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Stragi. Si pente Fabio Tranchina, l’autista dei Graviano che parlò di Dell’Utri

Ha iniziato ieri a deporre ai pm di Palermo che indagano su Via D'Amelio, ma lo vogliono sentire anche i magistrati di Firenze sulle stragi del '93. Fabio Tranchina, l'uomo dei Graviano che ha procurato il telecomando per la strage che uccise Paolo Borsellino, aveva già iniziato a parlare, per errore, ai pm fiorentini, confermando i rapporti del clan di Brancaccio con Dell'Utri e Forza Italia. Ma la famiglia, che da parte di sua moglie è imparentata con i boss, lo convinse a interrompere la collaborazione. Oggi quella stessa famiglia lo allontana e prende le distanze dal neopentito rifiutando la protezione dello Stato.

Alla fine ha capito di non avere altra scelta. Ieri sera, una settimana dopo il suo arresto, Fabio Tranchina, l’uomo dei Graviano che procurò il telecomando per la strage di Via D’Amelio, ha deciso di collaborare con la giustizia. Una scelta maturata con non poca apprensione sei giorni dopo aver tentato due volte il suicidio.

Tranchina sapeva di essere un uomo morto, la famiglia glielo aveva fatto capire. L’errore più grande lo fece quando, fermato a Firenze due settimane fa, convinto di dovere collaborare, iniziò a riferire ai magistrati, sotto forma di dichiarazioni spontanee, una lunga serie di rivelazioni su Cosa nostra, dal biennio stragista in poi, elencando quello che sa sulla famiglia mafiosa di Brancaccio (quella, per intenderci, di Giuseppe e Filippo Graviano), sulle stragi e sui rapporti con la politica. E Tranchina, per la sua storia criminale, è a conoscenza di notizie indicibili, di molti segreti che scottano. Troppi perché Cosa nostra gli possa permettere di portarli alla luce: curò la latitanza di Leoluca Bagarella e dell’allora reggente del clan Giuseppe Graviano, cui per lungo tempo fece addirittura da autista. 

Essere l’autista di Giuseppe Graviano non vuol dire solo accompagnare al volante uno dei boss più sanguinari d’Italia, vuol dire essere il suo uomo di fiducia. Spatuzza raccontò che Tranchina era presente anche agli incontri e ai sopralluoghi organizzativi della strage di Via D’Amelio. Una di queste riunioni si sarebbe forse tenuta addirittura in casa sua.

Due settimane fa, ai magistrati di Firenze, Tranchina ha confermato tutto e ha aggiunto di essere stato incaricato dallo stesso Giuseppe Graviano di acquistare il telecomando che sarebbe servito a far saltare in aria Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta. Ha svelato l’organizzazione attuale della famiglia e si è spinto fino al racconto delle collusioni con la politica. Due nomi. Vincenzo Inzerillo, ex senatore democristiano oggi in carcere per mafia, e Marcello Dell’Utri, di cui “Giuseppe Graviano non mi ha mai fatto il nome, però con frasi del tipo: ‘noialtri le persone le abbiamo o fanno quello che gli diciamo o noi gli rompiamo le corna', mi faceva comprendere”. 

E un partito, Forza Italia: “ll giorno dell'arresto di Riina ricordo che Giuseppe Graviano mi disse che ci sarebbe stata una guerra, nel senso che come fare le leggi glielo dovevano fare capire loro, anche se avevano le loro assicurazioni. Ricordo che alle elezioni venivano indicazioni di voto per Forza Italia”.

La procura di Firenze, però, ha avvertito con notevole ritardo i magistrati di Palermo, che ancora indagano su Via D’Amelio e i Graviano, delle dichiarazioni di Tranchina, permettendo alla famiglia (mafiosa) di andare a recuperare il quasi-pentito in tempo per convincerlo, con tutti i mezzi del caso, a interrompere la collaborazione. Da quel momento Tranchina sapeva di avere tradito l’organizzazione e di essere condannato. Così, arrestato una settimana fa dalla Procura di Palermo per via delle sue stesse dichiarazioni, prima si è rifiutato di parlare e poi, meno di ventiquattro ore dopo, ha tentato due volte il suicidio costringendosi il lenzuolo intorno al collo. Tentativi falliti. A quel punto l’unica strada per proteggersi era la più pericolosa: iniziare una collaborazione formale con la giustizia. 



Alla fine, ieri, ha deciso che racconterà tutto. E ha iniziato a parlare, stavolta da pentito, e a svelare ai magistrati l’attuale situazione del mandamento mafioso di Brancaccio, indicando i nomi dei nuovi capi. 

Se la collaborazione di “capello fermo”, come gli amici erano soliti soprannominare Tranchina per via della lacca di cui si ricopriva la chioma, andrà davvero a buon fine, la verità su Via D’Amelio sarà molto più vicina. Per Berlusconi pare che le cose si mettano sempre peggio.


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