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Silvio e Giulio condannati a vivere sotto lo stesso tetto

Berlusconi non può permettersi di scaricare il ministro. Il secondo non può andarsene proprio ora che l'Italia è sotto attacco della speculazione finanziaria.

Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi con il Ministro delle Finanze Giulio Tremonti, ritratti durante i lavori nell'aula della Camera, il 21 giugno 2011 (ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Vorrebbero separarsi. Anzi. Sono stati sul serio a un passo dal farlo. Il Premier Silvio Berlusconi e il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti sono condannati a stare assieme. Un po’ come quelle coppie, che invece di divorziare continuano a vivere sotto lo stesso tetto, magari dormendo in stanze diverse, per il bene dei figli. O perché sia la moglie sia il marito non possono permettersi di lasciare l’altro: da soli non avrebbero i soldi per pagare l’affitto.

Four di metafora, il destino in politica del Premier è legato a quello del Ministro dell’Economia. Come del resto il destino del Ministro dell’Economia è legato, almeno finora, a quello di Berlusconi. Tremonti, il cui ruolo accentratore e garante dei conti pubblici da mesi risulta sempre più indigesto ai suoi colleghi di centrodestra, non può ripetere ciò che fece nel giugno del 2004. Anche perché allora il superministro per la verità non voleva dimettersi. Fu l’ex leader di An Gianfranco Fini a porre un aut aut: una svolta al governo o le dimissioni del Ministro dell’Economia. Berlusconi sacrificò Tremonti per evitare la crisi. Nel corso di questa legislatura, invece, è il Ministro che avrebbe minacciato di andarsene. E l’avrebbe fatto ogni volta che un suo collega ministro ha tentato di mettersi di traverso.

Berlusconi però l’ha sempre difeso. Fino a pochi mesi fa, quando appunto Tremonti è diventato una zavorra per la maggioranza, se non il suo principale antagonista: a forza di tenere i cordoni della borsa stretti che limitano i margini di manovra che rendono possibili i tagli alla pressione fiscale, finirà col far perdere voti al centrodestra. Questo il ragionamento tra i banchi del governo nelle scorse settimane. Non solo. Da mesi, ossia da quando Berlusconi ha visto calare il proprio consenso, e dopo le prime sberle elettorali al centrodestra, si parla di un possibile governo di transizione, a cui sarebbe disposta a partecipare la Lega, e che vedrebbe a Palazzo Chigi proprio il titolare di via XX Settembre. Insomma, da cardinale ad anti - papa nominato da giornali, poteri forti (Tremonti è ben visto nei salotti della finanza) e camicie verdi.

Del resto il ministro dell’Economia in queste settimane si sente sotto pressione. Il sospetto (suo) è che l’affaire Milanese, il suo consigliere finito sotto inchiesta per corruzione (si sospetta che abbia intascato soldi in cambio di nomine negli enti pubblici), sia stato montato ad hoc per scansarlo dalla poltrona del Tesoro: «Non farò la fine di Boffo», ha raccontato la scorsa settimana ai magistrati napoletani che indagano sulla P4 e sulla presunta corrusione del parlamentare del PdL, alludendo a un possibile uso strumentale della Guardia di Finanza ai suoi danni.

Ma la verità è che oggi, dal punto di vista politico, il ministro dell’Economia senza Berlusconi e il PdL farebbe una fine forse peggiore di quella dell’ex cofondatore del partito, Fini: non se lo filerebbe più nessuno se lasciasse la nave, il Pd stesso difficilmente gli offrirebbe una scialuppa di salvataggio. Come Berlusconi, d’altra parte, non può permettersi di cambiare cavallo quando l’Italia sta subendo un pesantissimo attacco da parte della speculazione finanziaria. E così i due non possono far altro che vivere sotto lo stesso tetto. Almeno per un po’, finché non sarà passata l’ondata speculativa che rischia di trascinare nel gorgo i Paesi più deboli del Mediterraneo e, con loro, anche il futuro dell’Europa.

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