Presidente, non si vergogna?
Gentile Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (meglio noto come Re Giorgio), Le scrivo questa lettera per parlare di TESTIMONIANZA, valore fondamentale assai poco praticato, soprattutto dai potenti. Conoscerà di sicuro le storie e le sofferenze dei testimoni di giustizia. Sono persone oneste e perbene che hanno deciso di vedere, sentire e soprattutto parlare. Si sono pertanto rivolte alle forze dell'ordine e alla magistratura per raccontare quanto a loro conoscenza sui delitti compiuti dagli uomini del disonore.
Si tratta di cittadini modello, i quali - fedeli alla Repubblica, alla Costituzione e alle leggi (secondo l'art. 54 c. 1 della Carta costituzionale) - hanno svolto "un'attività o una funzione" che ha concorso "al progresso materiale o spirituale della società" (art. 4 c. 2 della Costituzione). La lotta alle mafie, infatti, passa anche attraverso la loro opera preziosa e irrinunciabile. Eppure (o forse proprio per questo) i testimoni di giustizia sono abbandonati dallo Stato. Sono lasciati soli, senza diritti, senza attenzione, senza aiuti. La situazione è molto grave e assai duratura, tanto da potersi porre legittimamente una domanda.
Molti esponenti di quello Stato che Lei rappresenta al massimo vertice, sono colpevolmente indifferenti o dolosamente complici dei mafiosi, i soli - teoricamente - a volere la sconfitta e la morte (non necessariamente fisica) di chi abbia testimoniato contro di loro?
Sarà sicuramente venuto a conoscenza della protesta dello scorso 26 febbraio di tre testimoni di giustizia - Ignazio Cutrò, Gianfranco Franciosi e Pietro Di Costa - incatenatisi a Roma davanti al Viminale (se non l'avesse vista, qui trova il video).
La storia di Ignazio Cutrò è del resto nota, così come quella di un altro imprenditore testimone, Pino Masciari. Non posso non ricordare anche le figure di due donne, entrambe cresciute in una famiglia della 'ndrangheta, senza averne mai condiviso i disvalori. Hanno deciso di ribellarsi, testimoniando alle forze dell'ordine e ai magistrati ciò che avevano visto intorno a sè. Per questo - giovanissime - hanno pagato con la vita. La prima si chiamava Maria Concetta Cacciola, morta a 30 anni. Inizialmente si pensava a un suicidio, ma ora si ritiene sia stata assassinata. La seconda è Lea Garofalo, 35 anni, ammazzata a Milano il 24 novembre 2009 dal clan Cosco, a cui appartiene il compagno. Sua figlia Denise aveva solo 17 anni quando il padre mafioso (Carlo Cosco) e altri criminali sequestrarono la madre, la interrogarono per sapere che cosa avesse raccontato ai magistrati, la uccisero con un colpo di pistola e ne bruciarono il cadavere. Denise decise di seguire l'esempio materno e testimoniare, contribuendo alle condanne degli assassini della madre (6 ergastoli in 1° grado; 4 ergastoli e 1 condanna a 25 anni di reclusione in 2° grado). Oggi Denise, testimone di giustizia come Lea, ha 22 anni ed è costretta a vivere in una località segreta.
Ebbene, signor Presidente della Repubblica, certamente ricorderà il caso umano di un anziano signore che - pur chiamato a rendere testimonianza in un processo molto importante (quello di Palermo sulla trattativa Stato-mafia) - non voleva proprio saperne. Anzi, scrisse una lettera al Presidente della Corte d'Assise in cui si diceva "ben lieto" di riferire sue conoscenze utili al processo e all'accertamento della verità, ma purtroppo - immagino a malincuore - non poteva, perchè nulla sapeva su quanto i magistrati volevano conoscere da lui. Nella stessa missiva quel signore si spinse addirittura a chiedere al giudice di valutare l'ipotesi di revocare la propria deposizione, in quanto superflua. Insomma, chiamato da un tribunale a rendere testimonianza, chiese al medesimo di cambiare idea, poichè già sapeva di non sapere ciò che nessuno gli aveva ancora chiesto. Un signore curioso, non c'è che dire. Non trova, Presidente? Eppure dovrebbe conoscere quel tale, perchè si chiama proprio come Lei, Giorgio Napolitano. E - glielo assicuro - non si tratta di un omonimo: è proprio Lei, in persona.
Ora, quale considerazione avranno i testimoni di giustizia nei confronti suoi e della massima Istituzione repubblicana? Ritiene che possano sentirsi rappresentati da un simile capo dello Stato? Proprio loro, che - a differenza sua - hanno esercitato appieno il diritto-dovere di cittadinanza, collaborando con la giustizia per l'accertamento della verità e pagandone sempre durissime conseguenze? Non si vergogna, signor Presidente della Repubblica? Spero non si offenda se anch'io Le confesso di non sentirmi da tempo minimamente rappresentato da Lei. Così come spero non si dispiaccia se faccio mie le parole dell'On. Sonia Alfano, Presidente della Commissione Antimafia del Parlamento europeo:
Napolitano non è stato il mio Presidente negli ultimi anni e non lo sarà nemmeno per i prossimi 7 anni! Io non dimentico le sue telefonate con Mancino e tutti gli atti imbarazzanti incostituzionali che ha firmato in questi lunghissimi anni!(20 aprile 2013).
Non devotamente suo,
Danilo Rota
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