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Quirinale: un ragionamento ed una proposta

 

In un modo o nell’altro, questo scassatissimo parlamento eleggerà un nuovo capo dello Stato: può darsi che non si riesca a fare un governo e si vada al voto, ma il Presidente della Repubblica bisogna eleggerlo prima, perché l’art. 88 stabilisce che il Presidente non può sciogliere le Camere negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che questo periodo coincida con gli ultimi sei mesi della Legislatura, ma qui siamo di fronte ad un Parlamento appena eletto.

Come prima cosa occorrerà eleggere i Presidenti delle Camere ed al Senato non sappiamo che frittata verrà fuori, ma, per ora lasciamo la cosa da parte. Sta di fatto che il 15 aprile sarà convocato il Parlamento in seduta comune. Proviamo a ragionare su chi potrebbe essere e partiamo da qualche conto. Il collegio elettorale è composto da 1007 “grandi elettori” per cui la maggioranza richiesta è di 667 voti nelle prime tre votazioni e di 504 dalla quarta in poi.

Possiamo grossolanamente dividere gli elettori in questi raggruppamenti imprecisi (poi spieghiamo il perché dell’imprecisione):

Centro Sinistra: 495
Destra: 272
Grillo: 164
Monti: 67
Altri: 9

Si tratta di una suddivisione grossolana, perché non tiene conto dell’articolazione interna di ciascuna coalizione (in fondo, non è scritto da nessuna parte che la Lega e Fratelli d’Italia votino come il Pdl, Sel come il Pd e Casini come Monti... anzi è probabilissimo che ci siano divaricazioni). Ed è imprecisa, perché attribuisce sommariamente gli eletti all’estero ed i delegati regionali che sono ancora da eleggere.

Quanto ai senatori a vita abbiamo attribuito Ciampi alla sinistra, Monti alla lista omonima e Colombo ed Andreotti agli “altri” come incerti. Comunque i risultati finali non dovrebbero cambiare in modo significativo. Va detto, inoltre, che, per consuetudine i Presidenti dei due rami del Parlamento non votano.

Prima considerazione: non solo nessuno ha in partenza i voti sufficienti per una elezione nei primi tre turni, ma nessuno li ha neppure per le votazioni successive. Dunque occorre andare ad intese fra gruppi.

Supponendo astrattamente che le coalizioni si muovano in modo compatto, abbiamo questi possibili scenari:

-Piccola coalizione: Monti + Centro Sinistra 562 voti (margine 55 voti)

-Media coalizione: Centro Sinistra + M5s (con l’eventuale aggiunta di Monti) 659 voti (margine 152 voti)

-Grande coalizione: Centro sinistra + Centro destra 767 voti (margine 260 voti)

-Grandissima coalizione: Centro sinistra + Centro destra + Monti 834 voti (margine 327 voti)

-Escludiamo una coalizione M5s + Monti + Centro destra (che avrebbe i numeri) perché totalmente irrealistica.

In teoria, le ultime due formule avrebbero i numeri per eleggere il Presidente sin dalle prime tre votazioni, ma non è affatto probabile che si raggiunga questa intesa da subito, per cui ragioniamo su scenari dalla quarta votazione in poi.

Sempre in teoria, la piccola coalizione potrebbe essere sufficiente ad eleggere il Presidente dalla quarta votazione e si immagina che il candidato naturale sia un politico di lungo corso che possa star bene tanto a Sel quanto a Monti, dunque, forse, nomi come Prodi, Amato o, volendo puntare su una donna, la Finocchiaro, che dopo aver combinato disastri come capogruppo parlamentare potrebbe completare l’opera al Quirinale.

Tuttavia, l’esperienza insegna che in questo tipo di elezioni i gruppi parlamentari non sono mai compatti e c’è sempre qualche frangia, più o meno ampia, che se ne va per i fatti suoi e non segue l’indicazione di partito. E questa volta, c’è sia l’incognita del carattere composito delle coalizioni, sia lo stato di caos in cui si trovano i partiti al loro interno: 55 voti di margine non sono niente. Inoltre, Monti potrebbe concedere i suoi voti ma bisognerebbe dargli qualcosa in cambio e non si sa cosa. Ma, anche nel caso di intesa fra i “due perdenti” (Monti e Bersani), la possibilità di successo sarebbe affidata solo alla compattezza dei rispettivi gruppi le cui defezioni non dovrebbero superare il 9.78% della loro consistenza. Conseguentemente, assegniamogli un 10% circa di probabilità di riuscita.

Passiamo agli scenari di Grande e Grandissima coalizione il cui candidato naturale potrebbe essere un politico di lungo corso di gradimento del Pd e del Pdl e qui il nome scontato è quello di D’alema, che già si sta muovendo in questa direzione. Il margine sarebbe alto (260) o altissimo (327) ma non è detto che l’operazione possa essere semplice ed indolore: in primo luogo perché non è detto che i partner minori dei rispettivi gruppi (Lega, Fratelli d’Italia, Sel…) gradiscano una candidatura di quel tipo e la votino in secondo luogo perché, se il candidato fosse D’alema, potrebbe andare incontro ad una solenne impallinatura da parte dei suoi stessi compagni di partito, molti dei quali semplicemente non lo sopportano.

In terzo luogo perché sarebbe una candidatura che più vecchia di così non si può: altro che prima repubblica, saremmo nel paleolitico della politica! E questo potrebbe spingere anche altri parlamentari (in particolare Pd) a negargli il voto. Infine: il Cavaliere non è tipo che faccia regali, per cui è facile capire quale spossa essere la contropartita che gradirebbe: la presidenza del Senato per evitare le condanne.

Ma qui bisognerebbe vedere quanti dei 119 senatori del Pd sono disposti a votarlo come Presidente. Potrebbe esserci il “soccorso grigio” di Monti, ma con le piacevolezze scambiate in campagna elettorale, anche questo non è così scontato. In questo caso le probabilità, pur molto maggiori del caso precedente, non sono elevatissime e possiamo parlare di un 55-60% di riuscita.

Veniamo all’ultimo scenario, quello di tipo medio (Centro sinistra + M5s), il margine è abbastanza largo 152 voti) e, con un buon candidato, i rischi di franchi tiratori dovrebbero ridursi sul fianco Pd, dove i sostenitori di Prodi e quelli di D’alema potrebbero accettare un terzo candidato meno sgradito a ciascuno. In compenso, non abbiamo la più pallida idea di quale sia il grado di compattezza degli eletti 5s. Ma, il problema più serio, in questo caso, è trovare un nome adatto su cui convergere. Grillo aveva indicato Fo che è un nome degnissimo, ma che si è saggiamente autoescluso in ragione dell’età avanzata (alla fine del mandato avrebbe 94 anni e neppure Pertini era così anziano).

Ma il senso di quella proposta si coglie lo stesso, al di là del nome fatto: usciamo da Palazzo ed eleggiamo Capo dello Stato una persona estranea ai giochi della politica professionale. Che è un discorso molto sensato, nella situazione in cui ci troviamo ed in cui, per restaurare un po’ di credibilità delle istituzioni, occorre dare un segnale forte di discontinuità.

Personalmente, a titolo di puro esempio, avevo fatto il nome di don Gallo che sarebbe un eccellente candidato, ma è anch’egli molto anziano (ha più di 80 anni), in più è prete e dovrebbe chiedere la dispensa alla Santa sede dove, mi dicono, ci sono altre gatte da pelare e, soprattutto, non sappiamo quanto il “prete da strada” abbia voglia di diventare uomo delle istituzioni.

Riassumendo, noi cerchiamo un personaggio di indiscutibile dirittura morale, che abbia una certa notorietà ma che non appartenga al mondo della politica professionale (e, per estensione, non sia mai stato Parlamentare), che abbia meno di 80 anni e dia garanzie di imparzialità e che abbia un forte senso di lealtà verso la Costituzione.

Io aggiungerei un’altra caratteristica che, data la delicatezza dell’incarico ricoperto e del momento in cui ci troviamo, sembra indispensabile: che abbia una solida cultura giuridico-costituzionale per evitare che possa essere raggirato dagli apparati burocratici e dagli esponenti della “politica politicante”. Dunque, un docente di diritto o un magistrato (mentre escluderei un avvocato, che potrebbe dar luogo ad antipatici conflitti di interesse).

Faccio un nome che sottopongo al vostro giudizio: Raffaele Guariniello. 72 anni, Procuratore aggiunto presso la Procura torinese. Da semplice pretore, nel 1971 osò sfidare la Fiat per le sue attività di dossieraggio su dipendenti e sindacalisti, ha sostenuto l’accusa in importanti processi, in particolare in materia di danni ambientali (come il caso Eternit) e di sicurezza sul lavoro come, recentissimamente, per il caso ThyssenKrupp. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni e, soprattutto, ha dimostrato di avere l’encomiabile pregio di rifuggire i riflettori televisivi ricercatissimi da tanti suoi colleghi.

Vi sembra un’ipotesi auspicabile?

 

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