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Sanità: aiuti umanitari o investimenti?

Per i costi della "fuga dei cervelli" da mezzo secolo le stime variano con le discipline e gli economisti sono divisi sulle conseguenze per lo sviluppo dei paesi esportatori

 Nel caso della medicina, i dati sono più abbondanti, le stime più affidabili e confermano che i paesi più poveri sovvenzionano il sistema sanitario dei paesi più ricchi. I metodi di calcolo sono dibattuti, ma il bilancio dei paesi poveri è nettamente in rosso. Lo dicono le raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità nel "Codice per il reclutamento internazionale di personale sanitario" e in termini finanziari, per esempio, l'analisi del "capitale umano" perso da nove paesi dell'Africa sub-sahariana pubblicata alcuni mesi fa da Edward Mills et al. sul British Journal of Medicine:

Allo stato, la formazione di un medico costa dai 21mila dollari in Uganda ai 58 mila e settecento in Sudafrica. In totale, per tutti i medici che lavorano attualmente nei paesi dove sono emigrati, il mancato ritorno sull'investimento è di 2,17 miliardi di dollari (intervallo di confidenza 95%: 2,13 -2,21 miliardi), e i costi da 2,16 miliardi per il Malawi a 1,41 miliardi di dollari per il Sudafrica. I benefici per i paesi di destinazione sono maggiori per il Regno Unito (2,7 miliardi) e gli Stati Uniti (846 milioni).

I paesi ricchi affermano spesso di compensare queste perdite con aiuti umanitari. Infatti l'anno scorso i soli Stati Uniti hanno speso 5,6 miliardi per l'assistenza sanitaria nel terzo mondo.

Erano aiuti o investimenti? Fuller Torrey e Barbara Boyle Torrey hanno usato il database dei medici statunitensi in attività per fare un po' di calcoli che escono su PLoS ONE:

Sui 265 mila medici laureati all’estero, i 129 mila venuti dai 53 paesi più poveri rappresentano il 15% dei medici attivi in USA – una percentuale che varia da meno del 2% in Alaska al 20% in West Virginia.

I principali "donatori", sulla base di 100 mila dei propri abitanti, sono le Filippine, la Siria, la Giordania e Haiti (!). Per 39 di quei 53 paesi ci sono dati sia per gli aiuti e che per la spesa pubblica:

Come mostra la tabella 1, in 19 paesi i costi per la formazione dei laureati in medicina superano il totale degli aiuti forniti. Gli esempi più estremi sono l’India e le Filippine.

Per 20 paesi il bilancio sarebbe positivo, ma

Oltre alle perdite finanziarie, in un paese povero la partenza di un medico ne causa altre. Comprendono quella di un modello per i giovani, di un supervisore durante la loro formazione, di posti di lavoro per il personale sanitario che sarebbe stato assunto e dei servizi sanitari che sarebbero stati erogati.

Il confronto tra aiuti umanitari annui e costo di una formazione pluriennale è un metro un po' rozzo, ammettono gli autori. Anche rozzo, un metro fa sempre comodo. Per semplificare i conti, ho arrotondato le cifre che trovate nell'articolo di PLoS ONE. Potrei aver sbagliato lo stesso i calcoli, meglio se li controllate.

Negli Stati Uniti, formare quei 129 mila medici costerebbe sui 64 miliardi di dollari al costo attuale di 746 mila dollari cad., cioè 1,6 miliardi annui distribuiti sul 40 anni di carriera. Siccome in media guadagnano il 25% in meno dei medici americani, il risparmio annuo per la sanità locale si aggira sui 6 miliardi. Nel 2011 quindi, il "ritorno" sugli aiuti americani in campo sanitario è stato di 2 miliardi di dollari su un investimento di 5,6 miliardi. Vi sembra giusto?

(di Sylvie Coyaud)


Questo articolo è stato pubblicato qui

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