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Stragi, arrestato a Palermo un uomo dei Graviano

Si chiama Fabio Tranchina ed è stato coinvolto nelle indagini sui rapporti tra Berlusconi, Dell'Utri e i boss Graviano. È accusato di mafia e concorso nelle stragi del '92-'93, e potrebbe avere partecipato alla trattativa tra Stato e mafia. I pm sperano che inizi a parlare. 



La notizia l’ha riportata oggi pomeriggio il sito de L’Espresso. Fabio Tranchina, cognato di un boss della famiglia mafiosa di Brancaccio, è stato fermato a Palermo con l’accusa di concorso nella strage di Via D’Amelio e partecipazione a Cosa nostra. Di Tranchina, che già era stato arrestato diverse volte in passato, aveva parlato anche Gaspare Spatuzza. Oggi, secondo le notizie riportate da Lirio Abbate, sarebbe coinvolto nelle indagini su tutte le stragi del biennio stragista e sulle connesse trattive di Cosa nostra con lo Stato dal 1992 in poi. Gli inquirenti sperano che inizi a parlare e raccontare tutto quello sa – pare non poco – sugli esecutori materiali delle stragi e sui contatti politici di riferimento dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. 

Per inciso Lirio Abbate scrive che Tranchina “sarebbe stato sfiorato nell'inchiesta che ha riguardato Marcello Dell'Utri”. In che modo fosse legato di preciso alle indagini sull’ideologo di Forza Italia oggi condannato in appello a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, AgoraVox lo aveva già accennato, in perfetta solitudine, più di un anno fa. Oggi siamo in grado di raccontarvi con maggiori dettagli quali rapporti legano Fabio Tranchina ai Graviano e al senatore Dell’Utri.

Fabio Tranchina, per gli amici "capello fermo", per via della lacca che aveva l'abitudine di usare, è il cognato di Cesare Lupo, il boss di Brancaccio che gli investigatori definiscono “l’alter ego dei Graviano”. Ma Tranchina è stato ritenuto “mafiosamente vicino ai Graviano” anche perché nel '93 faceva da autista a Giuseppe Graviano. I carabinieri sospettavano di suoi rapporti con Marcello Dell’Utri già dal 1994, tanto che già allora gliene chiesero conto. A raccontarlo ai magistrati di Palermo fu, quindici anni fa, Tullio Cannella, un imprenditore che, pur non essendo mai stato affiliato a Cosa nostra, era molto vicino ai Graviano, ma soprattutto a Leoluca Bagarella, il cognato di Totò Riina, di cui ha curato la latitanza per due anni. Poi, il 5 luglio del 1995, è stato arrestato. E ha iniziato a collaborare. Ai magistrati, che investigavano sui rapporti di Dell’Utri con l’organizzazione criminale già da un anno e mezzo, ha raccontato che Cesare Lupo, il cognato di Tranchina, lo avvicinò e lo avvertì che gli investigatori avrebbero potuto chiedere conto anche a lui, che al tempo si occupava del progetto politico autonomista di Cosa nostra, Sicilia Libera, dei suoi rapporti con il senatore, e gli intimò di negare tutto. 



L’ultima traccia di Tranchina nelle investigazioni su Marcello Dell’Utri l’ha trovata Gioacchino Genchi. Quando il 27 gennaio 1994 le forze dell’ordine arrestarono Filippo e Giuseppe Graviano, nella borsa della fidanzata di Filippo trovarono un telefono cellulare che aveva avuto contatti sia con Fabio Tranchina sia con suo cognato Salvatore Lupo. Ma quel telefono aveva avuto contatti anche con Giovanni La Lia, l’uomo che ha fondato il primo club di Forza Italia in Sicilia e che partecipò, il 5 febbraio 1994, alla presentazione di Forza Italia all’Hotel San Paolo Palace di Palermo, di proprietà dell’imprenditore e riciclatore dei soldi dei Graviano, Giovanni Ienna

Scorrendo la consulenza tecnica di Genchi si scopre che nei tabulati di un utenza di La Lia compaiono una serie di chiamate, da marzo a maggio del 1994, con un numero di Rino La Placa, già consigliere comunale della Dc a Palermo, oggi tesoriere del Pd in Sicilia. Leggendo quei tabulati si nota subito una coincidenza inquietante: due giorni dopo la sua prima telefonata con La Lia, il 27 marzo 1994, dal telefono di La Placa parte una telefonata diretta a Roma, in una casa che non può passare inosservata. La residenza romana di Silvio Berlusconi.


LEGGI: Tranchina tenta il suicidio in carcere, ma aveva iniziato a collaborare

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