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Prove tecniche di una democrazia autoritaria (con un governo tecnico)

Da lontano si vede il lungo drappo rosso con l'effige di quel che ormai è diventato il simbolo dei Draghi Ribelli. Sono in presidio davanti al palazzo dell'Economia asserragliati, stretti in una morsa fatta di scudi e poliziotti che non lasciano nemmeno un centimetro di spazio.

Gli elicotteri sorvegliano dall'alto e tutto intorno è un assembramento di gipponi di almeno tre forze dell'ordine. Le provocazioni delle forze dell'ordine partono già in maniera preventiva. Alcuni giovani vengono fermati ed identificati. Avevano un passamontagna nero, un casco da motociclista, una ginocchiera, un corpetto militare, un paio di guanti, un paio di occhiali da sci, un altro aveva due limoni e un liquido sempre a base di succo di limone, ad un altro è stato trovato in possesso di uno striscione nero con la scritta "Ci vogliono servi ci avranno ribelli" e di una bomboletta spray con vernice bianca, aveva cinque limoni anche una ragazza, e nella borsa anche una kefiah nera. Tutti denunciati per porto abusivo di armi ed oggetti atti ad offendere.

Partono gli interventi con la lettura del preambolo dello statuto che gli artisti del Teatro Valle Occupato hanno stilato, e poi via via tutti gli altri. Ma quel sit in non basta più e sfidando il divieto di Alemanno, nonostante l'accerchiamento il Drago parte, si forma il corteo e attraversa via XX Settembre tra le macchine e i pullman.

I cittadini applaudono. Un attimo di indecisione a Porta Pia non si sa dove andare, i gipponi in lontananza hanno già sbarrato le vie, ma il Drago prende una via laterale e da qui in poi è tutto un gioco del gatto con il topo.

Il Drago che svolta e la polizia che sbarra. La città sembra solidarizzare con il Drago, i negozianti lasciano le saracinesche alzate ed al passaggio applaudono o sorridono. Poi la lotta con la polizia ha fine all'incrocio tra via Flavia e via Quintino Sella. I Draghi vengono accerchiati.

Anche i giornalisti e fotografi vengono fatti uscire dalla sacca e posti al di qua dell'accerchiamento. Si teme una carica. E la riproposizione di quel che è successo poco più di una settimana fa a via Tiburtina. Partono le trattative.

Si raggiunge un accordo con la identificazione di una trentina di ragazzi e poi tutti a casa. Ma al trentesimo ragazzo parte un contro ordine. Ci vogliono altri quindici ostaggi. Si acconsente. Ci si sente come nel Cile di Pinochet. Schedati per poter manifestare a volto scoperto, senza caschi, né scudi, né che vi sia stato un benché minimo segno di violenza o resistenza.

Così si da ragione ai violenti, agli ACAB. Si da ragione a chi indica come l'unico modo possibile di manifestare l'uso degli stessi metodi violenti del potere. Ancora una volta l'accerchiamento non si apre e ora si vogliono i documenti di tutti i Draghi. Reazione ferma ma composta. Rifiuto di consegnare i documenti e tutti seduti per una resistenza passiva. La stampa e i fotografi vengono a malo modo allontanati sempre più in là, strattonati, spinti.

Intanto partono le telefonate. Parlamentari, avvocati vengono sollecitati ad intervenire per portare a più miti ragioni le forze dell'ordine. Arriva, l'unico, il senatore Vita.

Parte l'ennesima trattativa e quel che prima sembrava impossibile ora incredibilmente è possibile. Anche l'atteggiamento verso la stampa diventa improvvisamente accomodante, conciliante, quasi accondiscendente a che si documenti, si fotografi.

Tutti i Draghi vengono lasciati liberi di tornare a casa. Parte un grido "Tutti Liberi" ed uno scrosciante applauso. La follia di un provvedimento stupido come quello di Alemanno, commenta il senatore Vita.
Ma ora, il 17, i Draghi Ribelli saranno più forti e più preparati.

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