Quello che i leaders del PD non capiscono o non vogliono capire
Un contributo al dibattito interno al PD tra una tornata elettorale e l’altra.
- Il popolo europeo si sposta a destra con pericolose derive locali xenofobe e razziste
- Il centro sinistra perde consensi ed amministrazioni locali nel panorama più generale della sinistra italiana che rischia l’estinzione dopo la sparizione sia dal Parlamento italiano che da quello europeo.
Nonostante i pessimi segnali che si affacciavano all’orizzonte della contesa politica italiana la sinistra ed il PD attraverso le stagioni dell’Ulivo, della nuova Cosa, del PDS/DS, dell’Unione, delle scissioni Rifondazione/Comunisti italiani/Sinistra democratica/Sinistra e libertà etc etc , ha sperperato un patrimonio ideale di consenso non riuscendo a trovare l’accordo nemmeno per votare una legge sul conflitto d’interessi che avrebbe, quantomeno ridimensionato il fenomeno di occupazione della democrazia che solo oggi si sta manifestando in tutto il suo rischio.
In questo panorama abbiamo assistito ad una campagna elettorale del Partito Democratico che ha raggiunto il minimo della decenza a partire dalla scelta dei candidati nel rispetto delle “componenti”, a costi non documentati e non documentabili delle spese elettorali di molti candidati, al confronto rusticano tra di essi che si sono dati battaglia senza esclusione di colpi organizzati in “comitati elettorali” che dal volantinaggio alla copertura dei manifesti dei concorrenti dello stesso partito sono stati il segnale del malcostume politico che ormai è manifesto e non può più essere taciuto. Le dimissioni di Veltroni a pochi mesi dalle elezioni europee oltre che un grave danno al partito, lasciato colpevolmente orfano del regista principale della sua nascita, hanno scatenato una battaglia delle singole “componenti” per l’occupazione dello spazio improvvisamente disponibile. Ciò che ha sorpreso non è tanto l’esistenza delle correnti che solo alcuni irriducibili nostalgici del partito monolitico non accettano, ma l’interpretazione che i leaders hanno dato di esse. Nemmeno ai tempi del l’aggressivo correntismo della vecchia DC ci si confrontava esclusivamente sull’immagine dei capicorrente a prescindere dalla loro progettualità politica. Invece dalemiani, veltroniani e rutelliani non si sono scontrati su differenti analisi e visioni della società, ma sul controllo di questa o quella federazione, di questo o quel circolo, del numero di tessere che si trasformeranno tra poco nel sostegno congressuale. Dunque la logica non è riconoscersi in un leader/capo corrente per il progetto che persegue ma per il nome che può spendere. Viene da chiedersi se questo è il problema quale merce questi capobastone sono in condizione di offrire in cambio di una fedeltà senza ideali.
Così alla tregua elettorale richiesta da Franceschini, ad urne ancora calde D’Alema incontra Casini e se non hanno discusso dell’estinzione del Panda, viene naturale credere che si sia parlato di alleanze cioè di un tema caldo (anche per il passato recente dell’UDC) con i ballottaggi in corso e con un tema centrale nel dibattito del prossimo congresso. Ma D’Alema dirà che ha incontrato Casini come Presidente di Italianieuropei, un modo per poter utilizzare il cappello adatto alla circostanza evitando le critiche. 24 ore dopo Roberto Gualtieri intellettuale neoeletto al parlamento europeo, candidato personale di D’Alema che poche volte si è speso in questo modo per un “amico”, sentiva il bisogno di intervenire su questo tema auspicando un’alleanza con l’UDC per le regionali del Lazio 2010. Come se a Strasburgo mancassero gli argomenti sui quali avremmo avuto il piacere di ascoltare un neoeletto alla sua prima dichiarazione. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Negli ultimi 10 giorni, con i ballottaggi alle porte è impazzato il totosegretario con Bersani che confermava la sua candidatura (dopo la ritirata di Febbraio per vedere come se la cavava Franceschini nel mare agitato) subito appoggiato da D’Alema in combinazione con Letta salvo una “estrema ratio” di Massimo disponibile al sacrificio se il popolo del PD glielo chiede. Ma anche Marino prospettava l’ipotesi di candidarsi e subito la Binetti pronta in questo caso a contrastarlo e con i piombini, tra poco lingottini, che abboccando al trappolone della figurina vecchia o nuova entrano di diritto nel gioco al massacro della mancanza di un progetto complessivo non legato a questo o quel singolo tema seppure di grande peso emotivo. Ma per non farsi mancare proprio nulla ecco che il risorto Walter ex segretario, uscito dal letargo di qualche mese, ha sentito l’urgenza di annunciare un’iniziativa pubblica per il 2 luglio a Roma a sostegno della candidatura di Franceschini. Un intervento fuori tempo e fuori luogo che conferma la logica del botta e risposta di cui non sentivamo davvero il bisogno.
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