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Quello che i leaders del PD non capiscono o non vogliono capire

Un contributo al dibattito interno al PD tra una tornata elettorale e l’altra.

A poche ore dai ballottaggi per le amministrative e dalla consultazione referendaria sulla legge elettorale è bene riflettere sulla campagna elettorale e sulle due settimane appena trascorse dopo la prima tornata di consultazioni. L’analisi quantitativa del voto ha significato essenzialmente due cose:
  • Il popolo europeo si sposta a destra con pericolose derive locali xenofobe e razziste
  • Il centro sinistra perde consensi ed amministrazioni locali nel panorama più generale della sinistra italiana che rischia l’estinzione dopo la sparizione sia dal Parlamento italiano che da quello europeo.
Quello che abbiamo letto in questi giorni sulla carta stampata e sulla rete ha cercato di spiegare invano quali siano le cause di una conferma del consenso di Berlusconi che aveva chiesto agli italiani un plebiscito sulla sua persona e che anche senza lo straripamento auspicato vede intaccata solo parzialmente la sua credibilità nonostante le disavventure sessuali. Così il popolo di sinistra ed una significativa porzione di cittadini hanno cominciato a chiedersi come mai, nonostante tutto, Berlusconi conservi un tale livello di popolarità. Che a chiederselo siano i comuni mortali che ogni giorno combattono una lotta impegnativa per uscire sani dalla crisi e come tutte le persone perbene hanno un atteggiamento poco disponibile a tollerare le “marachelle” del Premier soprattutto quando queste seguono provvedimenti legislativi “ad personam”, leggi venate da istinti razzisti, promesse che quasi mai si trasformano in azioni di governo realmente a salvaguardia degli interessi della collettività, non sorprende. Che alcuni leaders politici come il gruppo dirigente del Partito Democratico siano incapaci di analizzare la sconfitta a partire da una prima constatazione di fatto. Gli italiani votano Berlusconi perché egli rappresenta il loro carattere, le loro aspirazioni, le loro speranze e sogni, il loro razzismo latente, la loro rassegnazione ad una classe politica che quando non corrotta si è dimostrata spesso incapace, questo sì che è sorprendente. Come si può non prendere atto che Berlusconi ha avuto la capacità di modellare il sistema dei valori di riferimento individuali e collettivi di questo Paese piegandoli alla logica del denaro, del successo, della furbizia, dell’utilizzo di strumenti pressoché illegali, interpretando le regole comuni come un orpello che ritarda l’operosità di un buon padre che governa nell’interesse generale. Questo non è più lo stesso Paese che era al momento della discesa in campo di Berlusconi. Nessuno aveva provato prima di lui a mettere in discussione la Costituzione, il Parlamento, la Magistratura in breve il complesso di pesi e contrappesi che ha garantito il sistema democratico italiano per 50 anni. 

Così la sinistra e le opposizioni che si sono avvicendate, attraverso un atteggiamento snobbistico, hanno inizialmente considerato il Cavaliere un dilettante senza le stimmate di “nobiltà politica” necessarie ad essere riconosciuto come un avversario credibile. Successivamente con una demonizzazione dell’avversario tutta giocata sui suoi atteggiamenti esteriori e su una sua popolarità che, in ogni caso, gli avrebbe impedito di rappresentare un vero rischio democratico. In realtà, come ricordava in un recente articolo Alfredo Reichlin, la sinistra non si è resa conto che il populismo berlusconista rispetto a precedenti storici con qualche similitudine, erano supportati stavolta da una strategia di marketing politico molto ben studiato e basato su una nuova telecrazia che prima ancora della pratica del clientelismo ha organizzato il consenso vendendo illusioni, sceneggiando la realtà ma finanziando un progetto politico almeno decennale attraverso la raccolta pubblicitaria che in assenza di regole ha trasformato i telespettatori in clienti addomesticati al nuovo credo della politica/mercato.

Nonostante i pessimi segnali che si affacciavano all’orizzonte della contesa politica italiana la sinistra ed il PD attraverso le stagioni dell’Ulivo, della nuova Cosa, del PDS/DS, dell’Unione, delle scissioni Rifondazione/Comunisti italiani/Sinistra democratica/Sinistra e libertà etc etc , ha sperperato un patrimonio ideale di consenso non riuscendo a trovare l’accordo nemmeno per votare una legge sul conflitto d’interessi che avrebbe, quantomeno ridimensionato il fenomeno di occupazione della democrazia che solo oggi si sta manifestando in tutto il suo rischio.

In questo panorama abbiamo assistito ad una campagna elettorale del Partito Democratico che ha raggiunto il minimo della decenza a partire dalla scelta dei candidati nel rispetto delle “componenti”, a costi non documentati e non documentabili delle spese elettorali di molti candidati, al confronto rusticano tra di essi che si sono dati battaglia senza esclusione di colpi organizzati in “comitati elettorali” che dal volantinaggio alla copertura dei manifesti dei concorrenti dello stesso partito sono stati il segnale del malcostume politico che ormai è manifesto e non può più essere taciuto. Le dimissioni di Veltroni a pochi mesi dalle elezioni europee oltre che un grave danno al partito, lasciato colpevolmente orfano del regista principale della sua nascita, hanno scatenato una battaglia delle singole “componenti” per l’occupazione dello spazio improvvisamente disponibile. Ciò che ha sorpreso non è tanto l’esistenza delle correnti che solo alcuni irriducibili nostalgici del partito monolitico non accettano, ma l’interpretazione che i leaders hanno dato di esse. Nemmeno ai tempi del l’aggressivo correntismo della vecchia DC ci si confrontava esclusivamente sull’immagine dei capicorrente a prescindere dalla loro progettualità politica. Invece dalemiani, veltroniani e rutelliani non si sono scontrati su differenti analisi e visioni della società, ma sul controllo di questa o quella federazione, di questo o quel circolo, del numero di tessere che si trasformeranno tra poco nel sostegno congressuale. Dunque la logica non è riconoscersi in un leader/capo corrente per il progetto che persegue ma per il nome che può spendere. Viene da chiedersi se questo è il problema quale merce questi capobastone sono in condizione di offrire in cambio di una fedeltà senza ideali. 

Così alla tregua elettorale richiesta da Franceschini, ad urne ancora calde D’Alema incontra Casini e se non hanno discusso dell’estinzione del Panda, viene naturale credere che si sia parlato di alleanze cioè di un tema caldo (anche per il passato recente dell’UDC) con i ballottaggi in corso e con un tema centrale nel dibattito del prossimo congresso. Ma D’Alema dirà che ha incontrato Casini come Presidente di Italianieuropei, un modo per poter utilizzare il cappello adatto alla circostanza evitando le critiche. 24 ore dopo Roberto Gualtieri intellettuale neoeletto al parlamento europeo, candidato personale di D’Alema che poche volte si è speso in questo modo per un “amico”, sentiva il bisogno di intervenire su questo tema auspicando un’alleanza con l’UDC per le regionali del Lazio 2010. Come se a Strasburgo mancassero gli argomenti sui quali avremmo avuto il piacere di ascoltare un neoeletto alla sua prima dichiarazione. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Negli ultimi 10 giorni, con i ballottaggi alle porte è impazzato il totosegretario con Bersani che confermava la sua candidatura (dopo la ritirata di Febbraio per vedere come se la cavava Franceschini nel mare agitato) subito appoggiato da D’Alema in combinazione con Letta salvo una “estrema ratio” di Massimo disponibile al sacrificio se il popolo del PD glielo chiede. Ma anche Marino prospettava l’ipotesi di candidarsi e subito la Binetti pronta in questo caso a contrastarlo e con i piombini, tra poco lingottini, che abboccando al trappolone della figurina vecchia o nuova entrano di diritto nel gioco al massacro della mancanza di un progetto complessivo non legato a questo o quel singolo tema seppure di grande peso emotivo. Ma per non farsi mancare proprio nulla ecco che il risorto Walter ex segretario, uscito dal letargo di qualche mese, ha sentito l’urgenza di annunciare un’iniziativa pubblica per il 2 luglio a Roma a sostegno della candidatura di Franceschini. Un intervento fuori tempo e fuori luogo che conferma la logica del botta e risposta di cui non sentivamo davvero il bisogno.
 
Tutto questo mentre domenica andremo al voto amministrativo e referendario, avendo analizzato pochissimo di una sconfitta pesante che ha rallegrato solo quelli che si aspettavano una catastrofe e chiedendoci che campagna elettorale, nel frattempo, hanno fatto i leaders negli ultimi 15 giorni. Il prossimo 26 giugno si terrà la Direzionale Nazionale del PD anche per discutere e votare il percorso congressuale proposto dal documento Migliavacca. Quello che ci aspettiamo è che accanto ai tecnicismi che non ci appassionano purché venga rispettato un principio sacrosanto di democrazia interna, si dia mandato ad un comitato di saggi per l’elaborazione delle tesi congressuali che mettano al centro della discussione un nuovo progetto di società in condizione di preparare, attraverso un percorso certo a lungo termine, il superamento del modello berlusconiano che la sinistra non ha saputo contrastare efficacemente. Se questo non sarà il PD è destinato al declino ed alla sconfitta non essendo stato in grado di garantire un ricambio della dirigenza politica che parta dall’organizzazione di partito che i candidati hanno intenzione di proporre e che fino ad oggi non hanno ancora spiegato.


 

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