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Striscia la ripresa: dalla produzione industriale ai permessi per costruire

Un paio di dati congiunturali evidenziano da un lato il fatto che l’Italia è pienamente inserita in dinamiche globali (non che ne dubitassimo, lo diciamo solo a beneficio di alcuni stralunati cantastorie), e dall’altro che il settore delle costruzioni non appare esattamente alla vigilia del decollo. Se fossimo in un paese normale, di post di questo tipo non ci sarebbe bisogno alcuno.

Come segnala Istat, la produzione industriale italiana a novembre flette dello 0,5% mensile, a fronte di attese per un incremento dello 0,2%, mentre su base annua cresce di un rachitico 0,9%. Nel mese, male la manifattura con flessioni robuste per farmaceutico, computer e mezzi di trasporto, settori che sinora avevano contribuito alla crescita, soprattutto il terzo. Ovviamente, un mese non fa una tendenza. Il dato italiano peraltro si inserisce compiutamente nel contesto europeo di flessione della produzione industriale. Resta tuttavia da riconciliare la ormai problematica differenza tra gli hard data, cioè i dati effettivi, con i diffusion index come l’indice dei direttori acquisti di Markit, che per la nostra manifattura continua a segnare nuovi massimi storici.

Il dato di novembre lascia la produzione industriale italiana in una traiettoria di crescita per il quarto trimestre di 0,1-0,2% trimestrale (roba da ricchi), e di conseguenza la manifattura fornirebbe un contributo molto esile al dato di Pil del trimestre. C’è tuttavia un problema aggiuntivo sul mese prossimo, per gli amanti delle anomalie statistiche: dicembre ha avuto temperature medie nettamente superiori alla normale stagionale, e questo potrebbe deprimere il dato di produzione industriale nella componente “fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria”, che nei paesi anglosassoni si legge utilities. Non solo: l’8 dicembre era un martedì, quindi potrebbero esserci stati fermi di impianti causa ponte “anomalo”, una circostanza che sfuggirebbe alla destagionalizzazione ed impatterebbe negativamente sul dato mensile, chiudendo male il trimestre.

Giovedì è inoltre uscito l’indicatore dei permessi di costruire per il primo semestre 2015. Come segnala sempre Istat,

«Nel primo semestre del 2015 gli indicatori dei permessi di costruire mostrano andamenti diversi tra le due principali componenti: l’edilizia residenziale presenta una contrazione rispetto allo stesso periodo del 2014 (-10,7% le abitazioni e -13,8% la superficie utile abitabile); al contrario, l’edilizia non residenziale registra invece un aumento del 6,9%»

Riguardo al residenziale,

«Il numero di abitazioni dei nuovi fabbricati residenziali continua ad attestarsi nel primo semestre del 2015 sotto la soglia delle 12.000 unità per trimestre. Con 10.801 abitazioni nel primo trimestre 2015 si registra il nuovo livello minimo della serie storica (Figura 1a); tale livello aumenta nel secondo trimestre fino a raggiungere il valore di 11.054 abitazioni. Analoghe considerazioni valgono per la superficie utile abitabile che registra, nel primo trimestre 2015, un nuovo minimo della serie con 890.661 mq e un aumento, nel secondo trimestre 2015, fino al livello di 931.728 mq»

Se vi prendete l’incomodo di osservare i grafici contenuti nel rapporto Istat, avrete un’idea molto plastica della tendenza. Che resta di inabissamento.

Le cose sembrano andare meglio per l’immobiliare non residenziale e questa sarebbe notizia potenzialmente molto positiva, rappresentando l’indicatore di ripresa dell’attività economica. Non a caso Istat si fionda sulla variazione percentuale:

«Nel primo trimestre del 2015, l’edilizia non residenziale presenta una superficie in calo rispetto allo stesso periodo del 2014 (-1,9%); mentre nel secondo trimestre registriamo un’inversione di tendenza con una variazione tendenziale positiva a due cifre (15,1%) rispetto allo stesso trimestre del 2014, come non accadeva dal primo trimestre 2007»

Anche qui, però, è utile discernere tra variazione percentuale (cioè flusso) e livello (cioè stock), e tenere sottomano un grafico. In questo modo si vede che si possono avere variazioni percentuali eclatanti per effetto-confronto. Giudicate voi:

Vedete quanto è fallace usare solo le variazioni percentuali? Come che sia c’è grossa ripresa, giusto?

Questo articolo è stato pubblicato qui

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