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Quel paradiso di trentadue anni fa in ’I giorni del cielo’

“Doveva morire.
Ormai lo sapeva.
Non c’era più niente da fare”. 

“Forse era venuto il dottore, non so.
Magari gli aveva dato una medicina.
Forse lo si doveva lasciare in pace, come si fa con i cavalli”.

‘Days of Heaven’, in Italia tradotto con ‘I giorni del cielo’ uscì nel 1978.
Scritto e diretto da Terrence Malick (ebbene sì, quel Malick che ha appena vinto la Palma d'Oro al 64° Festival di Cannes per 'The Tree of Life' e che dopo quarant'anni di carriera non ha ancora conosciuto il 'brand', non concede interviste, non lo si riesce a fotografare neanche per sbaglio, non si presenta nemmeno alle premiazioni internazionali), 'Days of Heaven' vinse nel 1979 il premio alla regia al Festival di Cannes, e l’oscar alla miglior fotografia sempre nel 1979, ma anche due David di Donatello (miglior attore protagonista e miglior sceneggiatura straniera), infine il Bafta (British Academy of Film and Television Arts, organizzazione britannica fondata nel 1974) alla miglior colonna sonora.

Il film, in effetti, a maggior ragione dopo trentadue anni, i ‘numeri’ li ha ancora, anzi, probabilmente risultano più evidenti con le consapevolezze di cosa c’è stato dopo. Un Richard Gere giovane, dalle espressioni confuse in un’innocenza che ha poi perso in altri ruoli. Un Ennio Morricone superlativo (come poi molto spesso) nella colonna sonora sintonizzata sulle atmosfere di un’America rurale d’inizio novecento. La morte che da subito incombe sul padrone e la scintilla tentatrice. L’attesa per qualcosa che tarda ad accadere.

La narrazione alterna inquadrature alla voce diretta della bambina, Linda, partita con Bill e Abby da Chicago per lavorare nelle piantagioni in Texas. Per non attirare l’attenzione i tre si presentano a tutti e si comportano come fratelli e sorelle. Ma il padrone (un Sam Shepard schivo ma attento) mette gli occhi su Abby vedendola al lavoro tra i suoi campi mentre Bill scopre per caso che proprio il padrone ha i giorni contati, gli resta un anno di vita, se è molto fortunato.

In questo film si rintraccia l’ossatura di quella che è poi diventata una dinamica narrativa, particolarmente nota al pubblico cinematografico per un altro film, degli anni novanta, Proposta indecente (Indecent proposal, diretto da Adrian Lyne, del 1993 tratto dal romanzo di Jack Engelhard, con la coppia Demi Moore e Woody Harrelson alle prese – per l’appunto – con la proposta indecente del ricco Robert Redford, film che non ha ricevuto particolari ‘consensi’ da critica e addetti, di certo meno impegnato tecnicamente ma non per questo meno guardato dal c.d. Grande Pubblico).

La dinamica in effetti è molto semplice: una coppia (di amanti in questo film del 1978, di sposati nel 1993) vive quotidianamente la fatica delle difficoltà economiche tra scelte complicate e stenti, i sogni abbandonati chissà dove. Finché entra in scena il ‘ricco’, in Days of Heaven è il padrone di numerose terre, in Indecent Proposal è il miliardario John Cage. In entrambi i casi, comunque, si prospetta una ‘scintilla tentatrice’: John Cage (Robert Redford) propone una notte con Diana (Demi Moore) pagando quel genere di cifra che può cambiare la vita (quella dei due innamorati e sposarti, certamente); mentre il padrone (Sam Shepard) s’innamora di Abby e Bill (Richard Gere) la spinge a sposarlo facendo di tutti e tre i compagni di viaggio (amanti e bambina narratrice) ricchi all’improvviso. Ma Abby e Bill non sono fratelli esattamente come per Diana e David (Woody Harrelson) la notte passata da lei col miliardario non può essere dimenticata concentrandosi solo sui soldi ricevuti da Cage.

L’amore e la passione si confondono, il denaro e il tempo si fanno beffa dei personaggi.
Le due donne fanno scelte ‘a tempo’, sono disposte a darsi per tirarsi fuori (e tirare fuori la famiglia come concetto allargato) dalla miseria. Abby sposa il padrone perché sa che non gli resta molto da vivere, in questa storia è la morte annunciata a determinare la scadenza dell’accordo. In Proposta indecente è l’accordo stesso a prevedere una durata precisa (una notte).
Ma il tempo non mantiene quasi mai le sue promesse.

‘Days of Heaven’ non dimostra i suoi trentadue anni, il recente restyling alla pellicola originale, lo rende godibile anche oggi, nell’era delle tecnologie e degli effetti speciali. I paesaggi e le ambientazioni a riprodurre i latifondi texani (pur essendo stato girato in Canada) tolgono il fiato. L’atmosfera sospesa non interferisce con le parti all’apparenza più statiche e lente, che invece sono proprio i momenti in cui i personaggi s’inspessiscono, si fanno più carne e meno maschera. 

Si può dividere la persona che si ama con qualcun altro, se in cambio si stravolge il proprio status economico?
Ci si può dare a qualcuno per denaro, poi tornare da chi invece si ama?
Ma l’amore, tra forzature, denaro e potere, conoscenze e abbandoni, può cambiare direzione ‘fisiologicamente’? 

Probabilmente sì, ma bisognerebbe allontanarsi da quegli affetti ceduti, dati in cambio.
Bill nel 1978 poi David nel 1993, però, rimasero o meglio: se ne andarono troppo tardi.
E pagarono assieme a Abby e Diana.

Non solo sentimenti, comunque, in ‘Days of Heaven’, dove la contestualizzazione storico-geografica partecipa alla linea narrativa e alle onde dei colpi di scena. Dopo tutto, non esiste storia di soli umani che voglia anche mantenere pretese di credibilità e verosimiglianza.

Non svelerò i finali, consiglio la visione di entrambi i film, soprattutto di ‘Days of Heaven’ che ha i sapori e gli umori della brezza fresca e gli spazi sconfinati nei suoi trentadue anni così lontani da ciò che è diventata la cinematografia americana dei grandi numeri (investimenti, promozione, effetti speciali, ingaggi astronomici, nomi e volti noti, trame che cercano di sorprendere a tutti i costi con invenzioni laddove ormai è già stato scoperto tutto). 


Annotazione a margine: proprio nei finali, a mio avviso, si rintracciano (e si palesano con dinubbia evidenza) i due diversi approcci verso le storie, quello di fine anni settanta e quello degli anni novanta. Nei finali si racchiude la visione di due periodi differenti, una più selvaggia ed esplorativa, dove la conclusione non ha alcuna pretesa consolatoria; l'altra visione, invece, tesa a trascinare il lettore verso un punto fermo, statico, a ricucire il possibile e anche di più, che deve far sognare, dunque essere lieto specie alla fine.

 

“Nessuno è perfetto.
Ognuno di noi è mezzo diavolo e mezzo angelo”.

 

 

Link 

Days of Heaven su Youtube: qui, qui e qui.

Proposta indecente su Wikipedia.

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