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Siria senza pace. Ma Putin non rompe con Trump

“La reazione di Putin - scrivevo ieri - risponderà a questa domanda che sembra essere la vera questione sul tavolo oggi”.

La reazione russa alla pioggia di missili americani su una base militare dell’alleato Assad avrebbe chiarito se questo attacco improvviso, dopo anni di assenza americana diretta in Medio Oriente, segna una svolta radicale della politica estera dell’amministrazione Trump oppure semplicemente un singolo atto dimostrativo con ricadute politiche molto limitate.

La posta in gioco è enorme e non coinvolge solo i diversi attori dell’area - ognuno diverso, ognuno a farsi i fatti suoi - ma, soprattutto, la profonda ristrutturazione politica su scala mondiale che si articola sulla nuova-vecchia ideologia ispirata in contemporanea a Trump e Putin, dai due uomini ombra Steve Bannon e Alexandr Dugin rispettivamente.

L'americano non si è vergognato di dire di voler "radere al suolo tutto l’establishment contemporaneo, senza fare distinzioni tra conservatori e progressisti"; il russo di cercare un "fascismo immenso, come le nostre terre, e rosso, come il nostro sangue". Un fascismo-rosso che affascina molti giovani europei ignoranti, evidentemente, della storia del Novecento.

Ideologia in parte nuova, perché si presenta come un innovativo superamento delle tre ideologie precedenti (le due morte - fascismo e comunismo - e quella viva e vincente, il liberalismo) e nello stesso tempo vecchia, anzi vecchissima, perché affonda le sue radici nel pensiero preilluminista, per quanto rivisitato in modo originale.

I gas di Idlib e i Tomahawk sulla base siriana portavano con sé la domanda centrale: sarebbe sopravvissuta la connivenza politico-filosofica che progettava un unico e imbattibile nuovo totalitarismo globale fondato sul connubio tra Leader supremo e suprema Chiesa o, più heideggerianamente, su Blut und Boden, il “sangue e suolo” di tanta letteratura nazista?

La risposta, indirettamente, viene dalla semplice considerazione che ogni singolo aereo o missile in volo sui cieli siriani è individuato dai radar russi nel momento stesso del suo decollo o del suo lancio. E che può impunemente attraversare incolume quei cieli solo se la contraerea russa, dotata di sofisticati strumenti di difesa, decide di non intervenire.

Decisione che è, ovviamente, politica.

Si è visto questo non-intervento russo a più riprese in occasione dei colpi assestati da Israele a vari convogli e depositi di armi destinate a Hezbollah che lo stato ebraico ha ritenuto troppo pericolose per la propria incolumità e che ha deciso di colpire - con l’evidente beneplacito di Putin - su suolo siriano.

La stessa cosa è accaduta ieri. I missili sparati dai cacciatorpedinieri americani hanno sorvolato il cielo siriano senza, si direbbe, alcuna reazione russa.

Che ha perciò acconsentito a Trump di dare quel segnale che voleva dare. Sia agli alleati in loco (Israele, Arabia Saudita ed anche alla Turchia che, rispetto al governo siriano, sta facendo sfacciati voltafaccia continui) che ai nemici di sempre (Iran in primo luogo).

Quello che si può dedurre ad oggi è quindi che il blitz ha il senso di un ritorno diretto degli USA sullo scenario mediorientale - e al tavolo della trattativa post-bellica ormai prossima (e Trump vuole esserci da protagonista) - ma che non si è spezzata, per ora, quella convergenza ideologico-filosofica che lega la Mosca dello zar Putin alla Washington di King Donald.

E che costituisce, a mio modesto parere, un pericolo per l’umanità anche più grande di quel braccio di ferro continuo che abbiamo conosciuto come “guerra fredda” (pur con tutti i pericoli che comportava).

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