• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Economia > Proteste e proposte. Ma quale economia?

Proteste e proposte. Ma quale economia?

Si fa pressante il dibattito interno alla sinistra fra radicali e riformisti. O, se volete, fra estremisti e moderati.

Che però sono espressioni abusate che non dicono proprio niente: cosa c’è di estremista in chi si indigna per la situazione economica dovuta alla strafottenza di certi banchieri e finanzieri e speculatori da rating?

E cosa c’è di moderato in un Bossi, in un Calderoli o in uno Scajola - ve lo ricordate chi definì Biagi un “rompicoglioni”? - e definireste moderato un Berlusconi che è, per definizione, uno smoderato in tutto e per tutto?

O moderati sarebbero quegli ambienti cattolici che hanno manifestato contro i Pacs e se ne sono stati zitti zitti di fronte ai casi di pedofilia insabbiati dalla Chiesa o al bunga bunga a forza di prostitute minorenni?

O quei parabolani che si sono scatenati nella loro personale caccia all’untore, oggi nei panni di quei quattro sfigati Radicali che si sono permessi di ragionare con la loro testa ?

Teniamoci quindi i termini più corretti: radicali e riformisti. Il dibattito c’è, eccome. Le tendenze anticapitalistiche d’antan – da vetero comunisti che una loro dignità ce l’avevano - si vanno connettendo a quelle no global, da disobbedienti un po’ snob, di pochi anni fa.

Ma la sintesi degli indignati pare più vera, più concreta, più sentita, ha un suono e un sapore meno cerebrale e più “di pelle”, anche se si fatica a vedere una qualche proposta di sintesi che individui strade nuove e praticabili (ma non sta ad un movimento di protesta fare proposte di questa complessità; si devono muovere gli economisti e magari i politici, se sono ancora vivi).

Questo sarebbe il lato radical di una sinistra che il vecchio Berti aveva definito ‘morta’ (un bel po’ ‘fuori dal vaso’, direi, per essere uno che si picca di essere un fine analista politico).

Dalla parte riformista si vede come sempre un po’ poco e anche quel poco assai confusamente.

Una vaga idea di prendere i soldi dove ci sono (cioè dai ricchi), non dove non ce ne sono (grazie); il rifiuto di qualsiasi ipotesi di condono supportato dalla voglia di spolpare i già condonati (cioè tassare chi ha usufruito dello scudo fiscale facendo rientrare i capitali in Italia), più la solita lotta all’evasione (ma se non si cambia sistema fiscale, rompendo il comune interesse fra cliente e fornitore a fregare il fisco, mi volete spiegare come si combatte l’evasione? con la pedagogia moralista? in Italia? ma siamo sicuri?).

Radicali e riformisti: proteste (legittime) e proposte (modeste). Poco altro.

Eppure. Eppure sull’economia ce ne sarebbero di cose da dire.

Ad esempio che c’è qualcosa di incomprensibile in un sistema che si fonda e si perpetua su un assunto indiscutibile quanto misterioso: per funzionare pretende di svilupparsi ad infinitum. Non produrre all’infinito, intendiamoci, questo sarebbe comprensibile: tanti spaghetti mangi, tanti ne devi produrre il giorno dopo, tanti bicchieri rompi tanti ne devi ricomprare. E così via.

Ma il problema non è questo; il problema è che la crescita deve essere infinita, non la produzione in sé. Se oggi produci dieci chili di pasta, domani ne devi produrre undici, dopodomani dodici, poi tredici e così via.

Molto funzionale al sistema appare l'idea papalina di una crescita demografica senza barriere anticoncezionali, cioè anch'essa infinita (e voluta da Dio, naturalmente).
All’infinito, altrimenti il sistema si blocca. Va in stallo e poi, come stiamo vedendo, precipita. E allora sono cavoli amari per tutti.

Ma è davvero possibile pensare che la crescita – fondata sulla produzione di cose materiali che di per sé sono finite – possa svilupparsi all’infinito? Non è ipotizzabile che prima o poi (o forse proprio adesso) le cose materialmente definibili come finite imporranno anche la fine della crescita?

E a quel punto ce la facciamo ad andare avanti con un sistema produttivo, con il distributivo e il terziario (più il parassitario) con la sola sostituzione delle cose consumate o comunque sostituibili, cui aggiungere qualche fortunata nuova invenzione?

Già i segnali ci sono: tutto il primo mondo viaggia in termini di uno o due (quando va parecchio bene) risicati punti percentuali di crescita e solo dopo che una qualche crisi ha prima bloccato e poi lentamente svuotato i magazzini delle fabbriche e le dispense delle famiglie. I paesi emergenti hanno mercati interni tali da potersi permettere tassi di crescita più consistenti per ora. Ma prima o poi anche loro si satureranno.

Insomma, io non sono un economista. Tantomeno un teorico della decrescita. Mi limito a fare domande agli economisti. Non è che un mondo costruito sulla crescita infinita dovrà proporsi, per andare avanti senza collassare, di produrre non solo cose finite, ma "cose" anch’esse infinite? Arte, scienza, cultura, ricerca, pensiero...

Troppa filosofia o è una domanda da porre legittimamente alla sinistra (visto che la destra ha altro da fare tra guazzabugli da sottogoverno e signorine un tanto all’ora)?

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares