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L’ulivo simbolo di pace, in Palestina occasione di scontro

Il 26 Settembre scorso è scaduta la moratoria sulla costruzione di nuovi insediamenti di coloni ebrei in terrritorio arabo. Nonostante gli sforzi del Presidente Obama che il 1° Settembre aveva rilanciato il processo di pace, gli estremisti del movimento sionista hanno ripreso l’edificazione ad un ritmo quattro volte superiore a quello di dieci mesi fa secondo quanto dichiarato dalle ong che operano in quelle zone.

La Cisgiordania, sempre più terreno di scontro tra arabi e israeliani, conosce da qualche anno un nuovo fronte di guerra: quello dell’olio d’oliva. Questo prodotto fa parte della tradizione agricola ed alimentare della regione, grazie alle caratteristiche di un albero che si è ben adattato al clima, che non richiede particolari cure e soprattutto ha bisogno di poca acqua per crescere. Da molti secoli i contadini giordani coltivano l’ulivo in primo luogo per motivi economici viste le quotazioni del prezioso condimento che vale sul mercato oltre 5€ al litro. La tradizione si unisce alla necessità idrogeologiche e gli agricoltori utilizzano l’ulivo anche a scopo di consolidamento del territorio collinare che ha una forte tendenza alla desertificazione.

I coloni ebrei hanno fatto di tutto questo l’ennesimo terreno di scontro ed hanno aperto una competizione aspra con gli arabi cercando di piantare il maggior numero di alberi possibile. I contadini arabi hanno risposto accettando la sfida e nel 2010, anche grazie ad uno specifico progetto dell’Autorità Palestinese che finanzia l’impianto di 300.000 alberi, hanno raddoppiato quest’anno i nuovi innesti rispetto al 2009. Il patrimonio olivicolo totale è oggi di quasi 10 milioni di piante per gli arabi mentre gli ebrei sono a quota centomila.

Le ragioni vere del conflitto sono tutte legate alla proprietà della terra. I coloni dichiarano di voler coltivare i terreni incolti prima che gli arabi li utilizzino tutti, mentre i palestinesi lavorano nuovi terreni affinché non gli vengano sottratti nuovi poderi che appartengono alla loro comunità da millenni.

Quella che fino ad oggi sembrava una competizione “quasi” sportiva ha assunto toni drammatici nella recente stagione del raccolto. I contadini della Cisgiordania hanno accusato i coloni ebrei di danneggiare le loro piantagioni con saccheggi ed incendi dolosi. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno ricevuto la documentazione riguardante oltre 40 attacchi contro gli ulivi palestinesi tutti a poca distanza dagli insediamenti dei coloni che cercano in questo modo di spaventare e limitare gli spostamenti degli arabi in alcune aree geografiche. Molte attività di raccolta sono state ritardate a causa della mancanza della scorta militare dell’esercito israeliano ai contadini palestinesi senza la quale è ritenuto troppo rischioso lavorare nei campi.

Ufficialmente i responsabili degli insediamenti ebraici condannano queste azioni dimostrative di alcune “teste calde”, giovani irruenti che commettono atti di vandalismo in territorio arabo.

In realtà questo ennesimo fronte dello scontro non è altro che un ulteriore simbolo dell’occupazione israeliana della Cisgiordania. Noi tutti siamo abituati a parlare del Medio Oriente solo in occasione di fatti clamorosi come gli attentati, la repressione dell’esercito, l’abbattimento delle case palestinesi, la costruzione del muro ma non abbiamo coscienza di quanto pesi l’occupazione sul vivere quotidiano degli arabi. L’esercito controlla le sorgenti d’acqua e gli arabi devono comprare l’acqua dagli israeliani al prezzo da loro imposto e secondo la cadenza di rifornimento da essi stabilita.

La mobilità degli arabi è limitata da innumerevoli restrizioni e gli stessi lavoratori che si recano quotidianamente in territorio israeliano passano buona parte della giornata in coda ai check points. Questo insieme di regole, spesso assurde, ha il fine di fiaccare lo spirito dei palestinesi e convincerli che non vale la pena di restare e che forse è meglio lasciarsi sradicare dalla propria terra ed emigrare.

Questa è la prospettiva meno nota del conflitto arabo-israeliano in cui la presenza soffocante dell’esercito occupante si innesta su una situazione economica esplosiva e ben rappresentata dal livello della disoccupazione nei territori ormai al di sopra del 70%. Neppure gli arabi con passaporto israeliano sono più fortunati, prime vittime della crisi economica globale.

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