca sui beni di qualcuno, naturalmente molto meglio se molto ricco. Cosa ne è stato di tutte quelle che, all’indomani dell’arresto di DSK, si sono messe rapidamente in fila per rivendicare violenze presunte e, quindi, potenziali risarcimenti? Cosa ne è stato delle daddarie e delle olgettine che vanno accampando diritti postumi sulle serate trascorse ad Arcore?

Transeat per la “democrazia giudiziaria” di cui pure molti liberali si dolgono, ma perché non dolersi altrettanto per la “sessualità giudiziaria” da cui siamo stati investiti?

Trincerarsi dietro al principio liberale del garantismo, a queste condizioni, significa osservare il dito per non voler vedere la luna; e sulla luna non ci sta solo DSK, ma ce ne stanno tanti altri.

E gli altri non pesano nulla sulla bilancia della Giustizia?

Questo articolo è stato pubblicato qui

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