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Spese d’eccezione: 13 miliardi di Euro d’appalti emergenti

Non si misura solo in termini di perdita di sovranità da parte del Parlamento, e quindi dei cittadini, il costo della gestione dei grandi eventi con le stesse norme che regolano le emergenze. Di mezzo ci sono anche gli Euro: qualche cifra tra quelle degli appalti affidati con iter straordianario.

Spese d'eccezione: 13 miliardi di Euro d'appalti emergenti

Carl Schmitt rilevava come la democrazia liberale, che costruisce l’equilibrio tra poteri dello stato su cui si fonda con tutta una serie di norme e di controlli incrociati, non sia adatta ad affrontare situazioni d’emergenza.

 

Proprio per affrontare situazioni che comportino la necessità di decisioni rapide, incompatibili con la normale dialettica istituzionale, ogni democrazia si è dotata di strumenti che consentono di sospendere, per un determinato periodo di tempo o a fronte di determinate circostanze, alcune delle leggi dello stato.

In caso di guerra o di catastrofe naturale, il parlamento rinuncia ai suoi poteri di controllo, le altre autorità civili, magistratura in primo luogo, vedono ridotto il proprio ruolo, e poteri più ampi sono garantiti all’esecutivo.

Questa sorta d’illegalità legalizzata prende il nome, in generale, di stato d’eccezione ed è concetto tutt’altro che nuovo; è la riproposizione in chiave moderna dello stato d’assedio che, come dice la parola, già nell’ancien régime, affidava alle autorità militari tutto il potere nelle città circondate dal nemico.

Vigilare affinché le procedure eccezionali siano attivate davvero solo per circostanze eccezionali, dovrebbe essere il primo dovere, oltre che dei parlamenti, dei cittadini; con lo stato d’eccezione non sono sospesi solo determinati controlli o rese inoperanti determinate norme, ma, in ultima analisi, si espropria il detentore del potere sovrano, il popolo che trova la sua rappresentanza nel parlamento, di parte delle sue prerogative.

Con lo stato d’eccezione, la democrazia sospende se stessa; uno stato d’eccezione indefinitamente prolungato ed esteso a tutte le competenze del parlamento è, semplicemente, la morte della democrazia.

Nello stato d’eccezione il cittadino non è più tale, ma è ridotto a plebe.

L’abuso della decretazione d’urgenza è ormai un problema di tutte le democrazie occidentali; il modo canonico in cui l’esecutivo tende a farsi, in ogni paese, super potere.

Nell’Italia berlusconiana questo fenomeno ha raggiunto ormai livelli tali che poco o nulla resta, in pratica, del potere che la costituzione assegna al parlamento; la nostra repubblica, nata parlamentare, si è, di fatto, trasformata in governamentale – presidenziale se preferite – senza però i necessari strumenti di controllo e limitazione dl potere dell’esecutivo.

Un modo di gestire le cose i cui costi non si valutano solo in termini di democraticità e di rappresentanza, ma anche, banalmente, di Euro.

La gestione con procedura d’urgenza degli appalti assegnati alla protezione civile ne è l’esempio più classico.

Secondo i dati pubblicati oggi dal Corriere della Sera, dal 2001 ad oggi, lavori per ben di 12 miliardi 894 milioni 770.574 euro sono stati appaltati con procedure eccezionali, quindi con minori o nessun controllo, dalla protezione civile. Sono duecento e più euro per ogni italiano, poppanti e ottuagenari inclusi.

La sola gestione dell’emergenza rifiuti in Campania è costata, finora, oltre tre miliardi di Euro – cinquanta Euro per ogni italiano; seicento per ogni campano.

Se è risibile, in un paese che voglia continuare a definirsi civile, lo stesso insorgere di una simile emergenza –parlare di emergenza davanti al semplicissimo problema della nettezza urbana, poco importa che lo facciano politici di destra o di sinistra, è un insulto all’intelligenza dei cittadini - sfugge a qualunque logica l’inserimento, tra i compiti della protezione civile, della gestione dei grandi eventi.

Cosa c’è d’urgente, drammatico e imprevedibile, nell’organizzazione dei mondiali di nuoto come in quella del G8? Perché mai i lavori necessari per l’organizzazione di questi eventi non devono essere sottoposti alla normale trafila di controlli di qualunque altro appalto?

Trattando, secondo la brillante idea del governo Berlusconi, i grandi eventi come emergenze, si sono stanziati miliardi di Euro da spendere, letteralmente, a discrezione di Bertolaso & Co.

Basta dare un occhiata alle cifre fornite dal quotidiano milanese per sentirsi presi, usando un delicato eufemismo, in giro.

Per il G8 alla Maddalena, poi saltato per la decisione del Capo di spostare l’evento all’Aquila, furono stanziati un miliardo e mezzo di euro; venticinque Euro a testa per ogni italiano.

Detto altrimenti a ogni famiglia di quattro persone si era chiesto di cavarsi dalla saccocce cento Euro; di che portarsi a cena, in un buon ristorante, anziché la zia Camilla per il suo ottantacinquesimo compleanno, Obama o la Merkel: neanche una cattiva idea.

Carl Schmitt, nella sua teorizzazione dello stato d’eccezione pensava a guerre, rivoluzioni e pestilenze; nella sua traduzione italica – forse sarebbe meglio dire berlusconiana – richiede misure d’eccezione anche l’organizzazione della “Louis Vuitton world series”, una competizione velica pure tenutasi nelle acque della Maddalena che ha assorbito uomini e risorse della protezione oltre a 2,3 milioni di Euro, sempre di fondo della protezione civile, assegnati come contributo al comitato organizzatore.

Niente di grave in fondo, sono solo quattro centesimi per ognuno di noi; immagino che anche gli Aquilani non ci troveranno nulla da ridire.

O forse, conoscendo il loro carattere, saranno capaci, anche nella loro tragedia di, amaramente, riderne.

Da ridire sicuramente ne ha invece trovato la Corte dei Conti che, almeno su questa spesa, ha negato il proprio visto di conformità. Meno male; qualcosa delle Stato, dopotutto, si ostina ancora a funzionare.

Tornando a Carl Schmitt, questo realista politico alle cui critica della democrazia liberale il nazismo deve molta della propria base teorica, egli sosteneva che la sovranità, in ultima analisi, appartiene a chi ha il potere di decretare lo stato d’eccezione.

Quel che è sicuro è che oggi, in Italia, il potere appartiene a chi ha la più larga discrezionalità di spesa.

Il ministro Tremonti aveva proposto, all’interno della manovra economica, una norma per portare sotto il controllo della ragioneria dello Stato i fondi che cadono sotto la diretta responsabilità del Presidente del Consiglio; la norma è sparita immediatamente dal testo della manovra.

Le spese che fanno capo a Silvio Berlusconi, venti miliardi di Euro l’anno, che includono quelle destinate alla protezione civile, continueranno ad essere libere da ogni controlla da parte del ministero del Tesoro.

Il Capo, insomma, resta il Capo. Qualcuno, poi, paga.

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