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 Home page > Tribuna Libera > Steve Jobs, Marco Simoncelli e l’idolatria del giorno dopo

Steve Jobs, Marco Simoncelli e l’idolatria del giorno dopo

Di domenica mi riposo. Anzi, lavoro anche quel dì, ma approfitto del fatto che sia domenica per dormire almeno fino alle ore 14.00. Non male. Domenica scorsa, 23 ottobre, mi ha svegliato un sms di mia madre: “Oggi nel MotoGP è morto un ragazzo della tua età”.

Non seguo il MotoGP, e detesto il machismo che scaturisce dall’accanimento sul mondo dei motori. Così mi limito a guidare la mia quattro ruote per necessità, e di tutto il resto me ne frego. Ma quel giorno era un giorno amaro. Un mio coetaneo era caduto in combattimento, mentre lottava per la sua passione, passione che è costata sforzi e sacrifici alla famiglia del campione e al campione stesso. E così la domenica proseguiva, mentre io facevo il mio lavoro e mi portavo dentro quella nota amara.

Il 5 ottobre era mercoledì. Bene, quel giorno mi sono alzato relativamente presto per andare a lavorare, e ho avuto appena sveglio la notizia della dipartita di Steve Jobs, paradigma mondiale dell’uomo d’affari (primo tra i 25 uomini d'affari più potenti per il 2007) nonché cofondatore, creatore, e presidente quell’universo chiamato Apple. Se n’è andato un grand’uomo d’affari, ho pensato. E sono andato avanti.
 
Ora però non posso proprio fare a meno di chiedermi: ma non sarò forse un po' anormale? Come mai non mi lascio anch’io commuovere ed ispirare da queste immense icone?
 
Da talentuoso uomo d’affari, Steve Jobs, almeno per qualche giorno, è passato ad essere un grande padre e mentore (anche più del Papa) dell’intera gioventù mondiale che ne cita le gesta, le invenzioni, le innovazioni, i discorsi (immancabile il discorso ai neolaureati di Stanford). Wow!
 
Chissà quale di questi giovani è pronto ad elogiarne la condotta autoritaria sui dipendenti in Cina indotti alla disperazione per i ritmi di lavoro hardcore e malpagati, lo sfruttamento minorile di cui è stato responsabile nel medesimo paese, il suo falso moralismo che si risolveva in paranoica restrizione (elogiava il libero pensiero ma vietava agli utenti Apple qualsiasi app di contenuto erotico, qualsiasi app che fungesse da guida per il turismo gay, e qualsiasi tipo di satira politica), per non parlare della tirannica incombenza sui giovani blogger (che ne direbbe il giovane e fiducioso popolo di Facebook?).
 
Ma suvvia, non voglio fare lo squalo. È giusto che i giovani abbiano un idolo, è giusto che tengano acceso un cero in loro onore. Ed evidentemente, per quel che vedo, sarà anche giusto che lascino consumare lo stoppino mentre la cera decadente si attacca al pavimento, lasciando tutto così, sporco e abbandonato.

Parliamo del buon Marco, così posso ricominciare a usare parole buone, parole confortanti, parole commosse. Marco era uno di noi. Marco era un ragazzo. Marco inseguiva il suo sogno e non ha smesso di correre neanche quando lo stava finalmente cavalcando. Campione di MotoGP, di scacchi, o chef della nazionale di calcio, non importa. Marco Simoncelli, detto SIC, era un ragazzo, e per la caparbietà con cui cavalcava la sua passione era da stimare. Marco è caduto. E pur non avendo mai visto una sua gara, mi ha lasciato un esempio da seguire, e sono fiero di lui.
 
L’unica cosa che ora mi lascia un dubbio, è se Facebook si sia lasciato colpire dall’ennesimo virus o hacker o qualunque dannazione essa sia, oppure sono tutti impazziti in massa. Sì perché non vedo altro che Simoncelli, ovunque, su qualsiasi profilo, vedo solo il suo sorridente volto. Perché un uomo così sereno deve diventare fonte di ansia? Non vedete come è tranquillo? Lasciatelo dormire, lasciatelo in pace!
 
No, ora è come quando morì Michael Jackson. Come gli zombie del celebre video di Thriller, i suoi sepolti fan si sono risvegliati e hanno cominciato a decantarne le lodi scarnificandosi e divorandosi tra loro senza alcun ritegno, e così ha inizio la seconda edizione della Jakson’s fan League dove tutti gli utenti di Facebook si sfidano a chi sia il fan più fan in assoluto... Che adrenalina, ragazzi!
 
Non mi resta che disconnettermi, sorridendo all’unica e ultima citazione brillante di una ragazza che scrive: "Ma se morissi, la gente inizierebbe a mettere le mie foto come immagine del profilo?"

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.80) 28 ottobre 2011 13:03
    In momenti come questo credo sia giusto avere rispetto, credo sia giusto non giudicare.
    Credo che quando se ne va un ragazzo di 24 anni faccia male a tutti, credo che quindi ognuno abbia il diritto di ricordarlo o di vivere quel momento come vuole nei limiti del rispetto per chi gli stava vicino e per chi non c’è più. Credo anche che sia sempre sbagliato giudicare, e credo che sia sbagliato anche paragonare. Paragonare il dolore che prova uno con quello che prova un altro, paragonare chi lo conosceva e chi lo conosceva meno, paragonare come lo piange uno e come lo piange un’altro. E giudicare, giudicare uno sport che chi non sale su quelle moto può solo immaginare, bisogna invece portare rispetto a chi lo sapeva che era pericoloso, ma che per passione lo faceva uguale. Basta con i titoli da giornale, nessuno si è dimenticato o non ha notato cosa è successo in Turchia, chi lo ha fatto non è informato o semplicemente si tiene per sè certi pensieri, non è certo Simoncelli che fa dimenticare migliaia di altri morti. Tutti i giorni muore qualcuno, è la vita, nessuno però vuole mettere in risalto uno più di un altro, semplicemente ognuno è libero di reagire come vuole. Allora senza giudizi e con rispetto riuscite a onorare la memoria di un ragazzo? Non ci vuole molto, solo buon senso.
  • Di (---.---.---.178) 30 ottobre 2011 12:30

    Ottima riflessione, viviamo in una società di icone e guai a dissacrarle...

  • Di edipicamentelettra (---.---.---.36) 30 ottobre 2011 23:31
    patrizia.

    io credo che il problema sia l’amplificazione delle emozioni che i media portano, inevitabilmente lo spettatore si sente compartecipe di un evento di emoziona e spesso purtroppo si erge a giudice di questo o quel fatto.

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